lunedì 21 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte terza

Parte terza: Anchise e Monteleoni


Basile montò sull'ambulanza guidata dal Pispolo e si fece accompagnare in centro. Non pioveva più, forse era solo momentaneo, tuttavia scese a due passi da Largo Cacciatori delle Alpi, sotto lo sguardo della statua di Garibaldi.

Avrebbe dovuto fare a piedi tutto il centro storico, visto che sua Eccellenza lo aspettava in un appartamento del Rione di Porta Sole, oltre San Lorenzo, il vero cucuzzolo di Perugia. Stefano l'aveva fatto di proposito, per non lasciarsi sfuggire l'occasione di una passeggiata per tutta l'Acropoli con pronta come risposta: “cazzo vuoi? Devo andare dal Vescovo!”, per chiunque avrebbe incontrato. Si strafottessero le leggi questa sera, aveva trovato una gustosa scappatoia.

In verità Stefano Basile era profondamente convinto che le leggi del Barone non valessero un accidente, e credeva di non avere tutti i torti perché a cercare di capirle, confrontandole l'una coll'altra, si vedeva bene che altro non erano se non una serie di precetti sistemati quasi alla rinfusa. Solo perché avevano paura dell'Invictus i Fratelli rispettavano gli ordini. Pensava, addirittura, che l'Augusto stesso ignorasse gran parte delle 'sue' leggi, probabilmente neanche una era stata opera del suo cervello ottenebrato dalla muffa proliferata nei secoli. Nei fatti si credeva che l'estensore degli obblighi a cui tutti si attenevano fosse, in realtà, quel bastardo stitico di Florenzi-Baglioni, l'anziano Primogenito del clan Daeva, faccia d'angelo e cuore d'avvoltoio. Chi altri avrebbe potuto avere la sfacciataggine di trasformare una cosa seria come le regole di una società di Immortali in uno stramaledetto gioco (in più perverso). Un gioco dannato perché l'unica vera regola era quella di assecondare i mutevoli capricci degli anziani del Primo Stato, o forse addirittura solo quelli di Tommaso Florenzi-Baglioni e la sua barbetta da coglione spagnolo del Diciottesimo secolo. Stefano non aveva mai capito bene quale fosse il ruolo del suo Primogenito nella baronia perugina: Danzetta era il capo, ok; de Megnis il suo servo più fedele. Poi c'erano tutti i lacchè che si erano fatti comprare dalle perline colorate dell'Invictus. Ai Consacrati, dopo averli riempiti di botte – o di “giarde” come si dice a Perugia – nell'Ottocento, offriva ora il contentino di sbrigare compiti d'amministrazione; i Draghi erano lasciati liberi di fare quello che volevano (più o meno) solo per continuare a dar giarde ai Consacrati notte dopo notte; i Carthiani e i Pagani erano tenuti a distanza. Un meccanismo perfetto dove però non riusciva a piazzare la figura una Succube – sue parole – vecchia di duecentosessantacinque anni, schifosamente egocentrica e bastarda – cosa provata oggettivamente e testimoniata da tutti – la quale non poteva sopportare di contentarsi di essere 'solo' l'anziano, il Priscus, il Primogenito, l'unica Arpia del Dominio e Garante dell'Acropoli senza puntare a diventare Principe. Perché non lo faceva?

Stefano non sapeva rispondere alla domanda e guardando l'orologio capì che non era quello il momento di soffermarsi sulla questione e che doveva muovere le gambe sperando veramente di incontrare qualcuno, così avrebbe giustificato il ritardo.

Magari Chichi... Pensò... Ogni volta che passo per l'Acropoli mi viene di pensare a lei, al suo culetto e alle sue tettine. Non sarebbe affatto male l'averci una torbida storia di sangue e sesso con lei, dove io mi fingo in rotta col Movimento e mi spingo ai sacrifici umani; poi, invece, riprendo in mano tutta la mia umanità e riesco a convertire i Pagani a una visione diversa di noi Fratelli e a guidare un nuovo Movimento contro l'Invictus proprio sotto gli occhi... Ma cazzo quella è Chichi!

L'aveva vista, la stava vedendo. Lui era sotto le volte dei Tre Archi, lei poco distante, vicina all'angolo dell'edificio immediatamente successivo. Lei guardava verso di lui e gli si avvicinava.

Stefano distese il viso nella sua espressione 'sono figo e lo so, non guardarmi con quegli occhioni' voltando il mento in basso verso destra, senza però perdere di vista la sua consanguinea Toreador. Ma a un tratto si rese conto che Chichi non era alta un metro e mezzo come doveva essere... E infatti non era lei. Per un secondo Stefano si sentì preso in giro e in pericolo.

Buh!” Gli disse il vampiro che aveva scambiato per Chichi. Stefano sbuffò e si crucciò; il soggetto in questione era un tizio alto uno e ottanta ben piazzato, il muso perennemente deformato dalla smorfia della Bestia, tanto che era un'incarnazione della tipica immagine dei vampiri passata alla televisione: capelli ispidi ritti in testa, le ossa delle arcate frontali pronunciate, saldate in un tutt'uno con il naso, mascella spessa e sporgente, zanne che non si ritraevano – un vampiro andato in Frenesia una volta senza più tornare indietro, un Nosferatu, un compagno Carthiano: Anchise. E che cazzo ci faceva qua?

Anchise, che cazzo fai qua?”

Giricchio, i'l poss' fa'”, se Asclepio parlava in dialetto per comodità, Anchise lo esibiva con pari orgoglio delle sue sembianze mostruose, decantando il donca nella sua versione più genuina e rapida. A volte era quasi incomprensibile: “Tu che st'a fa'?”.

Stefano si fece evasivo: “C'ho da su dal Vescovo”.

Ah, pella cosa de la Scorza ve'?”

Stefano annuì senza domandarsi come mai Anchise sapesse già tutto, tuttavia controbatté: “Ma tu?”

I', io me fo'n giretto, n'se pô fa'? E che sol'Argo pole? Gl'ho 'mparato i'a nascondese

Seh, vabè. Sent' i'vô che quello m'aspetta”

Va' va', c'ho da fa'”

Anchise era sempre uno che 'c'aveva da fa' '. Stefano non sentiva quasi mai altre parole provenire dalla sua bocca di Bestia. Che fosse un Nosferatu impegnato si sapeva; Anchise era quello che gestiva l'espansione urbanistica di Marsciano e i fondi dell'ospedale. In pratica era il 'Tesoriere' del Movimento, ma Stefano obiettava sempre sul fatto che il compagno non faceva mai menzione di spiegazioni su quello che faceva, così come evitava accuratamente di tirar fuori un euro che fosse uno. Se la stronzaggine era uno dei tratti tipici di certi perugini, Anchise ne era un esempio.

Stefano proseguì per la via, ma volle togliersi lo sfizio di cercare di capire dove stesse andando Anchise. Sapeva bene che dopo il loro rapido incontro l'Infestatore sarebbe sparito alla vista di tutti, ma non alla Vista.

Seppure Basile non possedesse che i primi rudimenti di questo Potere del Sangue, si concentrò per penetrare il gioco di ammaliamento del Nosferatu. Con la coda dell'occhio riuscì a distinguerlo come una specie di ombra sfuocata che filava diritta e celere dentro il 'Busker', un pub dirimpetto ai Tre Archi.

Il Busker? Ma il Busker è un posto assegnato!

Stefano non si ricordava a chi fosse assegnato, non aveva con sé l'elenco della ripartizione dell'Acropoli, ma certamente non era stato dato a un Carthiano.

La cosa era strana e, maledizione, non c'era tempo per approfondire. Era sempre più in ritardo.

Cercando di sbrigarsi Basile attraversò l'Acropoli fino in fondo, girò intorno alla Colonna (e pure questa era una cosa che non aveva mai capito) e infine arrivò al Rione di Porta Sole. Il Vescovo lo aspettava in un palazzo di fronte alla biblioteca comunale, la 'Biblioteca Augusta' (per i vampiri questo aggettivo era un'incombenza ricorrente), in un appartamento sopra a un altro locale, di nuovo un pub con nome 'Il Birraio', specializzato nel servire birra prodotta artigianalmente (neanche a dire che l'appartamento e il pub erano connessi da un rapporto tra predatore e territorio di caccia).

Basile venne accolto da un Mezzosangue Asservito che lo fece attendere pochi minuti (a quanto pare sua Eccellenza aveva veramente un impegno, altrimenti l'attesa sarebbe risultata cinque volte il tempo del ritardo che aveva accumulato).

Vincenzo Monteleoni era uno di quei Fratelli che faceva pensare a Basile: ma se uno vuole rendere un altro Immortale, non è meglio se lo Abbraccia da giovane? Infatti Monteleoni era un bell'uomo dai capelli grigi sospeso per sempre tra i quaranta e i cinquant'anni. Era il capo della Lancea Sanctum, il padre spirituale di tutti i vampiri (Augusto permettendo) e capo politico della congrega che concepiva il Requiem dei Dannati come una missione religiosa (Augusto permettendo? Non si sa). Indossava un completo nero e una camicia bianca senza cravatta (no, niente paramenti sacri, tonache e collarini bianchi; all'Augusto non piacevano e solo il Frate lo sfidava col suo cilicio centenario).

Basile si sedette al lato opposto di una scrivania da prelato (quella sì che era intonata) e a quel punto avrebbe dovuto iniziare a far la Succube. Tuttavia il pensiero di trovarsi faccia a faccia con un Ventures dai famigerati poteri di intrusione nella mente altrui lo bloccò. Pensò che c'erano minori possibilità di farsi manipolare il cervello se avesse dimostrato di sapere che non avrebbe avuto speranza se avesse tentato di usare la sua Maestà, e poi sentiva forte sopra di sé l'incombere della Bestia di Monteleoni che era più grossa della sua. Non si sentiva affatto sicuro delle sue capacità.

Basile iniziò a spiegare il motivo della sua presenza lì; sapeva che sua Eccellenza sapeva, ma seguire le regole doveva avere il suo ritorno. Monteleoni, però, lo interruppe a metà e gli chiese cosa avevano scoperto laggiù all'ospedale.

Nient... È ancora presto per dirlo... Abbiamo molte ipotesi”, rispose Stefano.

Monteleoni lo fissò, Basile cercò di evitare l'incrocio di sguardi senza darlo a vedere.

Se le vostre ricerche non hanno portato a risultati, dunque è bene che ci riprendiamo il cadavere indietro”, disse Monteleoni.

Non abbiamo ancora terminato”, rispose Basile cercando di fare l'equilibrista.

D'accordo, sbrigatevi allora”, replicò Monteleoni annuendo e poi congedando la Succube.

giovedì 17 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte seconda

Parte seconda: della Scorza e dell'importanza di affinare la Vista.


Ai tempi Marsciano non era che un piccolo comune e niente più, oggi è un brulicare di cantieri d'ogni tipo, domani ci sarà di tutto: fabbriche, uffici, banche, centri sportivi, cinema, teatri, centri commerciali, discoteche. Metti che i compagni hanno quasi ottenuto il sì della Provincia per trasformare la principale via di comunicazione della regione in una strada a pagamento, e il gioco è fatto.

Una volta Teucride disse a Stefano: “Chi sta sopra sta sopra, chi sta sta sotto sta sotto. Ciò che sta sopra resterà sopra e ciò che sta disotto resterà sotto” e gli indicò le mille luci colorate del panorama dell'Acropoli, “Forse noi non assalteremo mai quella rocca per tirar giù i Lorsignori dalle loro torri, però possiamo assediarli e affamarli fin quando non cederanno tra le rosse lacrime della Bestia”.

Marsciano si trova sulla sponda sinistra del Tevere, l'abitato dista alcuni chilometri dalla riva perché tutta la piana che lo circonda è stata da sempre dedicata all'agricoltura, però i compagni del Movimento sperano di riempire tutto questo spazio nel giro di pochi anni; stimano trentamila residenti in due lustri, una quota che farebbe scattare la città a un livello considerevole nelle proporzioni dell'Umbria.

Basile era arrivato in moto nel cuore del centro d'espansione edile cittadino: una grigia savana di cemento, strade incomplete, lampioni senza illuminazione, involucri di plastica sparsi dovunque e scheletri di grossi edifici in costruzione. Tra un cantiere e l'altro c'erano vecchie case, condomini ed esercizi, ma nessuna persona in giro. Qui la gente è operosa, va a letto presto di sera (oppure fa un salto a Perugia) e i Nosferatu del Movimento dissuadono chiunque rischi di creare un po' di vita sociale autonoma: i tempi non sono del tutto maturi, Marsciano dovrà esplodere inaspettatamente per non lasciare modo al Primo Stato di porre rimedio.

Salito con la moto sopra a un marciapiede, Basile spense il motore e si tolse il casco, chiuse gli occhi e si concentrò sui rumori della notte. Qui non pioveva, ma il vento disturbava il suo tentativo di usare quella Qualità del Sangue chiamata Auspex da alcuni vampiri. Si sforzò e infine percepì, a circa duecento metri di distanza, un rumore ritmico di martellate. Chi poteva essere così... Così! Così, da stare al lavoro in un cantiere alle dieci e mezzo di sera, se non uno che aveva una grave allergia per l'orario di lavoro normale.

Basile riaccese la moto e si diresse da Peppe l'infaticabile, il più stereotipato tra i Carthiani del mondo: un lavoratore, uno che non era riuscito a rinunciare alla passione per fare e costruire. Aveva persino un gruppetto di mortali al seguito come dipendenti della sua stupefacente impresa di carpentiere-imbianchino-elettricista-idraulico, forse una delle poche in Italia dove tutto era 'quasi' in regola.

Quando arrivò sotto il cantiere Basile cercò di chiamare il compagno a voce senza far troppo casino, ma c'era un rumore di frullino al sesto piano (come diavolo faccia Peppe a non aver paura delle scintille è un mistero). Basile non ne sapeva tanto di che cosa combinasse Peppe nei cantieri di Marsciano, dava per scontato che si occupasse di alcune modifiche importanti a progetti che solo lui poteva fare; per il resto lo ascoltava soprattutto arrabbiarsi e bestemmiare in dialetto veneto perché per tutti questi lavoretti anticipava dei soldi che nessuno gli rimborsava mai. Tutto il rimanente Basile lo ignorava, lui non era capace di appendere un poster del 'Che' con le puntine e non nascondeva il suo orgoglio di avere una rendita più che rispettabile proveniente dalla (ex) 'Basile Chimici' – L'azienda del padre strappata alla sorella prima della morte di costei con un lungo e largo giro di avvocati e intrallazzi, donata a suo 'figlio': Stefano Basile Junior, frutto della notte più folle di Stefano del suo periodo folle, durante il quale scappò di casa come tanti altri giovani degli anni Cinquanta (anche i vampiri debbono arrangiarsi).

Visto che Peppe era all'opera, a Stefano sembrò una buona idea lasciar perdere gli schiamazzi notturni, meglio fare il vampiro, no? Si avvicinò alla recinzione del cantiere e chiamò la Vitae alle gambe. Le sentì irrigidirsi e scaldarsi e in un attimo fu un tutt'uno con l'aria intorno a sé fin quando non atterrò sulle traverse di alluminio al primo livello del palco alzato intorno alla struttura di cemento.

Grazie al Vigore tipico Daeva aveva compiuto un salto di sei metri senza rincorsa. Lui stesso si meravigliò del risultato, diventava sempre più forte, lentamente, ma costantemente. Comunque Peppe si trovava cinque piani più in alto, valutò un altro salto e si molleggiò sugli arti, il palco rispose ondeggiando. Stefano si sentì preso dalle vertigini si aggrappò a un palo guardando giù, il suolo era un cumulo senza soluzione di scarti edili, mattoni, calcinacci, ferri e tante assi di legno.

None! Cadere e rimanere impalettato sopra un pezzo di legno non mi pare un gran finale di serata.

Sbirciò con la Vista dentro i vani dell'edificio e notò che, per fortuna, le scale interne erano state costruite. A malincuore rinunciò all'apparizione a effetto, prese la via delle scale e seguì il rumore che aveva ricominciato a fendere la notte di Marsciano. Arrivò alle spalle di Peppe ma non lo sorprese affatto.

Oh che sei venuto a fare?” Gli chiese il compagno di congrega chino sopra una lamiera.

Oh Pe', devi stacca' un po', ti devo porta' su a Perugia”.

Eh?” Peppe si rialzò e si voltò di scatto con l'aria sbigottita. Strizzò gli occhi e si grattò i capelli riccioluti color della polvere. Infatti qualunque fosse la situazione, Peppe sembrava veramente un operaio edile appena uscito dal cantiere; persino se si metteva degli abiti nuovi appena comprati, appariva sgualcito e trasandato, una strana forma del camaleontismo dei Mekhet.

Basile fece la sua solita faccia, quella di chi aveva capito tutto, schioccò la lingua sui denti e disse: “Dai su, non te fa' pregare”.

Oh, io a quell'ascensore volevo darci un'occhiata, ma poi è arrivato quel boia d'Anchise a rompere le palle con 'sto cantiere qua...”

Ma perché ancora si blocca quell'affare?” Chiese Stefano improvvisamente rannuvolato.

Peppe rispose affermativamente con un'espressione volgare del dialetto veneto e aggiunse: “E se nessuno ci guarda, le cose non s'aggiustano da sole”.

Stefano si piantò i pugni sulle anche e disse sconfortato: “So' due mesi che avevo detto che quell'ascensore era rotto, per la Madonna, ce so' cascato dentro ché n'era arrivato al piano. Asclepio aveva detto che lo faceva guarda' dalla manutenzione...”

Peppe nel frattempo era tornato a torcere la sua lamiera con delle tenaglie: “Eccola qua la 'manutenzione' ”, disse agitando le tenaglie.

Tu?” Fece Stefano quasi incredulo, “Ma tu saresti quello che fa la manutenzione a tutto l'ospedale?”

No, manco alla metà... Parla co' Anchise e chiedigli dove cazzo ha messo i soldi, perché se non stanno all'ospedale, non stanno manco qua, visto che so tre anni che mi fa spaccare la schiena e sono tutte spese a carico mio finora”.

Ma che qua, so' finiti i fondi per l'Obiettivo Marsciano?” Domandò Basile come fosse la prima volta che ne sentiva parlare.

A me mi sa che non ci son mai stati”.

Oh ma s'è questione, bastava che me lo dicevate, non lo sai che c'ho amicizie?”

Senti”, fece Peppe scoraggiato, “Io non ci capisco un cazzo; c'ho quattro operai, tre albanesi e un marocchino vincolato. Li mando a lavorar fuori perché sennò non c'ho i soldi manco per una scatola di chiodi, Anchise non caccia un soldo, fa' tu...”

Ghe pens mì”, scimmiottò Basile tra il serio e lo spaccone, “Per prima cosa mo' mando Asclepio a piglia' l'ascensore rotto, così se casca giù pella buca tocca tirarlo fuori col muletto, sa' che ride”.

Coll'argano”, precisò Peppe, “E me sa che non funzionerà: Sclepio guarda dove mette le zampe, anche se non le vede le zampe”.

Vabè, coll'argano,e poi io guardavo al culo dell'Ornella delle malattie infettive. Oh ma senti, 'llora vien su a Perugia o no?”

Ma per forza?” Fece Peppe.

Sine”, rispose Basile sogghignando tra sé; Peppe iniziava a cedere, lo aveva distratto e fatto parlare e poi ci aveva messo un pizzico del suo carisma stregato. “Dai su, c'ho la moto disotto”.

Peppe fece un passo indietro spaventato: “Non c'ho il casco, cioè c'ho questo...” Mostrò un casco da cantiere.

Ma che te frega...” Lo spronò Basile facendo spallucce, “Te porto all'ospedale in nove minuti netti, duettrenta di media e via”.

No no, me frega!” Rispose Peppe allarmato, “Se facciamo un incidente e caschiamo, oh, l'attrito me brucia! Io son Mechèt!”

No macché attrito che ti brucia, fidati. Lo so io, so' un chimico, c'ho un'azienda, non ti fa niente”, disse Basile fermamente convinto delle sue nozioni.

No, no, no. Piglio il mio fiurin!”

Peppeee”, continuò Basile prossimo a perdere la pazienza verso il compagno che forse necessitava di un'altra scarica di magia da Succube.

Invece la scarica venne dal cielo. Un gran lampo e una pioggia copiosa, così fitta da oscurare la visibilità, crollò giù repentina lasciando senza alternative il numero delle ruote.

Il fiorino di Giuseppe Vanzetti (nominativo palesemente falso) è targato nero su bianco 'PG 626353', e stando al proprietario non può superare i centodieci chilometri orari, altrimenti fonde la testata. I due arrivarono all'ospedale verso le undici e mezzo e trovarono Asclepio in sala autopsie affaccendato intorno alla morta sgozzata, se si poteva definire sgozzamento quella cosa orribile.

Basile entrò brillante e scheggiante con Peppe al seguito che non faceva mistero di non aver capito cosa ci stesse a fare in quel posto. Asclepio non fece altro che guardarli da sotto le sopracciglia, il movimento comportò uno spasmo del secondo orifizio aperto sul suo mento.

Novità?” Interrogò eccitato Basile.

Gl'ho guardato pure dentro la pipina... Niente”, rispose laconico Asclepio.

Ma che è stato un animale?” Disse Peppe osservando l'assassinata con la bocca spalancata.

Non lo sappiamo”, rispose Basile a Vanzetti, “Per questo t'ho portato qui”, gli diede un colpetto sulla spalla, “Avanti Pe', dicci chi è stato!”

E come?” Fece il Mekhet sempre più attonito.

Dai su, non me l'hai imparata tu la Vista?” Lo spronava Basile mentre Asclepio inclinava il tavolo operatorio poggiandoci i gomiti sopra, stava proprio assistendo a una bella scenetta.

Ah Ste' ”, fece Peppe, “Io ce l'ho la vista buona, pure quella notturna, ma quella cosa del Tocco è difficile, mica nessuno me l'ha mai imparata”, qualcosa rantolò nella seconda bocca di Asclepio, era una risata sommessa. Basile guardò fulmineamente da un lato all'altro della stanza mentre Peppe lanciava una di quelle imprecazioni che si sarebbe ricordata a lungo: “Perché cazzo non me l'hai detto subito! Fanculo va'! Torno a Marsciano”, concluse stizzito Vanzetti e si incamminò verso l'uscita. “Se vedi Anchise”, volle aggiungere in direzione di Asclepio, “Digli che le fatture del cemento non le deve gira' a me, le deve pagare”.

Asclepio non disse nulla, aspettò che Peppe se ne fosse andato e poi si rivolse Basile che si era ripreso lo sgabello di prima e si guardava le mani poggiate tra le cosce.

Bon, ade' che te se' cavato 'sta voglia, vedi di darmi 'na mano co' sta faccenda”.

E come?” Chiese Basile in sovrappensiero, tentato di escogitare qualcos'altro.

Be' pe' esempio ci starebbe d'anda' su dal Vescovo e subito”.

A fa' che?” Replicò Basile troncando la sua riflessione.

A dîgli qualcosa no? Tant' bene m'è arrivata richiesta”.

Di già?”

Che t'aspettavi? Gli oggiotto?”

E che gli racconto?”

Oh 'màgina: se non gli dici niente lu' ce leva il cadavere da le mano, che poi finisce ne le mano dî Mechèt dell'Invictus e quelli non so' Peppe...”

Tu dici che possono veni' a sape' de la Scorza?”

I' so' che possono veni' a sape' cose che noi no. E anche se fosse che de la Scorza non salta fôri gnente, be' noi ce la prendiamo in culo”.

Ma se' sicuro ch'è stato'n Carthiano?”

Pure n'exese, o uno che s'è succhiato un po' de sbobba nostra pô anda' bene”

E no”, fece Stefano serio, “La faccenda non ce la possiamo fa' incula' ”.

Quindi che gli dici al Vescovo? E sbrigati a pensa' e ad anda' su che dice che stasera c'ha da fa', è il due”.

Il due?” Disse stefano con qualcosa che gli tornava in mente, “E perché il Barone non ha fatto la solita Corte coi soliti festeggiamenti?”

Ah no' lo so!” Rispose Asclepio, “Che volevi anda' a magnà i cappelletti su da l'Invictus? Poi manco li pôi assaggia' i cappelletti”

Quant'eran bôni quelli de la mi' nonna...” Disse nostalgico Stefano.

Vabè, vabè, gimo avante su la questione e non perdiamoci in chiacchiere”

Basile stette qualche secondo a massaggiarsi il mento con la pelle tra l'incavo del pollice e dell'indice. Non era mica facile pensare quando Asclepio lo metteva sotto pressione.

Diciamogli che so' stati i Draghi!” Se ne uscì infine: “È colpa loro, dî lor 'sperimenti strani... C'hanno i lupi maruani, poi, in congrega loro. Un affare del genere lo si pô benissimo fa' passa' per una cosa dî Selvaggi no?”

Fu il turno di Asclepio di grattarsi la fronte spoglia di capelli, ma durò poco. L'idea di Stefano non faceva schifo, aveva senso, peccato però che: “Te vôi mette' a litiga' co' Freida? C'ha solo cent'e sessant'anni. No, vabè, dico, me piace. Tutto sta a vede' se riuscîmo a farla bere al Vescovo e poi a incastra' Freida che sta in giro solo da prima dell'Unità d'Italia”.

Maledetto, pensò Stefano, ci tocca sempre fare i conti col fatto che uno, solo perché è un rudere peggio di un biroccio, c'ha ragione per principio, pure dopo la prova contraria.

Ancora una pausa tra i due nella quale Stefano non riuscì a pensare nient'altro. C'era qualcosa in Asclepio che lo distraeva, una lontana somiglianza tra il suo compagno di congrega e Bettino Craxi.

Caterina era meglio”, ruppe beffardamente il silenzio il Nosferatu, “A 'st'ora aveva di già pensato quattro o cinque soluzioni ed era partita senza manco dirmi niente”.

Oh ma perché non ci vai tu su dal Vescovo allora?” Rispose Stefano inacidito dall'ennesimo e monotono confronto.

Asclepio sorrise cólla bocca superiore mentre quella di sotto vibrò ripetutamente lasciando uscire una sporgenza di colore rosso cupo. “Primo: c'ho meglio da fa'. Secondo: se su e me'ncontro col Frate ce sta un Nosferatu di meno stasera in giro. Terzo: visto che su' Eccellenza il Vescovo è un Ventures, me verrebbe male abbindolarlo cólle parole, pô fini' che me stupra il cervello e salta fuori tutta la storia de la Scorza”.

E ma 'sto cazzo! Che cazzo me l'hai detto a fa' a me della Scorza! Chi ti dice che non stupra il mio di cervello?”

Tu no? Che ce l'abbiam a fa' il Divus se non possiamo usarlo pe' 'ste cose!”

Asclepio aveva messo un punto sul tavolo che difficilmente Stefano sarebbe riuscito a togliere, perché la logica era d'acciaio. I Carthiani si fanno forza l'un l'altro dividendosi equamente il lavoro in base alle capacità, e i frutti di questo lavoro erano goduti senza disparità da tutti i compagni. Era vero, la presente era una situazione delicata e rischiosa, tuttavia tra il rischio ipotetico d'essere colti in flagrante a depistare un'indagine e quello certo di vedersela togliere di mano e poi depistata e ritorta contro di loro, erano costretti a rischiare. Anzi, Stefano alla fine si sentì quasi orgoglioso di andare a metterci la faccia; nel bene o nel male avrebbe avuto un riconoscimento o una protezione da parte del Movimento.

Vabè, I' ci vô”, concluse la Succube alzandosi in piedi, “Ma tu non me sai da' un aiuto?”

L'importante è che lu' ha da capi' che non ci deve rompe li coglioni e che de 'sta faccenda ce n'occupiamo noi”, rispose tranquillo l'Infestatore mentre Basile annuiva con forte convinzione.

Ah Scle'”, disse poi demolendo così la sua stessa immagine di un millisecondo prima, “So' rimasto a piede: la moto l'ho lasciata a Marsciano, la macchina è su a casa mia, lì alla stazione”.

Asclepio sbuffò (la sua bocca inferiore rigurgitò qualcosa di vischioso): “Ci starà mai una notte che tu non abbia 'sti problemi del cazzo? Fatti da' uno strappo dal Pispolo!”

martedì 15 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte prima

Della Scorza e di altre faccende


Parte prima: dell'avversione di Basile per i self-service e del Movimento Carthiano.


Basile lasciò Asclepio mosso da una voglia di fare immensa. Si sentiva incredibilmente infervorato, quasi gaio d'aver trovato un modo semplice ed efficace per risolvere il problema; un problema da vampiri che, per natura, vanno sempre a finire incastrati in tele inesplicabili di segreti, di equilibri politici precari e inamovibili al tempo stesso.

In quel momento Stefano percorreva in macchina Via Settevalli per andare a imboccare il tratto di raccordo autostradale che si congiungeva all'E45, per andare verso sud, a Marsciano, per andare da Peppe, il Mekhet. Fece capolino la spia della riserva sul cruscotto. Per quasi un minuto Basile la ignorò ma dovette ammettere che con la benzina rimasta nel serbatoio non sarebbe mai arrivato a Marsciano. Digrignò i denti e strinse forte lo sterzo dell'Alfa mentre guardava con odio il distributore in lontananza sulla via. Era senza nessuno dei freghi e non poteva chiamarli per farsi mettere benzina...

Be', almeno non senza una buona scusa, che al momento non aveva, e che non voleva mettersi a cercare per non perder tempo: doveva arrivare da Peppe prima di subito. Il fatto era che Basile non faceva più rifornimento di carburante in prima persona da quando guidava l'Alfa Romeo Giulietta GT (che macchina che era ragazzi!), perché in una serata di quei tempi gli sfuggì di mano la pistola del carburante e si bagnò completamente di benzina. Avete presente cosa significa per un vampiro diventare sicuramente infiammabile a causa di una stronzata come quella? Da allora ogni volta che deve fare rifornimento Basile si porta dietro un amico per eseguire il lavoro, mentre lui resta ben lontano dall'auto – perché non si sa mai.

E adesso? Si domandò a disagio e disorientato. Poteva sostare al distributore e aspettare che qualcuno si fermasse dopo di lui facendosi poi aiutare grazie al suo sorriso irresistibile; ma non voleva perder tempo, neanche un secondo. Odiava quando le cose differivano anche minimamente da come preventivava. Allora ebbe un'idea. Accelerò improvvisamente e risalì tutta la Settevalli, ma invece d'imboccare verso il raccordo, tirò dritto sotto un breve tunnel uscendo di fronte alla Stazione di Fontivegge per salire ancora, lungo Via Mario Angeloni. All'altezza di una delle tante traverse della grande arteria in pendenza, svoltò per finire in vicoli tortuosi delineati dalle sagome dei condomini. Entrò in un piazzale e si fermò davanti alla saracinesca di un garage.

La rimessa era sua, così come l'appartamento quattro piani più in alto. Dentro il garage scoprì da sotto il telo la sua Yamaha R6 blu cobalto. Girò la chiave nel quadro e premé lo starter del motore. I quattro cilindri in linea non si fecero attendere per irrorare di rombo le spesse mura. Questa ha il serbatoio pieno. Pensò.

Spinse la moto accesa fuori dalla rimessa, l'appoggiò sul cavalletto e poi si voltò per chiudere la saracinesca. Dimenticava qualcosa? Il casco, come di solito.

Lo trovò, vi soffiò sopra, lo indossò, chiuse il garage, accese le luci della moto, innestò la prima e via...

In men che non si dica si gettò a tutta velocità sul raccordo autostradale inebriato dal suono del motore, dalle vibrazioni e incurante di molte cose: dei lembi svolazzanti dell'Eskimo, del fatto che era un po' strano per gli automobilisti ingolfati nel traffico vedersi scartare da una moto guidata da un tizio che non indossava neppure i guanti e anche del fatto (un po' meno trascurabile) che le gomme del suo splendido bolide non riuscivano a scaldarsi a dovere nella fredda sera del due dicembre – in effetti Basile sentiva la moto un po' nervosa in curva – e iniziava a piovere.

Quando abbandonò il raccordo per entrare nella superstrada, dové portare il tachimetro sotto i centoquaranta chilometri all'ora; il manto stradale era – come sempre – disastroso, buche e sconnessioni a non finire per tutto il tracciato, da Orte a San Giustino.

Stefano desiderò che il grande Obiettivo Carthiano di trasformare questa via di comunicazione in un'autostrada a pedaggio fosse compiuto entro la notte di domani, se non altro perché così avrebbe potuto viaggiare a tutto gas senza problemi di sorta e ridere dei Lorsignori, l'Invictus. Loro si vantano con tanta boria della gloriosa espansione avuta da Perugia, a partire dal Secondo Dopoguerra, che l'aveva resa da città di media provincia, un grande polo di attrazione per il bestiame.

La regione dell'Umbria è Perugia-centrica in molti modi: amministrativamente, politicamente ed economicamente, ma la centralità di Perugia che più importa al Barone e ai suoi lacchè è quella che spinge migliaia di persone, di notte, a uscire di casa e arrivare nel capoluogo per un cinema, una birra, una pizza. Questo perché fuori Perugia non c'è assolutamente niente di interessante per le persone, quindi neanche per i vampiri. Vivere fuori Perugia significa restare in casa con la desolazione intorno; quindi Cacciare fuori Perugia è difficile e pericoloso, perché i mortali hanno sempre avuto paura della notte e ancora oggi, nel Ventunesimo secolo, non si distaccano molto dai loro antenati contadini, gelosi di ogni filo d'erba rinsecchito nell'aia, sempre col fucile carico a portata di mano.

Con il suo trucchetto, quel gran pezzo di stronzo feudale del Barone, ebbe la botte piena, la moglie ubriaca e l'uva ancora sul tralcio: bastò concentrare tutti gli sforzi su una sola città, semplicemente distruggendo qualsiasi alternativa sul nascere, per assicurare che ci fosse un solo luogo dove i Fratelli potevano stare. E tenere sotto stretto controllo un luogo solo è incredibilmente facile.

Per fortuna niente dura per sempre, a volte neppure gli Immortali. I Carthiani stanno cambiando le cose dopo generazioni di sforzo e fatica. Per tantissimo tempo il Movimento cercò in tutti i suoi modi meglio conosciuti d'innescare il cambiamento sociale nella Danza Macabra. Stefano arrivò tra i Fratelli ribelli proprio l'anno successivo a quello in cui l'Armata Rossa invase Budapest; dopo aver passato una gioventù piena d'interrogativi senza risposte, si stupì e si esaltò nel leggere, – e nel capire – finalmente, la storia ufficiale d'Italia (e di Perugia) nelle ombre delle vicende inconcepibili dei Dannati. Con l'aggiunta delle Tenebre e dei mostri che vi sono celati dietro, tutto assunse un senso più vero e reale.

Il Movimento Carthiano nacque presto a Perugia, forse prima ancora che nell'Europa in via d'industrializzazione alcuni tra i più illuminati Fratelli capirono che il cambiamento radicale del mondo poteva cambiare anche le antiche istituzioni dei vampiri dopo millenni di permanenza. Era il periodo del Risorgimento; Teucride Cartaginese era già là, in piedi ed era Carthiano. Da dove fosse venuto non ebbe alcuna importanza, quello che contò fu che lui avesse capito e scelto per il cambiamento. E così fece: cadde lo Stato Pontificio e poco dopo cadde il Cardinale Consacrato di Perugia. È vero: fu Giacomo Danzetta a prendere il potere, ma non prese quel potere assoluto che avrebbe potuto prendere senza la nascita dei Carthiani. Il Movimento era una congrega del tutto nuova e diversa che contestava sia il tramonto del potere teocratico sia la restaurazione del feudalesimo del Primo Stato; una terza e nuova via che iniziò subito a lottare perché la libertà diventasse reale e non pelosa carità interessata degli oppressori. L'unico difetto di questa storia fu che il Movimento incarnò per oltre un secolo ogni tipo di spirito rivoluzionario possibile: Mazzini e Garibaldi, Socialismo e PCI, fino agli Anni di Piombo, senza mai cavare un ragno da un buco. Per anni i compagni del Movimento furono denigrati e schiacciati dal tacco dei Lorsignori, solo l'autorità del Primogenito Teucride evitò il peggio quando si poté evitare il peggio. Ma quando le cose iniziarono a cambiare di nuovo, proprio la nomea di 'comuni briganti senza prospettiva' guadagnata dai Carthiani, divenne un punto di forza.

Ci fu un periodo nel Dominio, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, in cui il Requiem e la Danza Macabra divennero infernali. Non si capì bene come iniziò né si capì come funzionò, ma a un certo punto nessuno tra i Fratelli aveva più la stessa faccia. Cospirazioni, tradimenti, ricatti, tentativi di aggressioni fisiche e politiche coinvolsero tutti contro tutti in una sorta di romanzo noir. Che i Fratelli non siano tra gli esseri più limpidi e sinceri del pianeta è assodato, ma che nel giro di soli quindici anni trovarono Morte Ultima più vampiri di quanti se ne potrebbero ricordare, lì su due piedi, fu foscamente perturbante.

Nessuna di queste Distruzioni avvenne in modo chiaro e lineare, cioè nessuno cadde sotto la frusta della legge baronale; furono tutti degli assassinii e degli attentati, anche se sicuramente più d'uno furono degli assassinii 'autorizzati' perché per il Primo Stato quelle erano soluzioni comode. Per i Carthiani questo fu il periodo della Para-nera. Stefano ne uscì pulito (non come il suo sire) perché era giovane e inesperto, fuori dai giri pericolosi. Tutti gli altri Fratelli dicevano che c'era dietro un 'Losco Figuro', una mente eccelsa e celata, che tramava per scalzare Giacomo Danzetta dal trono, spingendo con ricatti e lusinghe, uno per uno, tanti diversi Fratelli a tradire il Dominio. Morirono Infine tutti.

Ma i Carthiani non hanno mai creduto all'esistenza di questo 'Losco Figuro'. Sulle prime ritennero che, in estrema semplicità, dato che era un po' che scorreva fin troppa acqua cheta sotto i ponti, l'Invictus aveva deciso di creare un'opposizione fantasma giusto per alzare un'atmosfera di frustrante paranoia e prevenire che in tutta quella placidità qualcuno iniziasse a pensare che forse un dominio Invictus non è proprio il migliore dei mondi possibili. Quando però il gioco divenne aspro e tetro oltre ogni immaginazione, quando i Fratelli di clan e di congrega ruppero ogni vincolo di fedeltà e di alleanza, quando la Vitae e la cenere colorarono la notte in una danza frenetica, i compagni compresero che le cose erano messe diversamente. Cioè: il responsabile restava sempre lo stesso, il Barone, ma le cause erano cambiate in modo agghiacciante. Danzetta regnava già da più di un secolo e sebbene nessuno sappia con esattezza da quanto tempo questo vampiro è al mondo, quel che è certo è che lui non ha mai riposato. Secoli e secoli di Danza Macabra senza il lungo sonno del torpore, generazioni ed epoche che ti passano sotto gli occhi, sentire la Bestia diventare sempre più forte, la sete sempre maggiore e invischiarsi in faccende più lunghe di un'era biblica, porta alla pazzia.

Perché i Carthiani chiamarono il periodo la Para-nera? Perché fu un periodo da pazzi. Chi era il più pazzo tra i pazzi? Il Barone.

Come finì la Para-nera? Un Carthiano non ne parla mai volentieri. A quanto ne sanno furono i Draghi a fare qualcosa con le loro inquietanti arti pseudoscientifiche. Riportarono sotto registro il cervello di quel folle, così che la smettesse di vedere i fantasmi quando non c'erano per davvero. Poi oh... Be'... Il Barone tornò a fare il despota illuminato e galantuomo come se niente fosse avvenuto, ma nel frattempo spuntò fuori il Mostro. Che casualità!

Tuttavia la casualità più importante fu un'altra: in tutto il trambusto l'Invictus si chiuse a riccio dentro Perugia. I Lorsignori erano più attenti a pararsi i loro netti deretani e a cercare qualcuno da accusare per non essere accusati loro, piuttosto che a controllare quello che succedeva in giro. Così i Carthiani decisero di puntare a un grosso Obiettivo. A Perugia continuarono a fare sempre i trozkisti incazzati e inconcludenti, ma fuori misero gli occhi e le mani su Marsciano.