giovedì 13 marzo 2008

martedì 11 marzo 2008

Nuova edizione per le Cronache d'Umbra


Da oggi è possibile scaricare gli episodi delle Cronache d'Umbra anche in formato Microsoft Reader, così che potranno essere lette anche su dispositivi palmari e telefonini.
Il documento con estensione '.lit' si trova nell'Archivio Ebook, dove troverete i consueti approfondimenti alla cronaca.
Al momento è disponibile il primo episodio 'Internet, che magia', gli altri verranno presto.
Saluti
P.Ag


domenica 9 marzo 2008

Alcune questioni e la Scorza


Qualche ora prima che la coterie padovana arrivasse in città...


Fuori dei confini dell'Acropoli ci sono molti posti, un po' meno celebri e raffinati, ugualmente interessanti da visitare per le persone e per i loro predatori.

A metà strada tra la cima della città e la zona della stazione FS, c'è Piazzale della Cupa, da sempre preso di mira dagli automobilisti in quanto unico (e ultimo) parcheggio libero di Perugia. Un tempo era molto grande, ma ultimamente il cantiere del Minimetrò lo ha ristretto quasi della metà. Fortunatamente c'è ancora spazio per posteggiare e il buon vecchio Tommy's Bar non lo hanno toccato (lo hanno solo spostato sul lato opposto della strada). È giusto una casa-container (sì, esattamente) ma l'ingegno e la passione dei proprietari hanno fatto in modo che restasse uno dei punti più gradevoli e trafficati della città, dove puoi fermarti a prendere le sigarette e buttare giù una birra, o rilassarti sotto la veranda ottimamente ricavata nei pochi metri quadrati che il Comune concesse.

Non che il panorama o le attrazioni siano chissà cosa: è solo un posteggio non molto ben illuminato per circa cinquecento auto a lato di una via trafficata, a lato di un cantiere edile (in questi ultimi anni), ma qualsiasi perugino c'è passato almeno una volta e molti vi si recano ogni giorno, dal pomeriggio alla sera, finanche a trattenersi per tutta la notte a cazzeggiare.

Un punto di ritrovo in mezzo a un lago di asfalto e lamiere abbastanza in ombra, dove è possibile lo smercio di bustine, pillole e ogni tanto il cristallo di un'auto va in frantumi; “C'è forse posto migliore per andare a Caccia?”, si chiedono i vampiri.

Dipende dal vampiro.

Per alcuni questo posto è l'ultimo dove metterebbero piede, per non parlare delle prede. Il miglior sangue che si può ricavare è quello che sa di adrenalina, paura o di alcol e marijuana. E poi raramente la vena che lo contiene è materiale interessante. Per questo motivo, nonostante il Tommy's non sia affatto lontano dal centro, è fuori dall'Acropoli. Questo è 'Territorio Carthiano', o così i compagni del Movimento affermano e il Primo Stato non dà conferma o smentita, ma soltanto – di quando in quando – ci fa una capatina.

Le ragioni possono essere le più disparate, e in verità sono quasi sempre di natura personale. Per esempio, la Signorina Martina Dannegelli, giovane Dama dell'Invictus detta 'Tina' e recente acquisizione della Società cittadina, è venuta qui questa sera unicamente per il brivido del proibito.

Anche se neonata (solo perché non ha sire a Perugia), lei è una Sorella del Corso, omaggiata di poter cacciare al Velvet (uno dei più esclusivi locali alla moda della città) estremamente adatto per chi ha conosciuto un Requiem a partire solo dal XXI secolo. Fu un dono d'onore che ricevette quando si prostrò ai piedi dell'Invictus dopo essere arrivata da lontano, sola e spaesata nei confronti di ogni cosa, ma ebbe la congrua furbizia di mettersi subito dalla parte di chi comanda per avere tutti i privilegi a un prezzo equo.

Ma ogni tanto Tina sente il bisogno di abbandonare i figli di papà del centro per avere una preda più casareccia. Lei si stanca presto dell'accento quasi effeminato che hanno i perugini del centro, del loro far gruppo come eterni compagni di liceo, della sensibilità raffinata, e dell'adulazione delicata per lo schianto di ragazza mediterranea che sarebbe. Alta, mora e procace, con la pelle candida e perfetta; una voce da usignolo per la quale non c'era stato uno di sua conoscenza che non le avesse proposto di tentare la via del gruppo rock o pop.

A Tina piace ogni tanto sentire “che il suo culo lo fa rizzare ai morti” (e infatti) dai vocioni a pieno petto che di solito usano a Perugia quando parlano in dialetto stretto. E le piace anche l'invadenza di quelli che, più o meno brilli o fatti, cercano di strusciarsi contro il suo corpo per sentirle le tette. E il meglio era riuscire a dare a quegli uomini l'illusione che potevano averla, dentro una macchina appartata in una stradina: la più bella figa sulla piazza, che addirittura non se la tira più di tanto. Poi vengono direttamente nelle mutande quando questa lupa dalla pelle di latte li bacia sul collo. Una figura di merda gigantesca che regolarmente li costringerà a girarsi dall'altra parte la prossima volta che la incroceranno.

Ma questi non sono che balocchi. Trastulli che lei può strappare a qualsiasi mortale. All'inizio le sembrò un potere immenso, ma sono già passati degli anni e non le basta più. Il vero piacere di farsi una scampagnata fuori porta è nell'atto di predare nel territorio di un altro predatore e rubare una vittima; con la consapevolezza che se se le cose vanno male le basterà fingere una scusa e andarsene. Le regole del gioco sono queste: se un altro entra da lei senza permesso, questo viene punito, lei però può permettersi il contrario; è una Dama del Primo Stato, gli altri sono solo zotici.

Quella sera Tina non aveva deciso chi tra Alessandro e Marco stava cercando di apparire più attraente nei suoi confronti. Seduta su una panca della veranda, si faceva accendere le sigarette e giocherellava con lo shottino di rum e pera sempre all'altezza della scollatura. Era ancora presto, e poi c'era un tizio con un paio di spalle larghe che faceva un gran casino dietro di lei. Se avesse iniziato a tirarle contro le bucce delle arachidi, forse avrebbe scelto lui per umiliare qualcuno stasera. Immersa in tutto quel calore di viventi, quasi non si accorse che nel giro di un attimo praticamente tutta la clientela interruppe bruscamente qualsiasi attività per formare un disordinato capannello al limite estremo della veranda.

Tina non vedeva bene cosa stava avvenendo. Lasciò stare il bicchiere e si sporse a destra e poi a sinistra. Sembrava che la gente ruotasse intorno a qualcuno; in un momento le persone si allontanarono un poco ed emerse un tizio. Statura media, vestiario anonimo, capelli corti e molto, in volto, pallido. Questi si girò verso Tina: occhiaie, rughe da trentenne, aspetto da duro ritto e ben piazzato. E la fissò.

Non le piaceva, perché stavano tutti intorno a lui. E non le importava se era stata notata, il tizio aveva la faccia torva. Lo stomaco di Tina si incendiò. Del fervore improvviso le salì in faccia come uno sbuffo d'aria infuocata. Si ritrovò con la testa proiettata all'indietro, stava per cadere. Contorse il busto per evitarlo e gambe e braccia lavorarono istintivamente per alzarsi. Ebbe una visione istantanea della strada che portava al Tommy's e l'urgenza frenetica di percorrerla a ritroso, ora!

No, non qui, aspetta. Razionalizzò serrando la mascella e sentendosi pungere le gengive dalle zanne scattate istintivamente nella bocca.

Aspetta, respira. No, che ti vien da urlare, raccogli la borsetta.

Riuscì negli intenti, poi le gambe fecero da sole e senza preoccuparsi del fatto che qualche suo conoscente poteva notare la sparizione precipitosa. Non era quello il suo pensiero attuale.

Tina uscì dalla veranda per infilarsi tra file delle auto parcheggiate, passando al centro del piazzale, zona completamente nel buio. Sarebbe arrivata in fondo, al terrapieno dove c'erano delle scale, salendole sarebbe giunta al livello della strada principale e poi seguendo le scale mobili sarebbe ritornata in un luogo più adatto a una signora. E se qualcuno avesse tentato di fermarla, gli avrebbe fatto scoprire che non è mai il caso di infastidire una Daeva a cui si è guastata la serata.

Due occhi neri si spianarono di fronte a Tina. Gelidi, sembravano due bocche di un'arma da fuoco. Oltre questi c'era una fronte spaziosa, un volto quadrato sporcato di fitta barba incolta da qualche giorno con dei neri capelli corti.

Era sempre quello quello di prima, ma senza il Marchio di prima. Erano in mezzo a due auto. Tina poteva solo tornare indietro, ma non sembrava il caso. Ma che voleva questo? Era un Fratello? Se lo era, era un Mekhet o un Infestatore Carthiano. Tina avrebbe dovuto sapere come comportarsi, si era persino preparata le battute tempo fa. Ma questo qua le faceva terrore. Era un Nosferatu, sì, indubbiamente. Magari non era inguardabile come al solito, ma faceva impressione. E poi chi lo diceva che non era mostruoso? I Nosferatu sanno usare quel trucco per somigliare agli altri...

Signore. Ma che vuole? Non dice niente. Non fa niente. Non è altissimo ma è grosso. Va be', la stazza non conta, conta il Sangue, e se l'aveva fatta scappare solo facendogli sentire la sua Bestia era un casino. No, niente panico! Tina sei dell'Aristocrazia, non può toccarti.

Va bene mi scuso, non volevo, una persona che conosco ha voluto per forza venire qua...” L'Infestatore che sembrava la quintessenza di una belva sanguinaria in jeans e giubbotto di pelle non la fece terminare: “Chi sei?”, le disse strizzando gli occhi e aggrottando la fronte.

Io sono Martina Dannegelli! Tu non hai freddo?” Rispose lei infilando una frase in codice nel momento più appropriato.

I morti non hanno freddo”, rispose il supposto Infestatore.

Tina iniziò a rivivere una scena del passato: una giovane Dannata smarrita nella notte che vagava a casaccio in una città sconosciuta, l'incontro con un altro Fratello. Certo, ora gli interpreti non erano esattamente gli stessi, ma tanto bastava.

Io sono una Sorella dell'Invictus. Sai, no?”

Sì, sì. Lo sono pure io”.

Eh? Ma mi sta prendendo in giro oppure?”

No. Quando sarà la prossima Corte?”

Un secondo di attesa e Tina si sentì il seno compresso dal petto del vampiro mai visto prima. “Quando?” Ripeté lui scandendo e impedendo così ogni possibile reazione alla molestia.

Il tredici del mese”, fu costretta a rispondere la bella Daeva. Lui si ritrasse, mosse i piedi e si allontanò da Tina. Lei non ebbe il tempo di rialzare gli occhi che aveva abbassato intimorita che già l'altro era scomparso dalla vista.

Tina sperò di essere rimasta sola, così avrebbe potuto sfogare la rabbia con una sgambata fino in centro. Era a piedi perché non si fidava di prendere un autista quando si avventurava fuori dall'Acropoli; i servi del Primo Stato hanno la lingua lunga.

Traversò il piazzale e salì sul marciapiede. Cosa avrebbe fatto di questo brutto incontro? Non lo aveva mai visto prima e aveva detto di essere uno di Loro? Impossibile! Poteva essere qualsiasi cosa, ma non un Fratello di Qualità; non solo era acconciato come l'ultimo dei Selvaggi tra i Pagani, ma quell'atteggiamento...Il corpo dei Fratelli è sacro! Non si tocca. E il fatto che le era piombato sul seno a quel modo era il dettaglio peggiore di tutti. Era sembrato che la volesse divorare, non desiderio sessuale ma bramosia cannibalesca.

Avrebbe raccontato tutto a suoi anziani? No, no. Non solo avrebbe dovuto confessare la sua scappatella, ma anche ammettere di essere stata inetta: volle concedersi un lusso tra i pericoli della città e si dimostrò incapace di fronteggiarne uno. Meglio fare come tutti: mantenere il silenzio. Si dice che il silenzio paga.

Ma se poi quel coso feroce sarebbe ricomparso, se le cose sarebbero venute a galla? Le cose vengono sempre a galla! Signore! Che disastro!

Qualcosa doveva farla assolutamente. Doveva dirlo a qualcuno, ma a chi? Era appena arrivata e già mezzo Dominio si era ingelosito di lei. Finora le era andata bene (a parte quella storia proprio nelle prime notti, ma va be'), ma sapeva che in molti non aspettavano che il minimo momento di debolezza per punirla e umiliarla; soprattutto il Primogenito Florenzi...Ma sì, il Barone! Certo! Alla prossima...

Oh no! Ancora!

Un altro Fratello era nelle sue vicinanze. Tina alzò gli occhi e lo vide. Questa volta lo riconobbe subito. Era una Succube. L'unico Daeva dei Carthiani, si chiamava Basile e le era stato detto di trattarlo sempre con disprezzo più o meno manifesto. Tina avrebbe avuto persino il diritto di evitarlo se fosse stato possibile, ma il confratello di clan puntava dritto verso di lei.

Questo Basile non è tanto male dopotutto, anche se a Tina piacciono più alti di lei (cioè sopra l'uno e settanta), e si dice che è Carthiano perché lo fu il suo sire, e fu pescato proprio tra la feccia di Perugia. E si vede: eskimo, anfibi e pantaloni sformati. Bleah, per non dire di quel ridicolo taglio capelli fino al collo che andava cinquant'anni fa.

Basile le sorrise.

Tina non aveva mai fatto caso ai suoi occhi quasi grigi, però quel filo di barba se la potrebbe radere.

Buonasera Signorina”.

Tina stava ancora cercando di evitarlo, si fermò di scatto allargando le braccia e facendo un mezzo passo indietro in segno di ripulsa: “Mi hanno già mandata via, va bene?”, rispose lei frettolosa.

Basile continuava a sorridere col suo volto da ragazzo intorno ai venticinque: “Oh no, non si preoccupi”.

Infatti non mi sto preoccupando, me ne sto andando”.

A Basile sarebbe piaciuta una risposta diversa. Tina lo intuì perché certi vampiri (per fortuna) non cambiavano mai.

Chi ha incontrato Signorina? Me lo dica che metto tutto a posto”, ci provò ancora Basile, e Tina capì pure questa volta l'intenzione di trattenerla, così che un Invictus si 'confondesse' coi Carthiani.

Oh non lo so, mi ha fatto uno dei vostri scherzi da Nosferatu!”

Ma io...”

Arrivederci”, disse infine Tina, lasciando (questa volta fu il suo turno) lì dov'era Basile.

Mi ha confuso con un Nosferatu la stronza! Merda! Sia stato di proposito o no, la prossima volta che la becco nel nostro territorio non la passa liscia.

Intanto, per smaltire l'offesa, Basile avrebbe puntato sul Tommy's, aveva una mezza voglia di prendere alle spalle il primo stronzo che capitava e stapparlo sopra il cofano di un'auto. Neanche il tempo di coprire metà della distanza che restava e il Motorola Razr iniziò a squillare: Asclepio.

Basile rispose.

Oh! Di' Oh! Ma posso sape' indo' se'?”, si sentì trapanare un timpano dal donca di Asclepio.

Ch'è successo?”, sbuffò in risposta per darsi un tono.

La ronda! Per Dio! Perché non stai all'ospedale a fa' la ronda?”

All'ospedale? Ma mica toccav'a me!”, rispose nuovamente affrettando la cadenza in dialetto.

Ah, no eh? 'Spetta”.

Basile sentì dei rumori indistinti, come uno sfogliare di carte. Dopo pochi secondi tornò il vocione di Asclepio che non permetteva di capire se era incazzato o meno: “Ma chi è che scrive com'un figlio di tre anni?”

Basile avrebbe voluto far notare che i bambini di tre anni di solito non scrivono, ma gli venne in mente una parola e prima ancora di averla finita di pensare l'aveva esclamata: “Peppe!”

Peppe? Ma Peppe st'a Marsciano stasera”.

A fa' che?”

Lassa gì”, rispose in dialetto stretto Asclepio, “Sta in ritardo”.

E ma io non ne sapevo niente”.

Vabè, vabè. Vien giù, c'è bisogno”.

Ma io”.

T'ho detto: vien giù!”

Ok, ok, non t'incazzà tanto”.

Il compagno Stefano Basile si trovò nell'inderogabile condizione di dover lasciar perdere i propositi di caccia muscolare antecedentemente preventivati e persino di rinviare il successivo incontro coi freghi che aveva in lista per quella notte. Pensare che proprio questa sera aveva la mezza intenzione di introdurre qualcosa di più al suo piccolo gruppo di proletari incazzati col sistema: superare la fase dei litigi più a parole che a fatti con i soggetti clerico-liberal-fascisti della provincia e puntare più su progetti di aggressione a determinati nodi del sistema. Tutto rinviato, merda, per un'altra notte ancora a causa di questa convocazione. Fortunatamente le prospettive di lungo periodo non erano un suo problema.

Mentre scendeva con la sua Alfa Brera da Piazzale della Cupa verso l'Ospedale, annunciò ai suoi che stasera doveva scopare una, e quindi si rimandava. Poi arrivò al Silvestrini, posteggiò ed entrò passando per la porticina del magazzino della biancheria di cui aveva la chiave ed era (in pratica) l'unico Carthiano a dover evitare le entrate principali della struttura perché dopo la disgrazia occorsa al suo sire, Caterina, Basile era rimasta l'unica Succube del Movimento. La sua congrega non aveva quello che si poteva chiamare un 'vasto assortimento di Famiglie'; la maggioranza dei compagni erano Nosferatu, attratti dal carisma del Prefetto (nonché anziano e Primogenito), c'era un'Ombra (Peppe) venuta giù dal Veneto circa vent'anni fa e infine c'era lui. Ma la situazione non dispiaceva Basile, il suo era l'unico Marchio presente alle assemblee del Movimento, e poi si ricordava che era sempre stato così fin da quanto era stato vivo; a quei tempi era un agiato figlio di papà che sentiva un certo impulso a condividere la rabbia e il desiderio di ribellione con i figli della gente lasciata diseredata dalla guerra. Poi conobbe Caterina che lo rese Immortale e dotato di una cosa magica, la Luce, dicono i Daeva. Per lui quindi il fatto di essere affascinante e brillante in mezzo a una moltitudine d'Infestatori e di Ombre non è assolutamente la prima scelta su una lista di brutte opzioni.

Basile camminava a memoria nei recessi della più grande struttura ospedaliera dell'Umbria e pensava tra sé e sé a una serie di battute pungenti per quella montagna di Nosferatu paranoico di Asclepio, sempre pronto a rompere il cazzo agli altri compagni per strapparli alle loro faccende private e a costringerli a passare ore a discutere nell'obitorio dell'ospedale. Forse soffriva di solitudine, chi lo sa, di solito si evita di fare domande di questo genere agli Infestatori anche dopo mezzo secolo di conoscenza.

Proprio quando si trovò di fronte alla porta della saletta che il Movimento utilizzava abitualmente per ritrovarsi all'interno dell'Ospedale, a Stefano venne in mente la seguente battuta: Oh, di' oh! Ma proprio a me devi veni' a mugne' il cazzo? Ti ricordo che mi devi un favore: chi t'ha consigliato di compra' la Pegeout 1007 pe' non ave' più problemi colle portiere de le macchine?

Poi aprì la porta e trovò Asclepio seduto – o meglio, la posizione della sua massa suggeriva che sotto quella vi fosse una sedia impegnata in uno sforzo enorme – le braccia abbandonate sui fianchi e la sua seconda bocca estremamente ben visibile. Non era proprio il momento di far battute.

Ci sono molte cose nei vampiri che travalicano i limiti della natura, della scienza e della normalità; alcune sono sottili, altre più evidenti, e i Dannati imparano a nasconderle abilmente. Ma è quasi del tutto impossibile abituarsi al senso di disagio e di orrore che provoca un Nosferatu, specialmente quando non è intenzionato a mettervi a vostro agio. Infatti Basile cercò di salutare il suo compagno di congrega facendo un solo e semplice gesto di complicità, annuendo e contraendo le labbra, come per dire “Tosto. Bella lì, socio”.

Oh toro”, disse senza convenevoli Asclepio, “Qui la babbìlonia del non si sa chi cazzo non c'è, chi sta di ronda e chi si spara le seghe al cesso deve fini' una volta pe' tutte”.

Stefano si staccò dalla porta del salottino dei medici buttando in avanti il petto e con lentezza consumata (e un pizzico di circospezione) arrivò a una sedia per lasciarsi cadere con uno sbuffo. Mancava solo che mettesse i piedi sul tavolo, ma evitò: “Ch'è success?”, sibilò con tranquillità.

Visite”.

Stefano socchiuse gli occhi e alzò il mento nella direzione opposta a quella di Asclepio e tese le labbra per sorridere. Era come se dicesse: “Ebbe'? Quando il sangue scarseggia vengono tutti a casa degli 'zotici' a elemosinare, i Lorsignori”.

Schidone”, sillabò sibilando Asclepio.

Stefano perse l'aria da furbetto. Sul suo collo i capelli da popstar britannica quasi si rizzarono e la sfacciataggine lasciò il posto al sospetto: “Gl'hai spezzato le gambe, ve'?”

Maddèche!”, rispose Asclepio come l'anziano seduto al tavolino del bar, “Diceva che l'aveva mandato il Barone ché dovevamo combinargli 'na nottata co' Attia”.

Stefano aggrottò un sopracciglio, il suo bel volto di ragazzo era distorto in una smorfia: “E glielo combini! Dico, gli combiniamo 'no scherzetto in modo che la Bestia se lo magna?”

So 'na sega io!”, eruppe Asclepio con un che di minaccioso, “A 'ste cose ci pensa Teucride, ora ascolta a me, quest'è importante: sai com'è arrivato qua Skidone?”

Lasciando la macchina negli spazi pell'ambulanze e sonando il clacson?”

No! Merda! S'è fatto piglia' sotto da'n SUV ed è arrivato coll'ambulanza come un morto”.

Basile cercò di parlare, ma le sue parole si mescolarono a una risata che non riuscì a trattenere: “Ma a 'sta cosa c'avevo pensato pur'io”, e poi scese col volto sotto il tavolo travolto dall'ilarità. Si riprese a causa di un rumore metallico. Alzò gli occhi e vide il gigantesco Asclepio che ingombrava tutto lo sfondo. Paventò di chiamare il Sangue per esser pronto a qualsiasi evenienza.

E de 'ste cose ne parliamo solo dopo che so' successe?” Gridava, “Oh, ma io 'sto territorio me lo so' guadagnato co' un Requiem di lavoro, e voglio che sia davvero del Movimento, e non solo che i Lorsignori ci concedono di stare, ma poi tutti quanti fanno il cazzo che vogliono!”

Basile riabbassò la testa come un ragazzino: “No, no Scle', c'hai ragione”.

Asclepio gli dava le spalle: “Andiamo. Ti devo fa' vedere una cosa”.


Stefano era divenuto familiare con la vista dei cadaveri posti sopra un piano d'acciaio molto prima che la stanza delle autopsie diventasse una scenografia ricorrente nelle serie televisive. Aveva anche sviluppato una certa sensibilità del tutto particolare rispetto ai corpi che vedeva ogni tanto, quando Asclepio lo lasciava entrare. La chiamava 'il Muso della Morte', e non aveva niente in comune con le fisionomie dei defunti che vedeva. Quelli non erano che oggetti sui quali la Morte si depositava e parlava a chi, come Stefano Basile, aveva il fantastico lusso di farsi beffe sia della Morte che del suo oggetto. Immortale da cinquant'anni e più, di vivi morenti, morti viventi e andati del tutto ne aveva visti a sufficienza, ma non abbastanza da non stupirsi o disgustarsi – e Asclepio lo teneva sott'occhio di proposito.

Sul piano fino a pochi secondi prima c'era stato un morto coperto da un telo di cotone color verde stinto; ora c'era qualcosa di orribile e indefinibile anche per chi è un fenomeno soprannaturale. Stefano fissava con gli occhi che sembravano di vetro un corpo con la gola offesa da una ferita irregolare e slabbrata lunga circa quattro centimetri. La carne lacerata e strappata aveva un che d'arte perversa, ma a parte questo, e a parte il fatto che solo dei denti avrebbero potuto fare quel genere di lavoro, il peggio stava oltre la ferita. Il cadavere era quello di una ragazza, bionda e magra, doveva aver avuto un incarnato pallido anche da viva; la pelle era liscia e tesa, e su questa risaltava una fitta trama di strie blu e violette che correvano su un intero quarto dell'epidermide. Anche questo raccapricciante dettaglio aveva un tocco d'arte, sembravano tatuaggi certosinamente disegnati per imitare i corsi di decine di torrenti e fiumi che confluivano l'uno dentro l'altro; invece erano proprio le sue vene e le sue arterie che si erano inspiegabilmente esposte sulla pelle. Dall'arteria del femore sinistro a quella del braccio, senza escludere una fitta tela intono all'aorta e ai polmoni, quel complesso disegno dei torrenti e dei canali di un corpo umano convergeva alla ferita sul collo che si completava con un grosso ematoma. Quando Asclepio accese una lampada Stefano poté notare meglio il fosco riflesso del sangue coagulato intorno a quella strana lacerazione.

Ma che è?” Chiese Stefano decisamente turbato se non dal Muso della Morte almeno dal mistero.

Asclepio fece risuonare il suo vocione da popolano: “Quest'è la Scorza! Altrimenti detta la Buccia dai compagni fuori Perugia”.

Eh?” Fece Basile per poi aggiungere d'istinto: “Roba nostra?”

Asclepio allargò un sorrisetto con la bocca buona, il grasso delle guance prese tono alzandosi ad affossare i suoi occhi piccoli e miopi, trasformandolo in una maschera grottesca.

Sine, è un potere ch'è stato inventato in tempo di guerra, quando c'era poco da magna' in giro e toccava fa' di fretta...Tant'era tempo di guerra e i morti fioccavano...Indovina un po' perché si chiama Scorza?”

La cosa era evidente: “Perché quando finisci della vacca non resta altro che la buccia di fuori”.

Già: se so' bevuti 'sta pôretta in pochi minuti minuti, pô èsse' secondi. I segni sulla pelle vengono da una vasculite acuta dell'apparato circolatorio. Detto tra noialtri, quel che se l'è fatta, l'ha succhiata come se al posto della bocca c'avesse avuto un'idrovora da diec'atmosfere”.

Cazzo bisogna èsse' de' tori per fa' 'sto lavoretto di bocca”.

E sì eh, e forti e pure celeri”.

Asclepio non aveva ancora gettato quella smorfia a suo modo rubiconda, e a sentirlo Stefano ebbe un sussulto: “Ah no eh! Non è ché so' Daeva che dovete cerca' me! Io la guerra non l'ho fatta, ero figlio ai tempi, la Scorza non la so fa'”.

E allora la cosa è un po' più incasinata di quella che si pô pensa'”.

Ah bene, hai pensato subit'a me!”

A di' il vero avrei preferito pensa' Caterina che di bocca era notoriamente bôna, peccato ch'è cenere da trentanni ormai. Siediti che ti racconto un paio di retrosceni su 'sta morta”.

Basile cercò uno sgabello e bloccò l'impulso di aggredire Asclepio per la pessima battuta su Caterina. Va bene! Cristo! Caterina era una troia e persino una stronza traditrice, ma era stata il suo sire e l'unico vero amore della sua esistenza, vincolo di sangue o meno. Va bene! Cercò di fottere mezzo Movimento d'Italia nel tentativo di vendere il Sangue della famiglia Zelani al Barone, e i compagni del Movimento la fecero fuori, ma ora basta! Quanto durerà l'onta per la sua progenie innocente?

Allora”, iniziò Asclepio, “'Sta disgraziata ce l'ha portata quelle belle chiappe del Segugio”.

Merda”.

No, no. Ce l'ha portata com'al solito pe' smaltire in modo pulito il corpo”.

Ah bene”.

Sì ma, visto com'è conciata, vôl saper di più”.

Eh certo, che culo che possiamo imboscare la storia”.

Seh! Ti sembra facile! Non sai mica indo' l'han trovata a questa”.

Ah già!”.

Nel territorio dei Pagani”.

Eh?” Basile sgranò gli occhi.

E non di': allora so' stati loro! Ché so' stati proprio loro a chiama' il Segugio pe' avverti'”.

Basile iniziò a sentire puzza di merda, ossia previde che la faccenda si sarebbe complicata esponenzialmente.

Quelli del Circolo”, continuò Asclepio, “Sàran' matti, ma non so' stupidi: ti trovi co' un corpo di reato in casa, meglio evita' casini se non c'hai colpa. Giusto?”.

Più che giusto. Ma siam certi che non so' stati loro? C'è quella lì...Quella censurata ch'era un'ergastolana matta...Quella dice che potrebbe fa' cose del genere”.

Sì, la Sambuco. Lei potrebbe...Potrebbe taglia' i diti a qualcuno e poi infilarglieli uno pe' uno su pe' il retto...Ma non pô fa' questo...” Asclepio impugnò un bisturi e incise la carotide della morta sul lato integro del collo: non uscì una goccia di sangue, “...Se non c'hai la giusta conoscenza de le Qualità del Sangue”.

E chi ti dice che solo un Carthiano pô fa' una cosa del genere? Poi quelle so' streghe!”

Ma m'ascolti? Primo: 'sta cosa della Scorza la sappiam io e te; secondo i Pagani non han trovato solo 'sta morta, ma anche due tizi che la stavano a butta' in un casolare abbandonato”.

Apposto!” Stefano si batté i palmi delle mani ma notando che Asclepio non lo assecondava: “Vôi dire che?”.

Che i Pagani so' matti e non stupidi, ma dato che la loro matteria vie' prima de la loro intelligenza, prima si so' svenati quei due, poi si so' accorti del cadavere. Vuoi vedere?” Indicando le celle frigorifere.

No, mi fido”, rispose Stefano, “Per me, l'han fatto di proposito pe' rompe le palle”, proseguì.

Probabile”, gli fece eco Asclepio.

Quindi?”

"Quindi un cazzo. Cioè dobbiam sape' chi è stato, possibilmente prima che i Lorsignori incomincino a rompere i coglioni”.

E poi se ha usato pe' davvero la Scorza gli facciamo democraticamente il culo, giusto?” Stefano fece scrocchiare le ossa del collo.

Prima tocca arrivarci, e 'n fretta”.

Sì, sì. Che sappiam di 'sta morta?”

Ch'era una battona: abiti da troia, zatteroni, niente documenti, contanti in borsa, rossetto e un sacco di preservativi”.

Quindi potrebbe averla ammazzata chiunque”.

Il problema è un altro in verità: quando un vampiro ammazza una puttana, quelli dell'Invictus si incazzano du' volte: una volta per via della Tradizione...”

La seconda perché tutte le lucciole di Perugia so' roba loro: gl'hai distrutto un mezzo di produzione, gl'hai mancato di rispetto eccì eccì eccì...Solite stronzate da mafiosi”.

Già ma il peggio è che l'Invictus è già incazzato pe' un'altra cosa”.

Cosa?”

Oh ma tu non sai mai un cazzo! Qualche notte fa è saltato per aria un laboratorio al Mignottificio”.

Fico! Noi non c'entriamo niente, vero?” Fece Basile passando dall'esaltazione alla depressione.

No ma potrebbe fini' male lo stesso. Dice che nessuno ha spiegato come sia saltato in aria il laboratorio di Cestcenko, e questo fa incazzare il russo. Secondo te, stanotte che si ritrova co' una puttana di meno come si sente?”

Del brutto...”

E secondo te, se noi facciam finta di niente, mollerà l'osso?”

"No", disse Stefano pensieroso. La storia era un casino assurdo, “Di' un po': ma di quei due che so' morti sotto l'artigli de i Pagani? Che se ne sa?”

Guardeli”. Asclepio aprì una cella e fece uscire il cadavere di un tipo tra i venti e i trenta, livido, con addosso decine di segni morsi inconfondibili. Il fisico era prestante e c'era un tatuaggio.

Cazzo Scle', ma quest'è un fascio!”.

Così me pare”.

Oh ma! Allora inizia a filare: chi è che pô chiede' a un fascio di far sparire una morta come quella senza problemi?”

Boh!”

Come boh?” Disse Stefano iniziandosi a esaltare, “Vôi di' che non sappiamo chi tra i Fratelli pô arriva' a un fascio?”

Fin quando tu e i tu' freghi li pesterete a vista invece di studiarli non sapremo mai un cazzo”, rispose da filosofo il Nosferatu.

E daje...Mo sbaglio pure in questo”.

Asclepio chiuse di scatto la cella frigorifera.

Pausa di brevi secondi.

Ma quella cosa di fa' parla' le cose?” Domandò Basile; Asclepio si girò lentamente verso di lui, “Sì, è 'na roba de la Vista”, precisò la Succube.

Io non la so fa'”, rispose il Nosferatu.

Io manco”.

Altra pausa.

Peppe!”

Peppe?” Riprese Asclepio.

Lu'è Mechét!”

No, aspe'...” Ma Basile era già uscito rapido. Asclepio non lo avrebbe mai raggiunto.

sabato 8 marzo 2008

Le Usanze di Perugia

Le usanze di Perugia

La Volkswagen Passat nera, modello station-wagon del '98 aveva attraversato quasi tutte le gallerie del raccordo autostradale Perugia-Bettolle, tranne le ultime: quelle denominate Prepo e Piscille.

Per i tre viaggiatori della vettura i nomi delle galleria significavano ben poco, a parte il fatto che dovevano riuscire a riconoscere l'uscita giusta dell'autostrada. Essere degli stranieri in viaggio per luoghi sconosciuti, raramente è una condizione piacevole e inebriante; per i Fratelli della Notte non lo è proprio mai. La loro società e le loro leggi sembrano stilate appositamente per disapprovare il facile ricorso agli spostamenti: ogni città del mondo, capace di nascondere e sostentare col sangue degli uomini almeno un vampiro, ha sempre il suo padrone. E chi tra i Fratelli spera di aver facile esistenza muovendosi lontano dal luogo dove la sua vita finì e il suo Requiem prese avvio, scopre che c'è sempre qualcuno arrivato prima di lui, qualcuno che raramente tollera intrusi e ladri dell'indispensabile bestiame.

Per queste e per altre ragioni, i Notturni cosmopoliti sono relativamente pochi e i più sono dissuasi persino dal fare una semplice visita di cortesia alla città limitrofa a causa della lunga trafila di rituali sostenuti da regole decisamente arbitrarie - come sono sempre le regole del gioco in un mondo di predatori.

I tre viaggiatori nella familiare nera venivano da lontano, addirittura da Padova. Si erano messi in moto su ordine del loro Vescovo nel tardo pomeriggio del due dicembre 2006. E dopo cinque ore e qualcosa di viaggio ininterrotto, quando la sagoma costellata e soffusa con un alone di luce della città si era presentata ai loro occhi dal viadotto tra Madonna Alta e San Faustino, iniziarono un nervoso tentativo di orientarsi, per non commettere l'imperdonabile errore di perdersi e di mancare il luogo designato alla loro accoglienza.

Il Fratello alla guida fu il primo a sincerarsi d'essere ben indirizzato, rivolgendosi alla Sorella alla sua destra, colei che teneva in pugno un mazzo di cartine stradali e dei fogli con delle indicazioni su scritte: “Aveva detto che l'uscita da imboccare è quella indicata con il nome 'Prepo', subito dopo essere usciti da una galleria Madre?”

Il vampiro femmina cercò di rispondere mentre cincischiava impacciata con le carte: “Ergh, sì...Le indicazioni sono precise, ma è la quarta o la quinta galleria che attraversiamo e tutte quelle che abbiamo già passato avevano delle uscite verso destra”.

Troppo tardi per ripensarci: la Passat stava già percorrendo la rampa di cemento attorcigliato, una delle diverse fauci per entrare nel calderone perugino.

Il Fratello sul sedile posteriore fece un gesto, per meglio dire un rumore. Forse segnalava che si era accorto della vicenda in corso, o forse per mostrare disappunto. Il guidatore cadde subito in uno stato di profonda preoccupazione: “Quindi abbiamo sbagliato l'uscita”.

L'automobile procedeva lentamente, era ancora alla metà della rampa: un limbo di confine che in quel momento poteva spalancarsi nella voragine di un luogo ostile pronta a risucchiarli. O questo fu il pensiero comune delle tre Bestie alberganti nei corpi dei tre Dannati.

La donna a cui era stato dato il compito di indirizzare la consorteria d'occasione stava per dire qualcosa ma il terzo, l'ospite sul sedile posteriore, l'anticipò: “Ci fidiamo dei suoi sensi finissimi Madre”, disse con ipocrita bonarietà malcelante stucchevole disprezzo.

Il fatto che possa vedere perfettamente nell'oscurità non comporta automaticamente che sappia intuire la direzione giusta”, rispose prontamente la femmina Ombra; e stava per porgere le cartine stradali al compagno di viaggio per incitarlo a rendersi utile e contraccambiare il disprezzo col disprezzo, ma s'ammutolì. Si fece più gelida di quanto mai fosse stata dalla notte del suo Abbraccio non appena Perugia si pose sotto gli occhi suoi lasciando esterrefatta lei, e anche gli altri due.

Torreggiava alla loro destra l'Hotel Plaza, le sue quattro stelle d'argento e una corona tricorne dello stesso colore. Le vetrate, alzate con numerose decine di finestre riversavano su di loro luce intensa con le sfaccettature del cristallo; così tanta luce che era possibile vedere senza sforzo i dettagli dei suoi interni: mobilio e sfarzo, e anche mortali in movimento di qua e di là. Tutte intorno a loro, chiusi in una scatola di metallo semovente, altre scatole scorrevano lentamente. Decine, no, centinaia in pochi metri, incanalate, sobbalzanti; quando disposte in file fluide che sgranavano, quando l'armonia s'inceppava e tutto si muoveva a scatti e senza ordine in un caos di fasci luminosi che giocavano sul parabrezza; spie direzionali che brillavano confondendosi col rosso cupo degli stop e coi taglienti riflessi delle carrozzerie multicolori. I motori rombavano o bacchettavano, uno sporadico colpo di clacson o passava la musica di un hi-fi a volume alto, e i gas di scarico formavano nuvolette prima di disperdere le loro polveri nell'aria: vita!

Sebbene fosse già trascorsa la mezzanotte il volume del traffico scompaginava virtualmente il concetto e il senso del tempo. Era una serata umida e piovigginosa, e questo esaltava ancor più l'orgia dei colori e dei riflessi. Quando con andatura altalenante e smozzicata l'auto superò l'angolo dell'Hotel Plaza, gli occhi dei tre Fratelli girarono verso destra su via Palermo e superarono d'impeto la barriera visiva dei condomini per farsi assorbire dall'alone ambrato che il cuore della città sprigionava, lassù, sulla cima della collina: Perugia!

No, le arti di una Mekhet non conferivano un gran vantaggio in una città come questa.

Il guidatore, colpito come gli altri due dallo spettacolo, era visibilmente innervosito dal traffico e dal panorama – lui era Consacrato, e il pensiero di una visione infernale fu insopprimibile.

Deve andare a destra, segua la strada: c'è la direzione obbligatoria, poi al semaforo vada ancora a destra, dovrebbe esserci un altro semaforo poco dopo, al quale dovremo poi svoltare a sinistra prendendo una via chiamata 'dei Filosofi'”, disse la donna, sperando che ciò tranquillizzasse il conducente. Ma nessuno tra loro era tranquillo.

Che città...” Sospirò il terzo passeggero con gli occhi attaccati al finestrino.

Molto affollata...Cioè incasinata”, rispose il guidatore mentre tentava di non essere d'intralcio a tutti gli altri automobilisti.

È un Principato Invictus da un secolo e mezzo, e si dice che il Principe l'abbia voluta così”, intervenne la Mekhet addetta alla navigazione.

Lui si fa chiamare Barone, ed è un Fratello molto rinomato per il suo potere e i suoi meriti. Guardate qua: una città così piccola rispetto alle metropoli del Nord, e così densamente popolata. Qui di certo nessuno soffre la fame”.

È un inferno!” Esclamò il guidatore, “Non c'è ordine, c'è solo casino. E poi il 'Barone' per creare un posto come questo ha spezzato il Dominio della Lancia. O forse il fatto che sia un anziano Patrizio lo rende trascurabile?”

Il Ventrue seduto dietro non rispose, era trasognato e sopraffatto dal fascino di tutte quelle vene a spasso per accorgersi che peccava gravemente nei confronti della Santa Lancia del Centurione e di Dio Stesso. Quel poco che si sapeva su Perugia tra i vampiri Consacrati, faceva corrispondere la città a una novella Sodoma, un carnaio di vizio, in proporzione più simile a una città del Terzo Mondo piuttosto che una delle meglio regolate città del Nord.

Ed è una città pericolosa”, puntualizzò la 'Madre' a supporto del guidatore mentre l'auto solcava i tornanti della sezione più bassa di Via della Pallotta, prima dell'incrocio a cui avrebbe svoltato a sinistra per porre fine al viaggio, “Per quanto sembra, questo edificatore di città per il Primo Stato che da tanto regna, non è capace di eliminare dei nemici come Sette, e tante altre cose...”

Altre cose cosa?” Replicò piccato il terzo passeggero, “Se qui abitano oltre trenta Fratelli le sembra semplice evitare che vi siano – di tanto in tanto – vicende un po' turbolente? Non si senta libera di denigrare il Primo Stato quando noi stesi a Padova siamo soggetti al Dominio dell'Invictus meneghino”.

Oh no, mai! Io accetto in pieno il Volere di Dio che ci ha posti come secondi sulla terra, Custodi dello spirito dei Fratelli piuttosto che della loro politica; ma le storie che arrivarono su Perugia dieci anni fa, raccontarono bene come questo posto abbia la necessità di una guida di Fede piuttosto che di Potere”.

L'auto era di nuovo ferma a un semaforo: “Dieci anni fa..?”, si lasciò sfuggire il Ventrue sul sedile posteriore.

Svolti a sinistra, sempre dritto fino in fondo, troveremo un posteggio a pagamento chiamato Piazzale Europa”. Fu la risposta della donna vampiro.

Cosa accadde dieci anni fa?” Ripeté ancora il Ventrue.

Il Maligno”, si sentì rispondere e ciò provocò in lui uno sbuffo annoiato.

Parlo di segni evidenti e di lutti numerosi, parlo di segni di malvagità e di presagi infausti, parlo della Sua presenza e del Suo potere concreto...” Lo inondò la Mekhet, “E del fatto che nessuno ha mai affermato con chiarezza che tutta l'opera dell'Avversario fu distrutta...Non dovrei, ma ho come il timore che Lui sia veramente in questa città e che lusinga col suo fascino alcuni Fratelli non appena vi mettono piede”, si udì un rumore sordo e animalesco da dietro, “Che sono chiamati a officiare un rito, per giunta”, si affrettò a concludere la donna come se volesse mordersi la lingua mentre in contemporanea il guidatore scattava per controllare che il terzo viaggiatore non andasse oltre il sussurro ferino, come minaccia nei confronti di un'Ombra dalla lingua lunga.

Fortunatamente il viaggio era giunto al termine. Percorsa fino in fondo la via che tagliava uno dei vecchi quartieri popolari della città, la più recente struttura di Piazzale Europa li attirò come una calamita attira una pagliuzza di ferro. Erano a poche decine di metri dal primo Elysium cittadino e ne erano del tutto inconsapevoli. Gli era stato detto di lasciare l'auto al parcheggio sotterraneo e di salire sulla terrazza, laddove una serie di scale mobili collegano il posto con una strada a un livello ancora più in alto, e così via tra scale, elevatori e altri tapis roulant fin sulla sommità dell'Acropoli.

Quando scesero dall'auto nel parcheggio sotterraneo, le loro articolazioni scrosciarono rumorosamente, ma nessuno di loro si sentiva realmente stazzonato dal lungo tragitto sulle strade di mezza Italia. Invece li disturbò un poco la presenza delle telecamere, il vero nemico dei vampiri negli ultimi anni, ma le note ricevute dicevano che questi dispositivi capaci di rivelare inconfutabilmente la loro natura a un osservatore qualsiasi, non dovevano essere motivo di preoccupazione per loro fin quando (perlomeno) loro non sarebbero stati un motivo di preoccupazione per altri Fratelli...La sottigliezza e le lame che tagliano da tutti i lati sono delle speciali costanti nella società Dannata, basta sopravvivere a essa per alcuni anni per abituarsi al fatto che ogni libertà nasconde una minaccia e viceversa.

Gli era stato detto che se fossero giunti in orario, avrebbero trovato un Fratello ad attenderli. Non gli era stato detto cosa sarebbe successo se avessero tardato, per questo avevano controllato forsennati gli orologi durante tutto il tragitto.

Salirono le scale interne fino alla terrazza, come indicato. Cadeva una pioggerellina fine, quasi impalpabile, e sembrava una serata fredda e fastidiosa. In base alle loro esperienze doveva essere una serata con poco bestiame in giro, ma in questa città le regole parevano del tutto aliene (sì, demoniache). Perlomeno le intemperie rendevano frettolosi gli uomini, con i baveri dei cappotti sulla bocca e i copricapi calcati sulle teste abbassate.

Salirono e, niente. Neppure si guardarono intorno. Si strinsero tra loro fingendo un tentativo di condividere del calore; aspettavano di sentire un Marchio, la scarica dell'energia della Bestia che correva su per la schiena e ronzava all'altezza delle orecchie ogni qual volta due predatori di sangue si incontravano. E speravano che non accadesse niente di brutto. Perché, ognuno di loro e ognuno della loro Gente, ha il suo Marchio, e la Bestia: il mostro personale che seppur non parla è sempre irresistibilmente chiara e semplice. L'istinto, il demone della Dannazione che col Peccato Originale entrò nell'Uomo, e col Peccato del Sangue che ogni sire compie quando crea una progenie vampiro, risale in superficie erodendo parte dell'Uomo (o quasi tutto). La Bestia è il male del mondo, la quintessenza del peccato, la forza bruta che fa schiacciare senza misericordia e ragione il più debole; la perfida astuzia che fa scappare impazziti di paura quando incontra un predatore più potente di Lei stessa. A conferma della verità assoluta che Dio ha dato posto ai Dannati nel mondo, vi è quella verità per la quale ogni volta che due vampiri si incontrano la prima volta, per un secondo o per molto di più, l'Uomo scompare e la Bestia conquista spazio. Solo con la Fede e con la Grazia del Signore che reprime la forza oscura della Vitae, si può impedire che due Fratelli si saltino alla gola ogni volta.

Il Marchio sopraggiunse dopo pochissimo. Nessuno dei quattro (perché si era aggiunto ovviamente una altro Fratello) volle muoversi fin quando non fu sicuro che il l'Animale non avrebbe giocato uno dei suoi schemi perversi. Poi i tre, per così dire, tirarono un sospiro di sollievo: erano arrivati puntuali.

Sonia Corsari era di fronte a loro – chi per funzioni e Qualità del Sangue poteva essere migliore per riceverli? Milizia dell'Augusto Barone e Sangue di Loup-Garou, con la forza ricevuta da questa Vitae non tremava mai di fronte a nessuna Bestia, neppure a quelle più potenti.

Sonia si riparava dalla pioggia grazie a un ampio ombrello color crema, sotto il cappotto scuro e la sciarpa di alcantara indossava uno dei suoi tailleur da manager con pantaloni e stivali. I tre videro solo una Sorella Abbracciata quando doveva avere sui trent'anni, abbastanza alta e di aspetto gradevole, forse con dei lineamenti un po' anonimi; poco trucco e solo una spilla sul taschino del cappotto dove i signori, invece, di solito fanno sfoggio di un fazzoletto sapientemente ripiegato.

Ma quando la ragazza dai capelli nei raccolti sulla nuca li salutò, i tre dovettero dar dimostrazione di rispetto, riverenza, etichetta e anche di un pizzico di timore.

Benvenuti Fratelli. Sono la Signorina Corsari, Sangue di Luop-Garou, Milizia del Dominio di Perugia e Inviata dall'Augusto Barone Stesso a porgere la Sua accoglienza ai benvenuti”, disse Sonia con naturalezza, restando ritta e piantata sui suoi tacchi perché in quel momento lei era il dominio in persona per loro.

Il Ventrue fu il primo a scostarsi dai compagni di consorteria per presentarsi; non era molto alto, un mezzo biondo un po' grasso sui quarant'anni con la pelle lucida e ambrata: “Onorato dell'accoglienza. Paolo Valtenti, Fratello Consacrato del clan dei Ventures. Sono giunto con i miei accompagnatori su richiesta di Sua Eccellenza il Vescovo di Perugia. Porgo i miei rispettosi saluti, e quelli di sua Eccellenza in Padova a Sua Altezza il Barone”, abbassò ossequiosamente il capo, “E sono lieto di fare la vostra conoscenza”.

Grazie Signorino Valtenti”, rispose la Corsari appioppandogli d'ufficio uno status lei stessa, visto che Valtenti aveva trascurato di dichiarare la sua età, “Il Dominio è a conoscenza del vostro arrivo e del motivo che vi ha mosso a fare il lungo viaggio, spero che sia stato piacevole” – “Piacevole, sì”, interruppe Valtenti, e la Corsari fu costretta a indurire la voce: “Prima che vi scorti presso i vostri Fratelli di Congrega, permettetemi di conoscere i vostri compagni”.

Sono Simone Malipietro”, disse alle spalle del Ventrue quello che aveva guidato per tutta la strada senza interruzioni; ben piazzato di spalle, chiuso nel cappotto e con un cappello ben calcato sulla fronte che lasciava vedere molto poco a parte un volto ruvido, chiazzato irregolarmente di barba spinosa, “Ancilla dei Nosferatu di Padova e Unto dalla Sacra Lancia”. Adesso si capiva bene il motivo dell'abbigliamento decisamente ottenebrante; ma il rappresentante degli Infestatori ebbe un inaspettato atto galanteria: “Permetta che le presenti la Sorella Madre Amorosa, Ancilla delle Ombre, anch'essa devota a Longino”.

La Corsari si sforzò di rivolgere un sorriso cordiale al vampiro minuto che vestiva come una vecchia: scarpe basse, calze di tessuto grossolano e spesso, cappotto dozzinale e la testa coperta da un fazzoletto; l'unica cosa che usciva dal fagotto era un paio di grossi occhiali, quadrati, con la montatura d'osso.

Una compagnia molto mal assortita, facciamo in fretta a scaricare il pacco. Pensò Sonia.

Bene, lieta delle vostre presentazioni. Vi recherò immediatamente da sua Eccellenza il Vescovo Monteleoni, e strada facendo vi illustrerò alcune usanze che dovete conoscere indispensabilmente. Se volete seguirmi”, disse Sonia e si voltò in direzione delle scale mobili che portano verso la stazione di Sant'Anna iniziando ad ancheggiare come solo lei sa fare.

La vostra è una magnifica città e sarebbe meraviglioso avere il privilegio di restare in visita, purtroppo alcune incombenze che abbiamo lasciato a Padova ci richiameranno immediatamente sin da domani notte”, disse ambiguamente Valtenti.

Domani sera è prevista la vostra Presentazione”, smentì seccamente il Segugio, “L'Augusto in persona vi darà formale accoglienza nel Suo Dominio, e se l'Augusto avrà un impegno inderogabile, sopperirà alla funzione sua Signoria Ortensio del Megnis, anziano Priore del Sangue Patrizio”.

Oh ma non vorremmo essere per voi un peso”, provò lo stesso il Ventrue.

Erano già arrivati di fronte alle scale che si alzavano in una fenditura fra dei palazzi a cavallo tra il piccolo parcheggio della stazione e Via Roma. Anche se era l'una di notte, dovettero rallentare l'andatura per via della calca. Quale situazione migliore per mostrare a questi padani che i loro timori erano del tutto infondati!

Perugia è prospera e ricca. Siamo tanti e voi non sarete un peso”.

I tre si guardarono intorno abbastanza frastornati e persino assetati, visto che la loro partenza era stata così 'mattiniera' da fargli saltare la colazione.

In questo momento ci troviamo in quella zona di città chiamata l'Acropoli. Per la precisione siete entrati nell'Acropoli quando avete svoltato al semaforo di Via dei Filosofi”, riprese la Corsari mentre li guidava nell'attraversamento di una delle canalizzazioni intasate intorno a Largo Cacciatori delle Alpi verso il sottopassaggio che li avrebbe condotti alla porta dei Tre Archi. “L'Acropoli è la zona di maggiore pregio e privilegio della città per noi...” Sonia lasciò che l'allusione si completasse da sé nelle menti degli altri in quanto erano spalla a spalla con un gruppuscolo di studenti. Quando si furono distanzianti abbastanza, riprese: “Tutto l'intero territorio dell'Acropoli è suddiviso e assegnato ai Fratelli e alle Sorelle di indiscusse qualità, i 'Fratelli del Corso'. Solo loro possiedono su concessione dell'Augusto il diritto di caccia sui loro territori assegnati: chi ha un locale molto frequentato, chi due o tre piccoli, altri alcune palazzine popolate e vivaci”.

Passando di fronte al primo pub del centro storico vero e proprio, Sonia rallentò di nuovo e raccolse sotto l'ombrello quanti poté degli altri, abbassando la voce fino al sussurro: “Non è tollerato in nessun modo che qualcuno si nutra senza permesso nell'Acropoli. O vi è la Parola dell'Augusto, oppure l'assegnatario vi invita; qualunque altra situazione è ritenuta Bracconaggio”, l'esposizione dell'ultimo concetto fu veramente aspra, per mettere in evidenza che quelli erano i casi che potevano interessarli.

Siate cauti”, riprese Sonia sotto la chiesa di Sant'Ercolano con un piede sul primo gradino della scalinata che portava a Corso Vannucci, “Anche se non c'è impedimento per nessuno a entrare nell'Acropoli, passare [proprio come stavano facendo] per le sue vie all'insaputa e senza la condiscendenza dei Fratelli del Corso è spesso sinonimo di mancata educazione. Nel migliore dei casi”.

Simone Malipietro, che non aveva la dote innata per capire le cose al volo, azzardò come come conclusione: “Quindi, nei fatti, non è possibile entrare nell'Acropoli, e come faremo a uscirne?” Sonia sorrise, a differenza di Valtenti che aveva pensato alla stessa cosa ma era rimasto zitto per non sembrare idiota.

In questo momento siete sotto la mia custodia. Quando io non sarò più con voi, vi sarete Presentati all'Augusto e trattati come ospiti”, gli rispose lei infingarda mentre proseguiva nella salita e Valtenti iniziava a notare la sua sensualità animalesca. Sonia continuò: “Ovviamente in quanto ospiti dovrete attenervi a delle regole. Se nessuno vi darà ospitalità tra le sue vene, dovrete uscire dall'Acropoli. Perugia non è così piccola come potreste pensare, ci sono molti posti per nutrirsi. Alcuni però sono territori personali di altri Fratelli che non hanno l'onore dello status di Fratelli del Corso. Siate attenti, ci sono molti zotici: i Carthiani sono incredibilmente gelosi di quelle che sono, per loro, le conquiste del loro Movimento; i Dragoni sono Fratelli più apprezzabili, ma questo sta a voi deciderlo. Vi sconsiglio invece di avvicinarvi alle zone dove ci sono i Pagani; loro non vedono di buon occhio nessuno e poi, ah!, ci sono altri posti dove è meglio non addentrarsi, ci sono pericoli chiamati le Nemesi e la Minaccia, ma i vostri confratelli vi sapranno illustrare meglio”.

Valtenti a questo punto non resse. Aveva capito che la 'Milizia del Primo Stato' li stava menando sottilmente per il naso: “Quindi è come dire che siamo i benvenuti ma non abbiamo alcuna possibilità di nutrirci?”.

Oh Signorino, lei mi fraintende”, rispose Sonia, “Nessuno da quando su Perugia Regna l'Augusto ha conosciuto una sola notte di sete! Tutti qui hanno la loro parte secondo giustizia, chi non possiede territorio o status può scegliersi come prede una delle numerose prostitute della città”.

Sonia disse la cosa con la stessa naturalezza con la quale quale un uomo poteva dire “puoi sempre fare un saldo da McDonald!”, ma la consorteria padovana si fermò proprio sugli ultimi gradini agli inizi del mattonato di Via Oberdan. Ovviamente la più sconcertata fu Madre Amorosa.

Sonia ruotò il busto disegnando una tenue stria di goccioline con le falde dell'ombrello: “Sono molti i Fratelli che optano per questa soluzione, noi li chiamiamo semplicemente 'Puttanieri' e non c'è niente di strano in questo termine solo...”

Delle regole?”

Sonia sorrise di nuovo, gli altri tre un po' meno: “Potete recarvi in una via dove le prostitute attendono i clienti, oppure in uno degli appartamenti che si trovano fuori dell'Acropoli, e fingervi semplicemente dei clienti umani. Avete capito, no? Nel primo caso, se la scegliete per strada, sarà la prostituta stessa a dirvi cosa fare, voi dovrete semplicemente seguire le indicazioni, pagarle il compenso pattuito, così da togliere ogni sospetto, e trattarla con rispetto. Ossia non abusare di lei o arrecarle danni alla salute, così come si fa per qualunque altra preda”.

I tre vampiri Consacrati, tra cui una donna, avrebbero avuto milioni di cose da dire su queste 'usanze' pur restando negli stretti confini di ciò che era accettabile che sollevassero come obiezione, ma quando le ali degli antichi palazzi svanirono intorno a loro e vennero catapultati nell'epicentro sociale di Perugia, desistettero dal tentativo, arrendendosi all'evidenza che questa era una 'città meridionale' e che forse era vero che Satana abitava qui.

Avevano attraversato a piedi circa metà di quella che era l'Acropoli, quasi fendendo stormi di mortali sbucati da tutte le parti, c'era chiasso, chiacchiericcio confuso in ogni angolo; ogni porta degli edifici che avevano incontrato (e furono diverse) era aperta, gli interni illuminati e frastuono di musica d'ogni genere e tanti uomini e donne sulle soglie con delle sigarette accese e bicchieri di alcolici in mano, volti gaudenti. Ora lo spazio diventava enorme. Forse non molto, ma l'illusione ottica provocata da...Quante? Cinquemila? Forse diecimila persone ondeggianti qua e là nonostante la pioggerellina fastidiosa era un pugno nello stomaco per chi era abituato a posti molto più aridi e spopolati. Per non parlare dell'illuminazione. Oramai erano nel corso principale della città e l'intensità delle luci era incredibile...Sembrava giorno! O era quella che loro ricordavano essere la luce del giorno.

E non era finita. Quella non era che Piazza Matteotti, vista dallo scorcio di Via Guglielmo Oberdan. Il Palazzo delle Poste era un blocco di marmo scolpito davanti a loro e il Segugio li guidava tra la bolgia verso la larga traversa di via Mazzini occupata da numerosi tavolini riparati sotto fitte coperture di teli e ombrelloni.

Oltre la traversa, Corso Vannucci era almeno una volta e mezzo in larghezza di Piazza Matteotti e due volte più affollata. Si distendeva da sud ovest a nord est come una conca brulicante. Per più volte nelle spazio di pochi metri Sonia dovette fermarsi per non perdere i tre Consacrati. Fortunatamente in quel frangente, col Marchio del Predatore riusciva a individuarli come con un radar. I tre erano veramente a disagio, per non dire affaticati nel muoversi schivando e strusciando tutti quei corpi assembrati, e mano a mano che avanzavano in direzione della Cattedrale di San Lorenzo, sembravano diventare sempre più numerosi. Lassù la gradinata della chiesa sembrava lo spalto di uno stadio...Bestemmia!

Ma a un certo punto Sonia scartò improvvisamente verso sinistra, e seguendola i tre si infilarono sotto la volta alta e stretta che univa Palazzo dei Priori al Collegio del Cambio. Via dei Priori scendeva, chissà dove si chiedevano, ma almeno qui la pressione del carnaio si attenuava anche se di poco.

La via che abbiamo imboccato ora segna per noi un confine invalicabile. Oltre questo, la zona che comprende tutta Piazza IV Novembre la chiamiamo la 'Colonna', ed è assolutamente vietato entrarvi”.

La Colonna? Confine? Vietato? I tre non avevano visto o percepito assolutamente niente di quello che gli era stato appena illustrato, ma erano troppo nervosi e le Bestie troppo solleticate da tanto sangue in circolazione per arrischiarsi in nuove domande e peregrinazioni ipotetiche. Perugia aveva le sue 'usanze'. “L'unico modo per andare da un punto all'altro dell'Acropoli senza passare per la Colonna è prendere strade alternative”, disse ancora la Corsari mentre svoltavano a destra: il vicolo li riportò in Piazza Morlacchi. Lì imboccarono un altro stretto tra due edifici che passava per l'apertura delle Scalette dell'Acquedotto, poi un'altra via in pendenza che portava all'Arco Etrusco. Risalirono l'antichissima via fin quando il lato 'in ombra' della Cattedrale non ricomparve. Avevano girato in tondo e lì c'era un portone riparato agli occhi indiscreti. I tre capirono – o desiderarono tantissimo – di essere finalmente arrivati.