martedì 15 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte prima

Della Scorza e di altre faccende


Parte prima: dell'avversione di Basile per i self-service e del Movimento Carthiano.


Basile lasciò Asclepio mosso da una voglia di fare immensa. Si sentiva incredibilmente infervorato, quasi gaio d'aver trovato un modo semplice ed efficace per risolvere il problema; un problema da vampiri che, per natura, vanno sempre a finire incastrati in tele inesplicabili di segreti, di equilibri politici precari e inamovibili al tempo stesso.

In quel momento Stefano percorreva in macchina Via Settevalli per andare a imboccare il tratto di raccordo autostradale che si congiungeva all'E45, per andare verso sud, a Marsciano, per andare da Peppe, il Mekhet. Fece capolino la spia della riserva sul cruscotto. Per quasi un minuto Basile la ignorò ma dovette ammettere che con la benzina rimasta nel serbatoio non sarebbe mai arrivato a Marsciano. Digrignò i denti e strinse forte lo sterzo dell'Alfa mentre guardava con odio il distributore in lontananza sulla via. Era senza nessuno dei freghi e non poteva chiamarli per farsi mettere benzina...

Be', almeno non senza una buona scusa, che al momento non aveva, e che non voleva mettersi a cercare per non perder tempo: doveva arrivare da Peppe prima di subito. Il fatto era che Basile non faceva più rifornimento di carburante in prima persona da quando guidava l'Alfa Romeo Giulietta GT (che macchina che era ragazzi!), perché in una serata di quei tempi gli sfuggì di mano la pistola del carburante e si bagnò completamente di benzina. Avete presente cosa significa per un vampiro diventare sicuramente infiammabile a causa di una stronzata come quella? Da allora ogni volta che deve fare rifornimento Basile si porta dietro un amico per eseguire il lavoro, mentre lui resta ben lontano dall'auto – perché non si sa mai.

E adesso? Si domandò a disagio e disorientato. Poteva sostare al distributore e aspettare che qualcuno si fermasse dopo di lui facendosi poi aiutare grazie al suo sorriso irresistibile; ma non voleva perder tempo, neanche un secondo. Odiava quando le cose differivano anche minimamente da come preventivava. Allora ebbe un'idea. Accelerò improvvisamente e risalì tutta la Settevalli, ma invece d'imboccare verso il raccordo, tirò dritto sotto un breve tunnel uscendo di fronte alla Stazione di Fontivegge per salire ancora, lungo Via Mario Angeloni. All'altezza di una delle tante traverse della grande arteria in pendenza, svoltò per finire in vicoli tortuosi delineati dalle sagome dei condomini. Entrò in un piazzale e si fermò davanti alla saracinesca di un garage.

La rimessa era sua, così come l'appartamento quattro piani più in alto. Dentro il garage scoprì da sotto il telo la sua Yamaha R6 blu cobalto. Girò la chiave nel quadro e premé lo starter del motore. I quattro cilindri in linea non si fecero attendere per irrorare di rombo le spesse mura. Questa ha il serbatoio pieno. Pensò.

Spinse la moto accesa fuori dalla rimessa, l'appoggiò sul cavalletto e poi si voltò per chiudere la saracinesca. Dimenticava qualcosa? Il casco, come di solito.

Lo trovò, vi soffiò sopra, lo indossò, chiuse il garage, accese le luci della moto, innestò la prima e via...

In men che non si dica si gettò a tutta velocità sul raccordo autostradale inebriato dal suono del motore, dalle vibrazioni e incurante di molte cose: dei lembi svolazzanti dell'Eskimo, del fatto che era un po' strano per gli automobilisti ingolfati nel traffico vedersi scartare da una moto guidata da un tizio che non indossava neppure i guanti e anche del fatto (un po' meno trascurabile) che le gomme del suo splendido bolide non riuscivano a scaldarsi a dovere nella fredda sera del due dicembre – in effetti Basile sentiva la moto un po' nervosa in curva – e iniziava a piovere.

Quando abbandonò il raccordo per entrare nella superstrada, dové portare il tachimetro sotto i centoquaranta chilometri all'ora; il manto stradale era – come sempre – disastroso, buche e sconnessioni a non finire per tutto il tracciato, da Orte a San Giustino.

Stefano desiderò che il grande Obiettivo Carthiano di trasformare questa via di comunicazione in un'autostrada a pedaggio fosse compiuto entro la notte di domani, se non altro perché così avrebbe potuto viaggiare a tutto gas senza problemi di sorta e ridere dei Lorsignori, l'Invictus. Loro si vantano con tanta boria della gloriosa espansione avuta da Perugia, a partire dal Secondo Dopoguerra, che l'aveva resa da città di media provincia, un grande polo di attrazione per il bestiame.

La regione dell'Umbria è Perugia-centrica in molti modi: amministrativamente, politicamente ed economicamente, ma la centralità di Perugia che più importa al Barone e ai suoi lacchè è quella che spinge migliaia di persone, di notte, a uscire di casa e arrivare nel capoluogo per un cinema, una birra, una pizza. Questo perché fuori Perugia non c'è assolutamente niente di interessante per le persone, quindi neanche per i vampiri. Vivere fuori Perugia significa restare in casa con la desolazione intorno; quindi Cacciare fuori Perugia è difficile e pericoloso, perché i mortali hanno sempre avuto paura della notte e ancora oggi, nel Ventunesimo secolo, non si distaccano molto dai loro antenati contadini, gelosi di ogni filo d'erba rinsecchito nell'aia, sempre col fucile carico a portata di mano.

Con il suo trucchetto, quel gran pezzo di stronzo feudale del Barone, ebbe la botte piena, la moglie ubriaca e l'uva ancora sul tralcio: bastò concentrare tutti gli sforzi su una sola città, semplicemente distruggendo qualsiasi alternativa sul nascere, per assicurare che ci fosse un solo luogo dove i Fratelli potevano stare. E tenere sotto stretto controllo un luogo solo è incredibilmente facile.

Per fortuna niente dura per sempre, a volte neppure gli Immortali. I Carthiani stanno cambiando le cose dopo generazioni di sforzo e fatica. Per tantissimo tempo il Movimento cercò in tutti i suoi modi meglio conosciuti d'innescare il cambiamento sociale nella Danza Macabra. Stefano arrivò tra i Fratelli ribelli proprio l'anno successivo a quello in cui l'Armata Rossa invase Budapest; dopo aver passato una gioventù piena d'interrogativi senza risposte, si stupì e si esaltò nel leggere, – e nel capire – finalmente, la storia ufficiale d'Italia (e di Perugia) nelle ombre delle vicende inconcepibili dei Dannati. Con l'aggiunta delle Tenebre e dei mostri che vi sono celati dietro, tutto assunse un senso più vero e reale.

Il Movimento Carthiano nacque presto a Perugia, forse prima ancora che nell'Europa in via d'industrializzazione alcuni tra i più illuminati Fratelli capirono che il cambiamento radicale del mondo poteva cambiare anche le antiche istituzioni dei vampiri dopo millenni di permanenza. Era il periodo del Risorgimento; Teucride Cartaginese era già là, in piedi ed era Carthiano. Da dove fosse venuto non ebbe alcuna importanza, quello che contò fu che lui avesse capito e scelto per il cambiamento. E così fece: cadde lo Stato Pontificio e poco dopo cadde il Cardinale Consacrato di Perugia. È vero: fu Giacomo Danzetta a prendere il potere, ma non prese quel potere assoluto che avrebbe potuto prendere senza la nascita dei Carthiani. Il Movimento era una congrega del tutto nuova e diversa che contestava sia il tramonto del potere teocratico sia la restaurazione del feudalesimo del Primo Stato; una terza e nuova via che iniziò subito a lottare perché la libertà diventasse reale e non pelosa carità interessata degli oppressori. L'unico difetto di questa storia fu che il Movimento incarnò per oltre un secolo ogni tipo di spirito rivoluzionario possibile: Mazzini e Garibaldi, Socialismo e PCI, fino agli Anni di Piombo, senza mai cavare un ragno da un buco. Per anni i compagni del Movimento furono denigrati e schiacciati dal tacco dei Lorsignori, solo l'autorità del Primogenito Teucride evitò il peggio quando si poté evitare il peggio. Ma quando le cose iniziarono a cambiare di nuovo, proprio la nomea di 'comuni briganti senza prospettiva' guadagnata dai Carthiani, divenne un punto di forza.

Ci fu un periodo nel Dominio, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, in cui il Requiem e la Danza Macabra divennero infernali. Non si capì bene come iniziò né si capì come funzionò, ma a un certo punto nessuno tra i Fratelli aveva più la stessa faccia. Cospirazioni, tradimenti, ricatti, tentativi di aggressioni fisiche e politiche coinvolsero tutti contro tutti in una sorta di romanzo noir. Che i Fratelli non siano tra gli esseri più limpidi e sinceri del pianeta è assodato, ma che nel giro di soli quindici anni trovarono Morte Ultima più vampiri di quanti se ne potrebbero ricordare, lì su due piedi, fu foscamente perturbante.

Nessuna di queste Distruzioni avvenne in modo chiaro e lineare, cioè nessuno cadde sotto la frusta della legge baronale; furono tutti degli assassinii e degli attentati, anche se sicuramente più d'uno furono degli assassinii 'autorizzati' perché per il Primo Stato quelle erano soluzioni comode. Per i Carthiani questo fu il periodo della Para-nera. Stefano ne uscì pulito (non come il suo sire) perché era giovane e inesperto, fuori dai giri pericolosi. Tutti gli altri Fratelli dicevano che c'era dietro un 'Losco Figuro', una mente eccelsa e celata, che tramava per scalzare Giacomo Danzetta dal trono, spingendo con ricatti e lusinghe, uno per uno, tanti diversi Fratelli a tradire il Dominio. Morirono Infine tutti.

Ma i Carthiani non hanno mai creduto all'esistenza di questo 'Losco Figuro'. Sulle prime ritennero che, in estrema semplicità, dato che era un po' che scorreva fin troppa acqua cheta sotto i ponti, l'Invictus aveva deciso di creare un'opposizione fantasma giusto per alzare un'atmosfera di frustrante paranoia e prevenire che in tutta quella placidità qualcuno iniziasse a pensare che forse un dominio Invictus non è proprio il migliore dei mondi possibili. Quando però il gioco divenne aspro e tetro oltre ogni immaginazione, quando i Fratelli di clan e di congrega ruppero ogni vincolo di fedeltà e di alleanza, quando la Vitae e la cenere colorarono la notte in una danza frenetica, i compagni compresero che le cose erano messe diversamente. Cioè: il responsabile restava sempre lo stesso, il Barone, ma le cause erano cambiate in modo agghiacciante. Danzetta regnava già da più di un secolo e sebbene nessuno sappia con esattezza da quanto tempo questo vampiro è al mondo, quel che è certo è che lui non ha mai riposato. Secoli e secoli di Danza Macabra senza il lungo sonno del torpore, generazioni ed epoche che ti passano sotto gli occhi, sentire la Bestia diventare sempre più forte, la sete sempre maggiore e invischiarsi in faccende più lunghe di un'era biblica, porta alla pazzia.

Perché i Carthiani chiamarono il periodo la Para-nera? Perché fu un periodo da pazzi. Chi era il più pazzo tra i pazzi? Il Barone.

Come finì la Para-nera? Un Carthiano non ne parla mai volentieri. A quanto ne sanno furono i Draghi a fare qualcosa con le loro inquietanti arti pseudoscientifiche. Riportarono sotto registro il cervello di quel folle, così che la smettesse di vedere i fantasmi quando non c'erano per davvero. Poi oh... Be'... Il Barone tornò a fare il despota illuminato e galantuomo come se niente fosse avvenuto, ma nel frattempo spuntò fuori il Mostro. Che casualità!

Tuttavia la casualità più importante fu un'altra: in tutto il trambusto l'Invictus si chiuse a riccio dentro Perugia. I Lorsignori erano più attenti a pararsi i loro netti deretani e a cercare qualcuno da accusare per non essere accusati loro, piuttosto che a controllare quello che succedeva in giro. Così i Carthiani decisero di puntare a un grosso Obiettivo. A Perugia continuarono a fare sempre i trozkisti incazzati e inconcludenti, ma fuori misero gli occhi e le mani su Marsciano.


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