lunedì 12 maggio 2008

L'Errore - parte prima


Parte prima

Be' dopotutto non è gita male. Pensò Basile fuori dall'appartamento del Vescovo. Riaccese il cellulare che, senza avere tempo d'essere riposto in tasca, suonò: il Billy.

Il Billy è uno dei suoi freghi.

Chiamava dopo l'una di notte, dopo aver ricevuto 'serata libera'. Basile doveva rispondere.

Il Billy è uno serio.

Rispose: “Oh Ste'”, disse il Billy, “Abbiam sgamato un fascio a fa' attacchinaggio de straforo in giro, che fâmo?”

Stefano si fermò per strada muovendo gli occhi in tutte le direzioni, le orecchie dritte come un pastore tedesco e il cervello in centrifuga: “Indo' state?” Domandò.

Qua, giù, vicino a via de la Pescara”, rimandò il Billy.

S'è accorto?”

No, no”, disse il Billy con tono di fiero, “Stavamo a fuma' 'na canna in macchina e l'abbiam visto. Ma tra cinque minuti me sa che se sposta. Lo tonfamo?” Chiese eccitato.

No, spe'. Voglio fa' 'na cosa diversa. I' so' in centro, mo' scendo giù verso Porta Pesa. Vedi de manda' qualcuno co' 'na macchina che so' a piede. Voi stategli dietro se se sposta, ci sentiam poi, capito?”

O.K. Ho capìt' tutto lo pediniamo, bulo”.

Stefano si era ricordato del rimbrotto di Asclepio sul fatto che menare alla cieca tutti i fascisti in giro per la città, non era poi così conveniente ai fini dello sbrogliare le matasse create dalle influenze dei Fratelli sulla piccola criminalità locale (be', quella di Cestcenko non è affatto piccola, ma Basile non è un sottilizzatore). Quindi se dopo aver schivato l'offensiva burocratica dei poteri forti, riusciva a scoprire qualcosa in più sui fasci di Perugia, avrebbe guadagnato un casino di punti in una sola notte.

Vuoi che i neonazi non fossero preoccupati di due loro camerati spariti dall'altra sera? Di sicuro se fosse accaduta una cosa del genere a due dei suoi freghi a quest'ora li avrebbe già cercati da tutte le parti.


Lasciamo Stefano Basile correre appresso a un attacchinatore abusivo di manifesti, perché nella notte del due dicembre 2006 sono accadute parecchie cose, come in ogni notte del resto.

Portiamoci temporalmente pochi minuti più avanti dal momento in cui Basile e il Vescovo si erano lasciati (il primo sappiamo a fare cosa, il secondo probabilmente si sarebbe recato ad accogliere quelli di Padova), e allontaniamoci alcuni chilometri dal centro di Perugia.

Usciamo dall'abitato urbano principale e arriviamo in una delle frazioni della cintura metropolitana. Intorno Perugia, partendo dall'angolo di sud est, corrono in cerchio una serie di frazioni chiamate collettivamente 'i Ponti'; si parte con Ponte della Pietra, si passa per Ponte San Giovanni e poi Pontevalleceppi, Ponte Felcino e via e via... Circondando la città per tre quarti del suo perimetro.

Noi ci stiamo dirigendo verso quello spicchio 'senza ponti', orientato a nord est in direzione del lago Trasimeno. Dopo Santa Sabina siamo già fuori dei confini comunali del capoluogo e sotto l'amministrazione della città di Corciano. Uno dei più bei borghi di questi luoghi si chiama San Mariano, originariamente sorto sulla cima di una collina. Ma noi non arriveremo proprio lì. Ci fermeremo in pianura, sul confine tra Santa Sabina e San Mariano, non molto distanti dal Golf Club di Perugia, in mezzo a una gradevolissima zona suburbana per metà periferia, per metà zona industriale e per metà 'ritiro di campagna a due passi da tutto'.

Ci interessa una bella villa con dependance e quasi un ettaro di giardino. Sbirciando attraverso l'alta siepe dietro la recinzione si potrà vedere che là dentro manca davvero poco, sembra che ci siano addirittura delle strutture adatte per un piccolo maneggio di cavalli. Questa villa, bella, elegante, curata, appartata, è la Casa Capitolare dell'Ordo Dracul.

Di solito, pur se è difficile da notare, è abbastanza frequentata da dieci o più 'persone'; tuttavia a noi appare alquanto quieta. Il piazzale di ghiaia accuratamente rastrellato è quasi vuoto di auto e sembrano poche le luci interne accese nell'abitazione principale.

A una certa ora di quella notte qualcuno si presentò alla porta e bussò. Dopo pochi secondi di attesa si udirono dei passi avvicinarsi all'entrata. Si udì anche il rumore che si fa quando si urta con una mano il vetro della finestra accanto alla porta per scostare la tenda e vedere chi è che ha bussato. Poi la serratura scattò, i cardini frusciarono e la luce dell'ingresso si sparse sul pianerottolo disegnando le ombre di due vampiri.

Il vampiro al di là della soglia era Iona. Sulla sua fronte alta e stempiata c'erano poggiati di traverso un paio di occhiali da saldatore trattenuti coll'elastico. Sotto il suo sorrisino indossava una sorta di casacca verde scuro da vigile del fuoco lunga fin sotto le ginocchia; le sue mani erano dentro dei guanti dall'aspetto ignifugo e quella destra recava una comune confezione di plastica con dell'alcol etilico denaturato dentro. Insomma, gli mancava solo la fuliggine sulle guance.

Dopo aver aperto la porta il Daeva fece qualche passo all'indietro e senza proferir parola s'inchinò come se fosse stato un burattino di legno guidato da fili.

Il vampiro al di qua della soglia oltrepassò il confine incurante della sceneggiata. Lei, la Bestia, la Strega o per trattarla col dovuto rispetto, Attia dei Pagani, Alta Gerofante, Somma Sacerdotessa degli Dei Morti aveva mantenuto la promessa di rispettare il Dominio accettando l'incontro con l'Accademia dell'Ordine del Drago.

Il puro fatto che nessuno sappia chi sia più anziano tra la Primogenita dei Selvaggi e l'Augusto Barone provoca soggezione e riverenza, ma Attia è molto più di un Fratello imponente.

Doveva essere una donna attraente di aspetto nobile, dall'incedere regale che esaltava il suo fisico tonico e robusto, ossa grandi, il volto quadrato con il naso un po' schiacciato, affascinante perché non comune. Ma per vedere tutto questo era necessario il fuoco o qualcosa d'altrettanto energico per spazzar via dal sacro corpo immortale della Gerofante ciò che secoli e secoli d'un Requiem di Gangrel avevano accumulato. Tra i Fratelli più frivoli di Perugia l'acconciatura a 'Nido di Rondine' di Attia era rinomata, ma essa non doveva il suo nome alla forma, bensì a tutto quello che era intralicciato ai capelli forse di color fulvo.

Mentre la Primogenita Gangrel avanzava Iona poté ritrovare la conferma di come ai suoi tempi Attia dovette essere una divinità-regnante bella e tremenda. In effetti ella sembrava solo di pochissimo inferiore al metro e settanta e Iona non volle incrociarne gli occhi, sapeva quanto potere c'era sotto le croste nere e marroni; non volle soffermarsi sul seno alto e materno, nascosto da una specie di maglietta chiara sotto un golfino acrilico color rosa, bisunto, liso, perforato qua e là con la zip sul davanti; non volle neppure fermarsi sul grembo, un ventre piatto da ragazza protetto dalla gonna ampia e scura di zingara. Non gli restava che scendere ancora più in basso, alle caviglie nude spalmate di fango, ai piedi dentro un paio di zoccoli da infermiera. Da uno di questi zoccoli cadde un verme vivo che prese a contorcersi sulle brillanti mattonelle di marmo.

O.K.!: “Prego Vostra Signoria, presso il salone”, disse Iona.

Così dicendo Iona fece strada dall'ingresso a un'altra stanza illuminata di luce soffusa da applique in stile Ottocento. La Succube diede le spalle alla Selvaggia quasi con arroganza, in realtà non la voleva vedere coprire l'intera distanza con un solo slancio fluido e ineffabile, sarebbe stata una visione disturbante.

Il salone era ampio e in penombra per metà. Tre grandi porte-finestre si aprivano sul giardino dietro la villa. Nella stanza erano disseminati piccoli tavolini rotondi coperti di velluto verde e di lampade da scrivania d'ottone lucidato; in un angolo presso un caminetto, due morbidi divani e una coppia di poltrone si disponevano ai lati di un tavolinetto di cristallo. Qui i Draghi si ritrovano a socializzare, oppure – quando l'ambiente è favorevole – affrontano alcune delle loro celebri sfide intellettuali, chini sopra a libri in più lingue diverse.

Il fuoco nel camino era acceso e ardeva con fin troppo vigore, la figura di Iona dardeggiò riflessi rossi e arancio. Il Daeva s'avvicinò al fuoco schivando leggiadro un divano e mentre si voltava verso Attia dicendole: “Si accomodi”, gettò in contemporanea il flacone di alcol nel cuore della fiamma.

La Nemesi ruggì, sprizzò scintille e divorò con la sua luce i morbidi giochi delle applique.

Ops!” Disse Iona recitando la parte di quello con la testa perennemente persa tra le nuvole. Attia era rimasta distante sulla porta ad arco del salone, e non si avvicinava.

Iona non osò penetrare il buio che circondava la Gerofante per scrutare l'espressione di lei, un po' perché sentiva forte il calore del fuoco che voleva mangiarsi la sua guancia e un po' perché non se la sentiva di scommettere sui sentimenti imprevedibili della Primogenita. Decise quindi di porre fine al giochetto. Si allungò in basso verso l'angolo dietro il camino a occhi chiusi, sforzandosi di resistere al calore e al bagliore. Quando tornò in posizione eretta reggeva in mano un grosso estintore a cui aprì la valvola per indirizzare il getto contro le fiamme.

Chiedo perdono”, disse Iona mentre il ghiaccio secco e polverulento danzava ancora nell'aria, “Avrei dovuto spegnere prima le braci, me ne dolgo profondamente”.

Silenzio. Solo rumore degli zoccoli di legno che iniziavano a inoltrarsi nel salone. Attia si fermò e ruotò lentamente la testa in ogni direzione, uno sterpo cadde dalla sua fronte e s'incastrò tra lo zigomo e il naso ma non sembrò disturbare affatto la sua visuale né facilitò a Iona la sdrammatizzazione quando i due occhi della Fiera lo fissarono contornati di croste nerastre. Attia raccolse gli avambracci in croce sotto il seno con aria inquisitoria.

Iona si scrollò dalle spalle la sua protezione ignifuga, giacché guanti e occhiali erano spariti.

I Signori Arimanni e Sansepolcri sono di sopra”, le disse mentre misurava l'altezza dei polsini che uscivano dalle maniche del suo completo grigio, tagliato su misura da uno splendido tessuto lavorato a scacchiera in rilievo, “Stanno terminando la loro cena: sushi”, continuò mellifluo. Attia piegò la testa di lato, un movimento identico a quello di alcuni uccelli, “Oh, io preferisco la faraona farcita, ma perché sono a tutt'altro livello in fatto di gusti”, aggiunse frettoloso Iona.

Nessuna reazione apparente da parte del soggetto.

Iona iniziò a sentirsi disperato, non tanto e non solo perché sapeva della pericolosa imprevedibilità dei Gangrel, ma perché l'anziana lo stava spiazzando. Tutti i Fratelli reagivano ai suoi scherzetti dandogli modo d'innescare una lunga catena di tecniche psicologiche. Questo cadavere emerso da una cloaca no!

Non stava al gioco. Come lo avrebbe spiegato al Barone che aveva tanto fortemente confidato sulle sue brillanti doti di rompipalle? Serviva un diversivo. Quei due buffoni di Arimanni e Sansepolcri sarebbero dovuti scendere già da alcuni minuti, così s'erano accordati.

I passi per le scale si fecero sentire miracolosamente; stavano arrivando, erano due stupidi ma non due stronzi.


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