lunedì 12 maggio 2008

L'Errore - parte prima


Parte prima

Be' dopotutto non è gita male. Pensò Basile fuori dall'appartamento del Vescovo. Riaccese il cellulare che, senza avere tempo d'essere riposto in tasca, suonò: il Billy.

Il Billy è uno dei suoi freghi.

Chiamava dopo l'una di notte, dopo aver ricevuto 'serata libera'. Basile doveva rispondere.

Il Billy è uno serio.

Rispose: “Oh Ste'”, disse il Billy, “Abbiam sgamato un fascio a fa' attacchinaggio de straforo in giro, che fâmo?”

Stefano si fermò per strada muovendo gli occhi in tutte le direzioni, le orecchie dritte come un pastore tedesco e il cervello in centrifuga: “Indo' state?” Domandò.

Qua, giù, vicino a via de la Pescara”, rimandò il Billy.

S'è accorto?”

No, no”, disse il Billy con tono di fiero, “Stavamo a fuma' 'na canna in macchina e l'abbiam visto. Ma tra cinque minuti me sa che se sposta. Lo tonfamo?” Chiese eccitato.

No, spe'. Voglio fa' 'na cosa diversa. I' so' in centro, mo' scendo giù verso Porta Pesa. Vedi de manda' qualcuno co' 'na macchina che so' a piede. Voi stategli dietro se se sposta, ci sentiam poi, capito?”

O.K. Ho capìt' tutto lo pediniamo, bulo”.

Stefano si era ricordato del rimbrotto di Asclepio sul fatto che menare alla cieca tutti i fascisti in giro per la città, non era poi così conveniente ai fini dello sbrogliare le matasse create dalle influenze dei Fratelli sulla piccola criminalità locale (be', quella di Cestcenko non è affatto piccola, ma Basile non è un sottilizzatore). Quindi se dopo aver schivato l'offensiva burocratica dei poteri forti, riusciva a scoprire qualcosa in più sui fasci di Perugia, avrebbe guadagnato un casino di punti in una sola notte.

Vuoi che i neonazi non fossero preoccupati di due loro camerati spariti dall'altra sera? Di sicuro se fosse accaduta una cosa del genere a due dei suoi freghi a quest'ora li avrebbe già cercati da tutte le parti.


Lasciamo Stefano Basile correre appresso a un attacchinatore abusivo di manifesti, perché nella notte del due dicembre 2006 sono accadute parecchie cose, come in ogni notte del resto.

Portiamoci temporalmente pochi minuti più avanti dal momento in cui Basile e il Vescovo si erano lasciati (il primo sappiamo a fare cosa, il secondo probabilmente si sarebbe recato ad accogliere quelli di Padova), e allontaniamoci alcuni chilometri dal centro di Perugia.

Usciamo dall'abitato urbano principale e arriviamo in una delle frazioni della cintura metropolitana. Intorno Perugia, partendo dall'angolo di sud est, corrono in cerchio una serie di frazioni chiamate collettivamente 'i Ponti'; si parte con Ponte della Pietra, si passa per Ponte San Giovanni e poi Pontevalleceppi, Ponte Felcino e via e via... Circondando la città per tre quarti del suo perimetro.

Noi ci stiamo dirigendo verso quello spicchio 'senza ponti', orientato a nord est in direzione del lago Trasimeno. Dopo Santa Sabina siamo già fuori dei confini comunali del capoluogo e sotto l'amministrazione della città di Corciano. Uno dei più bei borghi di questi luoghi si chiama San Mariano, originariamente sorto sulla cima di una collina. Ma noi non arriveremo proprio lì. Ci fermeremo in pianura, sul confine tra Santa Sabina e San Mariano, non molto distanti dal Golf Club di Perugia, in mezzo a una gradevolissima zona suburbana per metà periferia, per metà zona industriale e per metà 'ritiro di campagna a due passi da tutto'.

Ci interessa una bella villa con dependance e quasi un ettaro di giardino. Sbirciando attraverso l'alta siepe dietro la recinzione si potrà vedere che là dentro manca davvero poco, sembra che ci siano addirittura delle strutture adatte per un piccolo maneggio di cavalli. Questa villa, bella, elegante, curata, appartata, è la Casa Capitolare dell'Ordo Dracul.

Di solito, pur se è difficile da notare, è abbastanza frequentata da dieci o più 'persone'; tuttavia a noi appare alquanto quieta. Il piazzale di ghiaia accuratamente rastrellato è quasi vuoto di auto e sembrano poche le luci interne accese nell'abitazione principale.

A una certa ora di quella notte qualcuno si presentò alla porta e bussò. Dopo pochi secondi di attesa si udirono dei passi avvicinarsi all'entrata. Si udì anche il rumore che si fa quando si urta con una mano il vetro della finestra accanto alla porta per scostare la tenda e vedere chi è che ha bussato. Poi la serratura scattò, i cardini frusciarono e la luce dell'ingresso si sparse sul pianerottolo disegnando le ombre di due vampiri.

Il vampiro al di là della soglia era Iona. Sulla sua fronte alta e stempiata c'erano poggiati di traverso un paio di occhiali da saldatore trattenuti coll'elastico. Sotto il suo sorrisino indossava una sorta di casacca verde scuro da vigile del fuoco lunga fin sotto le ginocchia; le sue mani erano dentro dei guanti dall'aspetto ignifugo e quella destra recava una comune confezione di plastica con dell'alcol etilico denaturato dentro. Insomma, gli mancava solo la fuliggine sulle guance.

Dopo aver aperto la porta il Daeva fece qualche passo all'indietro e senza proferir parola s'inchinò come se fosse stato un burattino di legno guidato da fili.

Il vampiro al di qua della soglia oltrepassò il confine incurante della sceneggiata. Lei, la Bestia, la Strega o per trattarla col dovuto rispetto, Attia dei Pagani, Alta Gerofante, Somma Sacerdotessa degli Dei Morti aveva mantenuto la promessa di rispettare il Dominio accettando l'incontro con l'Accademia dell'Ordine del Drago.

Il puro fatto che nessuno sappia chi sia più anziano tra la Primogenita dei Selvaggi e l'Augusto Barone provoca soggezione e riverenza, ma Attia è molto più di un Fratello imponente.

Doveva essere una donna attraente di aspetto nobile, dall'incedere regale che esaltava il suo fisico tonico e robusto, ossa grandi, il volto quadrato con il naso un po' schiacciato, affascinante perché non comune. Ma per vedere tutto questo era necessario il fuoco o qualcosa d'altrettanto energico per spazzar via dal sacro corpo immortale della Gerofante ciò che secoli e secoli d'un Requiem di Gangrel avevano accumulato. Tra i Fratelli più frivoli di Perugia l'acconciatura a 'Nido di Rondine' di Attia era rinomata, ma essa non doveva il suo nome alla forma, bensì a tutto quello che era intralicciato ai capelli forse di color fulvo.

Mentre la Primogenita Gangrel avanzava Iona poté ritrovare la conferma di come ai suoi tempi Attia dovette essere una divinità-regnante bella e tremenda. In effetti ella sembrava solo di pochissimo inferiore al metro e settanta e Iona non volle incrociarne gli occhi, sapeva quanto potere c'era sotto le croste nere e marroni; non volle soffermarsi sul seno alto e materno, nascosto da una specie di maglietta chiara sotto un golfino acrilico color rosa, bisunto, liso, perforato qua e là con la zip sul davanti; non volle neppure fermarsi sul grembo, un ventre piatto da ragazza protetto dalla gonna ampia e scura di zingara. Non gli restava che scendere ancora più in basso, alle caviglie nude spalmate di fango, ai piedi dentro un paio di zoccoli da infermiera. Da uno di questi zoccoli cadde un verme vivo che prese a contorcersi sulle brillanti mattonelle di marmo.

O.K.!: “Prego Vostra Signoria, presso il salone”, disse Iona.

Così dicendo Iona fece strada dall'ingresso a un'altra stanza illuminata di luce soffusa da applique in stile Ottocento. La Succube diede le spalle alla Selvaggia quasi con arroganza, in realtà non la voleva vedere coprire l'intera distanza con un solo slancio fluido e ineffabile, sarebbe stata una visione disturbante.

Il salone era ampio e in penombra per metà. Tre grandi porte-finestre si aprivano sul giardino dietro la villa. Nella stanza erano disseminati piccoli tavolini rotondi coperti di velluto verde e di lampade da scrivania d'ottone lucidato; in un angolo presso un caminetto, due morbidi divani e una coppia di poltrone si disponevano ai lati di un tavolinetto di cristallo. Qui i Draghi si ritrovano a socializzare, oppure – quando l'ambiente è favorevole – affrontano alcune delle loro celebri sfide intellettuali, chini sopra a libri in più lingue diverse.

Il fuoco nel camino era acceso e ardeva con fin troppo vigore, la figura di Iona dardeggiò riflessi rossi e arancio. Il Daeva s'avvicinò al fuoco schivando leggiadro un divano e mentre si voltava verso Attia dicendole: “Si accomodi”, gettò in contemporanea il flacone di alcol nel cuore della fiamma.

La Nemesi ruggì, sprizzò scintille e divorò con la sua luce i morbidi giochi delle applique.

Ops!” Disse Iona recitando la parte di quello con la testa perennemente persa tra le nuvole. Attia era rimasta distante sulla porta ad arco del salone, e non si avvicinava.

Iona non osò penetrare il buio che circondava la Gerofante per scrutare l'espressione di lei, un po' perché sentiva forte il calore del fuoco che voleva mangiarsi la sua guancia e un po' perché non se la sentiva di scommettere sui sentimenti imprevedibili della Primogenita. Decise quindi di porre fine al giochetto. Si allungò in basso verso l'angolo dietro il camino a occhi chiusi, sforzandosi di resistere al calore e al bagliore. Quando tornò in posizione eretta reggeva in mano un grosso estintore a cui aprì la valvola per indirizzare il getto contro le fiamme.

Chiedo perdono”, disse Iona mentre il ghiaccio secco e polverulento danzava ancora nell'aria, “Avrei dovuto spegnere prima le braci, me ne dolgo profondamente”.

Silenzio. Solo rumore degli zoccoli di legno che iniziavano a inoltrarsi nel salone. Attia si fermò e ruotò lentamente la testa in ogni direzione, uno sterpo cadde dalla sua fronte e s'incastrò tra lo zigomo e il naso ma non sembrò disturbare affatto la sua visuale né facilitò a Iona la sdrammatizzazione quando i due occhi della Fiera lo fissarono contornati di croste nerastre. Attia raccolse gli avambracci in croce sotto il seno con aria inquisitoria.

Iona si scrollò dalle spalle la sua protezione ignifuga, giacché guanti e occhiali erano spariti.

I Signori Arimanni e Sansepolcri sono di sopra”, le disse mentre misurava l'altezza dei polsini che uscivano dalle maniche del suo completo grigio, tagliato su misura da uno splendido tessuto lavorato a scacchiera in rilievo, “Stanno terminando la loro cena: sushi”, continuò mellifluo. Attia piegò la testa di lato, un movimento identico a quello di alcuni uccelli, “Oh, io preferisco la faraona farcita, ma perché sono a tutt'altro livello in fatto di gusti”, aggiunse frettoloso Iona.

Nessuna reazione apparente da parte del soggetto.

Iona iniziò a sentirsi disperato, non tanto e non solo perché sapeva della pericolosa imprevedibilità dei Gangrel, ma perché l'anziana lo stava spiazzando. Tutti i Fratelli reagivano ai suoi scherzetti dandogli modo d'innescare una lunga catena di tecniche psicologiche. Questo cadavere emerso da una cloaca no!

Non stava al gioco. Come lo avrebbe spiegato al Barone che aveva tanto fortemente confidato sulle sue brillanti doti di rompipalle? Serviva un diversivo. Quei due buffoni di Arimanni e Sansepolcri sarebbero dovuti scendere già da alcuni minuti, così s'erano accordati.

I passi per le scale si fecero sentire miracolosamente; stavano arrivando, erano due stupidi ma non due stronzi.


venerdì 9 maggio 2008

Anche gli Approfondimenti della decima puntata sono arrivati

Li trovate qui.

Per invogliarvi ve ne do un assaggio.

A presto...

Nelle ultime due puntate delle Cronache d'Umbra si è più volte parlato della “Vista”, cioè della Disciplina dell'Auspex. Quindi reputo una buona idea compiere un breve excursus su aspetti tanto immediati quanto importanti come i modi in cui i vampiri percepiscono il mondo che li circonda. Tuttavia sono necessarie due premesse: i prodotti editi dalla White-Wolf nelle collane “Mondo di Tenebra” e “Vampiri: il Requiem” (da cui si trae ispirazione) hanno già trattato in parte questo genere di argomenti, perciò le informazioni non saranno ripetute per non essere scorretti e ridondanti. In secondo luogo è importante sottolineare che un vampiro resta sempre e da sempre un non morto con un'intelligenza umana. Molti vampiri hanno compiuto degli studi su loro stessi, utilizzando tutti gli approcci e le metodologie che il mondo scientifico ha potuto conoscere, ma non è possibile dire che secoli di studio siano giunti a delle conclusioni definitive. I vampiri sono qualcosa che trascende i limiti della natura e le sue leggi, una teoria completamente scientifica della loro natura porta sempre a delle conclusioni elusive che lasciano fuori alcuni aspetti importanti, mentre le teorie “mistiche” soffrono del difetto opposto: queste possono dare delle spiegazioni complete sui grandi enigmi dei Fratelli delle Tenebre, ma sia i presupposti che le conclusioni a cui si giunge attraverso il misticismo non sempre possono essere dimostrate scientificamente.
Auspex:
In italiano questa Disciplina può essere tradotta come “Auspicio”, termine derivante dal Latino classico che si riferiva alla divinazione effettuata tramite l'osservazione del volo degli uccelli. Nel Mondo Antico le attività profetiche erano importanti praticamente quanto lo è ai giorni nostri l'economia, e così esistevano molti vocaboli con significati estremamente precisi per definire e riferirsi alle profezie. Con il tempo, venendo meno l'importanza delle pratiche divinatorie, le parole hanno perso la loro caratteristica di avere un significato ben definito e i termini sono divenuti dei sinonimi quasi equivalenti.
I Fratelli chiamano questa disciplina sia con il termine popolare “Vista” (con l'appropriata enfasi), che con quello più ricercato di Auspex poiché i vampiri contano di un dettaglio linguistico per il quale “distorcono” molte parole della lingua umana fino ad ottenere un correlativo dalla dizione e dalla scrittura, a loro avviso, più esotico ed elegante. Si tratta di un sottile accento sulla loro contemporanea diversità e continuità con il genere umano.
L'Auspex è la Disciplina propria del clan Mekhet, non esistono altri clan che consentono di “ereditare innatamente” questo Potere del Sangue al momento dell'Abbraccio, solo alcune rare linee di sangue, diramatesi da clan diversi dalle Ombre la padroneggiano ma anche in questi pochi casi, ciò è avvenuto solo perché il fondatore di questa linea ha operato sul proprio Sangue per trasmettere alle sue progenie una Disciplina imparata da altri.
Nonostante la gradissima gelosia intorno alle cosiddette Discipline esclusive, c'è da registrare il fatto (tenuto nascosto) che proprio l'Auspex – patrimonio del clan più attento e geloso dei propri segreti tra tutti – è la Disciplina esclusiva più diffusa tra i membri degli altri quattro clan per via della sua indubbia utilità.
Basta dire che l'Auspex permette di vedere perfettamente al buio, di ascoltare i discorsi a distanza di metri e di porte chiuse, per capire quanto sia indispensabile per un predatore. Ma Auspex è molto altro ancora: man mano che un Fratello apprende a usare questo Potere del Sangue si accorge che non solo è capace di aumentare oltre ogni limite umano la proprie capacità di percezione, ma di svilupparne alcune completamente aliene alle capacità umane. Il resto è dettagliatamente descritto nei libri della White-Wolf.
I sensi dei vampiri:
Non esistono due vampiri identici, ed è persino estremamente difficile che esistano due vampiri molto simili tra loro, poiché sono esseri sovrannaturali e dopo l'Abbraccio ciascuno di loro si trova di fronte una via per diventare qualcosa di assolutamente unico sia negli aspetti più rilevanti ed evidenti, sia in quelli più banali e minuti del loro Requiem.
Si possono però descrivere dei tratti in comune tra tutti. Per esempio, un vampiro è un essere che si muove come se niente fosse, ma non ha battito cardiaco né produce spontaneamente calore corporeo. Volente o meno, qualsiasi vampiro è perfettamente in grado di restare assolutamente immobile per ore, perché i loro muscoli, le articolazioni e quant'altro, non soffrono dello stress e dell'affaticamento degli esseri viventi. Alcuni Fratelli possono atteggiarsi e muoversi esattamente come un essere umano: respirare involontariamente, avere dei piccoli tic, spostare il peso del corpo da un piede all'altro, ma questo dipende dalla loro Umanità, cioè da quanto sono “connessi” al loro retaggio di essere umano. Chi perde questa connessione molto spesso perde anche la capacità di atteggiarsi come un vivente, a partire da questo sono nate le leggende sulle stupefacenti movenze ultraterrene dei vampiri.
Sempre seguendo l'impostazione dei “tratti in comune”, vediamo quali tra questi corrispondono ai cinque sensi che i vampiri hanno in corrispondenza ai loro corpi di esseri umani.
Vista: I vampiri vedono il mondo esattamente come un normale essere umano. Se un umano miope viene Abbracciato, di solito resta miope per l'eternità. A volte però può riguadagnare le diottrie perdute. Potendo muoversi unicamente di notte, di solito i vampiri vedono mediamente meglio nel buio, riuscendo a distinguere meglio i particolari e, grazie all'abitudine sono meno infastiditi dai riflessi delle luci.
Tuttavia, in mancanza della Vista, se le fonti di luce sono molto basse o del tutto assenti, come chiunque altri i vampiri non riescono a vedere. L'uso della Vista in questi casi ha un curioso effetto: la visione notturna infatti è a colori, ma questi sono di tonalità pastello e del tutto irreali.
Il particolare proviene dal fatto che la “parte soprannaturale” dei sensi di un vampiro è stata sviluppata in una dimensione di esistenza nella quale non esiste la luce solare. La Vista rielabora i colori in base a ricordi o a concetti molto semplici di colore. Infatti uno dei più grandi limiti dei vampiri è che non possono più vedere la realtà sotto la luce del sole, quindi il colore del cielo azzurro è solo un ricordo, passibile di modificarsi con il tempo.
Solitamente i vampiri non soffrono di fotofobia. Le luci alte e intense non urtano i loro occhi, neppure gli ultravioletti, solo la presenza del fuoco come minaccia imminente – o una patologia psicologica – li disturba.
Udito: Senza l'uso di Auspex l'udito dei vampiri è esattamente lo stesso di quello dei comuni esseri umani, tuttavia i vampiri riescono a cogliere con più immediatezza alcuni dettagli che solitamente sfuggono ai viventi. Date le loro abitudini predatorie, riescono a cogliere molto prima i rumori di avvicinamento o di allontanamento di qualcuno a piedi, i versi e i rumori degli animali divengono per loro segnali molto evidenti, soprattutto i vampiri si concentrano quasi d'istinto sul rumore del battito cardiaco e della circolazione del sangue di qualunque essere vivente nelle loro vicinanze.
Gusto: Il gusto è senz'altro il senso maggiormente limitato dei vampiri. Loro possono nutrirsi solo ed esclusivamente di sangue e nella loro bocca questo liquido assume un gusto incredibilmente favoloso e desiderabile, inoltre ogni preda ha un gusto diverso per loro, la stessa preda può cambiare di sapore se viene “Baciata” in situazioni differenti. Niente è pari al sangue perché niente altro ha sapore per un vampiro, qualsiasi altra cosa liquida o solida entri in bocca a loro ha la consistenza della sabbia e il sapore della cenere. Anche se un vampiro è in grado di ricorrere ai Poteri del Sangue per imitare la vita, e quindi cenare come fosse un normale umano, il sapore dei cibi non cambia e il pasto risulta una tortura.
L'unica eccezione a questa regola riguarda la carne degli esseri viventi, contendendo sangue ed essendo delle prede a tutti gli effetti, un vampiro può percepire il sapore del sangue della vittima attraverso la sua pelle, ma l'atto del cannibalismo riporta tutto come prima ed è praticamente sconosciuto.
Olfatto: L'olfatto dei vampiri è praticamente simile a quello degli esseri umani e molti ne fanno largo uso perché, paradossalmente, i vampiri non possono assaporare nulla dei cibi e delle bevande umane, ma possono annusare quanto vogliono. Molti vampiri diventano dei consumati tabagisti o degli estimatori di vini e amano i fiori e le colonie. Per questa ragione il loro olfatto tende ad affinarsi col tempo, ma ovviamente l'odore di sangue è quello che riescono a discernere meglio per qualità. Auspex può trasformare un vampiro in un segugio ineludibile.
Tatto e sensazioni termiche: La pelle dei vampiri è un tessuto completamente morto e non secerne sebo. Questo è un vantaggio perché i vampiri non lasciano mai impronte digitali quando toccano gli oggetti, inoltre, senza quel sottilissimo velo che ricopre la pelle delle mani, la loro sensibilità è aumentata. Tendenzialmente i vampiri preferiscono gli oggetti e le superfici lisce, le più lisce possibili, proprio perché il ruvido li infastidisce abbastanza.
Per quanto riguarda la percezione del caldo e del freddo i vampiri sono abbastanza curiosi. Fondamentalmente sono eterotermi, cioè i loro corpi assumono la temperatura dell'ambiente in cui si trovano, quindi sono freddi e gelidi in un posto al di sotto dei 36° gradi e “scottano” sopra i 42°, visto che non possono sudare.
I vampiri, inoltre, non hanno una percezione istintiva del caldo e del freddo, loro possono fermarsi a un centimetro da un blocco di ferro arroventato ma non percepire l'emanazione di calore che proviene da questo; fin quando non l'oggetto caldo o freddo non viene toccato direttamente con l'epidermide il vampiro non saprà della sua temperatura. Un'eccezione a questa regola riguarda il calore che proviene dagli esseri viventi: i vivi sono caldi per via della circolazione sanguigna e dei processi mitrocondriali che sviluppano energia e calore, un vampiro sa che gli esseri viventi sono caldi per via del sangue che contengono, il sangue è vita e loro riescono a percepire quasi normalmente questo tipo di calore.
Pressione, tensione, colpi: I corpi dei vampiri sono mediamente molto più resistenti di un corpo vivente. Il senso di oppressione o di tensione sotto sforzo viene percepito esclusivamente come un peso o una botta senza particolari connotazioni fin quando questo non gli provoca delle ferite.
Dolore e piacere: Questo è senza dubbio uno degli argomenti più enigmatici perché non è possibile chiarire se le sensazioni di dolore e di piacere provengano dall'Uomo o dalla Bestia dei vampiri. Comunque sia i vampiri, nonostante la loro resistenza superiore agli esseri viventi, provano dolore come tutti; a volte può sembrare che un vampiro non provi il dolore fisico ma si tratta solo di una specie di farsa, perché in realtà il vampiro non ha paura del dolore dato che non può subire nessuna ferita permanente. Ma questo non significa che un vampiro non provi nulla né che non abbia paura di della Morte Ultima.
Per quanto riguarda il piacere carnale, tutti i vampiri condividono il concetto che non c'è maggiore piacere del bere sangue, solo questo riempie i loro corpi di una sensazione d'inebriante piacere inspiegabile per chi è vivo. È una cosa talmente potente per la quale una larga fetta di vampiri abbandona ogni altra forma di gratificazione carnale dedicandosi esclusivamente alla Caccia, tuttavia almeno la metà dei vampiri mantiene una normale capacità di trarre piacere dalla “carne” in modi “tradizionali”.

giovedì 1 maggio 2008

Ebook della decima puntata pubblicato

Buon primo maggio a tutte/i e (non)tutte/i

Oggi pubblico gli ebook - pdf e lit - della decima puntata, andate in archivio se volete scaricare.

lunedì 21 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte terza

Parte terza: Anchise e Monteleoni


Basile montò sull'ambulanza guidata dal Pispolo e si fece accompagnare in centro. Non pioveva più, forse era solo momentaneo, tuttavia scese a due passi da Largo Cacciatori delle Alpi, sotto lo sguardo della statua di Garibaldi.

Avrebbe dovuto fare a piedi tutto il centro storico, visto che sua Eccellenza lo aspettava in un appartamento del Rione di Porta Sole, oltre San Lorenzo, il vero cucuzzolo di Perugia. Stefano l'aveva fatto di proposito, per non lasciarsi sfuggire l'occasione di una passeggiata per tutta l'Acropoli con pronta come risposta: “cazzo vuoi? Devo andare dal Vescovo!”, per chiunque avrebbe incontrato. Si strafottessero le leggi questa sera, aveva trovato una gustosa scappatoia.

In verità Stefano Basile era profondamente convinto che le leggi del Barone non valessero un accidente, e credeva di non avere tutti i torti perché a cercare di capirle, confrontandole l'una coll'altra, si vedeva bene che altro non erano se non una serie di precetti sistemati quasi alla rinfusa. Solo perché avevano paura dell'Invictus i Fratelli rispettavano gli ordini. Pensava, addirittura, che l'Augusto stesso ignorasse gran parte delle 'sue' leggi, probabilmente neanche una era stata opera del suo cervello ottenebrato dalla muffa proliferata nei secoli. Nei fatti si credeva che l'estensore degli obblighi a cui tutti si attenevano fosse, in realtà, quel bastardo stitico di Florenzi-Baglioni, l'anziano Primogenito del clan Daeva, faccia d'angelo e cuore d'avvoltoio. Chi altri avrebbe potuto avere la sfacciataggine di trasformare una cosa seria come le regole di una società di Immortali in uno stramaledetto gioco (in più perverso). Un gioco dannato perché l'unica vera regola era quella di assecondare i mutevoli capricci degli anziani del Primo Stato, o forse addirittura solo quelli di Tommaso Florenzi-Baglioni e la sua barbetta da coglione spagnolo del Diciottesimo secolo. Stefano non aveva mai capito bene quale fosse il ruolo del suo Primogenito nella baronia perugina: Danzetta era il capo, ok; de Megnis il suo servo più fedele. Poi c'erano tutti i lacchè che si erano fatti comprare dalle perline colorate dell'Invictus. Ai Consacrati, dopo averli riempiti di botte – o di “giarde” come si dice a Perugia – nell'Ottocento, offriva ora il contentino di sbrigare compiti d'amministrazione; i Draghi erano lasciati liberi di fare quello che volevano (più o meno) solo per continuare a dar giarde ai Consacrati notte dopo notte; i Carthiani e i Pagani erano tenuti a distanza. Un meccanismo perfetto dove però non riusciva a piazzare la figura una Succube – sue parole – vecchia di duecentosessantacinque anni, schifosamente egocentrica e bastarda – cosa provata oggettivamente e testimoniata da tutti – la quale non poteva sopportare di contentarsi di essere 'solo' l'anziano, il Priscus, il Primogenito, l'unica Arpia del Dominio e Garante dell'Acropoli senza puntare a diventare Principe. Perché non lo faceva?

Stefano non sapeva rispondere alla domanda e guardando l'orologio capì che non era quello il momento di soffermarsi sulla questione e che doveva muovere le gambe sperando veramente di incontrare qualcuno, così avrebbe giustificato il ritardo.

Magari Chichi... Pensò... Ogni volta che passo per l'Acropoli mi viene di pensare a lei, al suo culetto e alle sue tettine. Non sarebbe affatto male l'averci una torbida storia di sangue e sesso con lei, dove io mi fingo in rotta col Movimento e mi spingo ai sacrifici umani; poi, invece, riprendo in mano tutta la mia umanità e riesco a convertire i Pagani a una visione diversa di noi Fratelli e a guidare un nuovo Movimento contro l'Invictus proprio sotto gli occhi... Ma cazzo quella è Chichi!

L'aveva vista, la stava vedendo. Lui era sotto le volte dei Tre Archi, lei poco distante, vicina all'angolo dell'edificio immediatamente successivo. Lei guardava verso di lui e gli si avvicinava.

Stefano distese il viso nella sua espressione 'sono figo e lo so, non guardarmi con quegli occhioni' voltando il mento in basso verso destra, senza però perdere di vista la sua consanguinea Toreador. Ma a un tratto si rese conto che Chichi non era alta un metro e mezzo come doveva essere... E infatti non era lei. Per un secondo Stefano si sentì preso in giro e in pericolo.

Buh!” Gli disse il vampiro che aveva scambiato per Chichi. Stefano sbuffò e si crucciò; il soggetto in questione era un tizio alto uno e ottanta ben piazzato, il muso perennemente deformato dalla smorfia della Bestia, tanto che era un'incarnazione della tipica immagine dei vampiri passata alla televisione: capelli ispidi ritti in testa, le ossa delle arcate frontali pronunciate, saldate in un tutt'uno con il naso, mascella spessa e sporgente, zanne che non si ritraevano – un vampiro andato in Frenesia una volta senza più tornare indietro, un Nosferatu, un compagno Carthiano: Anchise. E che cazzo ci faceva qua?

Anchise, che cazzo fai qua?”

Giricchio, i'l poss' fa'”, se Asclepio parlava in dialetto per comodità, Anchise lo esibiva con pari orgoglio delle sue sembianze mostruose, decantando il donca nella sua versione più genuina e rapida. A volte era quasi incomprensibile: “Tu che st'a fa'?”.

Stefano si fece evasivo: “C'ho da su dal Vescovo”.

Ah, pella cosa de la Scorza ve'?”

Stefano annuì senza domandarsi come mai Anchise sapesse già tutto, tuttavia controbatté: “Ma tu?”

I', io me fo'n giretto, n'se pô fa'? E che sol'Argo pole? Gl'ho 'mparato i'a nascondese

Seh, vabè. Sent' i'vô che quello m'aspetta”

Va' va', c'ho da fa'”

Anchise era sempre uno che 'c'aveva da fa' '. Stefano non sentiva quasi mai altre parole provenire dalla sua bocca di Bestia. Che fosse un Nosferatu impegnato si sapeva; Anchise era quello che gestiva l'espansione urbanistica di Marsciano e i fondi dell'ospedale. In pratica era il 'Tesoriere' del Movimento, ma Stefano obiettava sempre sul fatto che il compagno non faceva mai menzione di spiegazioni su quello che faceva, così come evitava accuratamente di tirar fuori un euro che fosse uno. Se la stronzaggine era uno dei tratti tipici di certi perugini, Anchise ne era un esempio.

Stefano proseguì per la via, ma volle togliersi lo sfizio di cercare di capire dove stesse andando Anchise. Sapeva bene che dopo il loro rapido incontro l'Infestatore sarebbe sparito alla vista di tutti, ma non alla Vista.

Seppure Basile non possedesse che i primi rudimenti di questo Potere del Sangue, si concentrò per penetrare il gioco di ammaliamento del Nosferatu. Con la coda dell'occhio riuscì a distinguerlo come una specie di ombra sfuocata che filava diritta e celere dentro il 'Busker', un pub dirimpetto ai Tre Archi.

Il Busker? Ma il Busker è un posto assegnato!

Stefano non si ricordava a chi fosse assegnato, non aveva con sé l'elenco della ripartizione dell'Acropoli, ma certamente non era stato dato a un Carthiano.

La cosa era strana e, maledizione, non c'era tempo per approfondire. Era sempre più in ritardo.

Cercando di sbrigarsi Basile attraversò l'Acropoli fino in fondo, girò intorno alla Colonna (e pure questa era una cosa che non aveva mai capito) e infine arrivò al Rione di Porta Sole. Il Vescovo lo aspettava in un palazzo di fronte alla biblioteca comunale, la 'Biblioteca Augusta' (per i vampiri questo aggettivo era un'incombenza ricorrente), in un appartamento sopra a un altro locale, di nuovo un pub con nome 'Il Birraio', specializzato nel servire birra prodotta artigianalmente (neanche a dire che l'appartamento e il pub erano connessi da un rapporto tra predatore e territorio di caccia).

Basile venne accolto da un Mezzosangue Asservito che lo fece attendere pochi minuti (a quanto pare sua Eccellenza aveva veramente un impegno, altrimenti l'attesa sarebbe risultata cinque volte il tempo del ritardo che aveva accumulato).

Vincenzo Monteleoni era uno di quei Fratelli che faceva pensare a Basile: ma se uno vuole rendere un altro Immortale, non è meglio se lo Abbraccia da giovane? Infatti Monteleoni era un bell'uomo dai capelli grigi sospeso per sempre tra i quaranta e i cinquant'anni. Era il capo della Lancea Sanctum, il padre spirituale di tutti i vampiri (Augusto permettendo) e capo politico della congrega che concepiva il Requiem dei Dannati come una missione religiosa (Augusto permettendo? Non si sa). Indossava un completo nero e una camicia bianca senza cravatta (no, niente paramenti sacri, tonache e collarini bianchi; all'Augusto non piacevano e solo il Frate lo sfidava col suo cilicio centenario).

Basile si sedette al lato opposto di una scrivania da prelato (quella sì che era intonata) e a quel punto avrebbe dovuto iniziare a far la Succube. Tuttavia il pensiero di trovarsi faccia a faccia con un Ventures dai famigerati poteri di intrusione nella mente altrui lo bloccò. Pensò che c'erano minori possibilità di farsi manipolare il cervello se avesse dimostrato di sapere che non avrebbe avuto speranza se avesse tentato di usare la sua Maestà, e poi sentiva forte sopra di sé l'incombere della Bestia di Monteleoni che era più grossa della sua. Non si sentiva affatto sicuro delle sue capacità.

Basile iniziò a spiegare il motivo della sua presenza lì; sapeva che sua Eccellenza sapeva, ma seguire le regole doveva avere il suo ritorno. Monteleoni, però, lo interruppe a metà e gli chiese cosa avevano scoperto laggiù all'ospedale.

Nient... È ancora presto per dirlo... Abbiamo molte ipotesi”, rispose Stefano.

Monteleoni lo fissò, Basile cercò di evitare l'incrocio di sguardi senza darlo a vedere.

Se le vostre ricerche non hanno portato a risultati, dunque è bene che ci riprendiamo il cadavere indietro”, disse Monteleoni.

Non abbiamo ancora terminato”, rispose Basile cercando di fare l'equilibrista.

D'accordo, sbrigatevi allora”, replicò Monteleoni annuendo e poi congedando la Succube.

giovedì 17 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte seconda

Parte seconda: della Scorza e dell'importanza di affinare la Vista.


Ai tempi Marsciano non era che un piccolo comune e niente più, oggi è un brulicare di cantieri d'ogni tipo, domani ci sarà di tutto: fabbriche, uffici, banche, centri sportivi, cinema, teatri, centri commerciali, discoteche. Metti che i compagni hanno quasi ottenuto il sì della Provincia per trasformare la principale via di comunicazione della regione in una strada a pagamento, e il gioco è fatto.

Una volta Teucride disse a Stefano: “Chi sta sopra sta sopra, chi sta sta sotto sta sotto. Ciò che sta sopra resterà sopra e ciò che sta disotto resterà sotto” e gli indicò le mille luci colorate del panorama dell'Acropoli, “Forse noi non assalteremo mai quella rocca per tirar giù i Lorsignori dalle loro torri, però possiamo assediarli e affamarli fin quando non cederanno tra le rosse lacrime della Bestia”.

Marsciano si trova sulla sponda sinistra del Tevere, l'abitato dista alcuni chilometri dalla riva perché tutta la piana che lo circonda è stata da sempre dedicata all'agricoltura, però i compagni del Movimento sperano di riempire tutto questo spazio nel giro di pochi anni; stimano trentamila residenti in due lustri, una quota che farebbe scattare la città a un livello considerevole nelle proporzioni dell'Umbria.

Basile era arrivato in moto nel cuore del centro d'espansione edile cittadino: una grigia savana di cemento, strade incomplete, lampioni senza illuminazione, involucri di plastica sparsi dovunque e scheletri di grossi edifici in costruzione. Tra un cantiere e l'altro c'erano vecchie case, condomini ed esercizi, ma nessuna persona in giro. Qui la gente è operosa, va a letto presto di sera (oppure fa un salto a Perugia) e i Nosferatu del Movimento dissuadono chiunque rischi di creare un po' di vita sociale autonoma: i tempi non sono del tutto maturi, Marsciano dovrà esplodere inaspettatamente per non lasciare modo al Primo Stato di porre rimedio.

Salito con la moto sopra a un marciapiede, Basile spense il motore e si tolse il casco, chiuse gli occhi e si concentrò sui rumori della notte. Qui non pioveva, ma il vento disturbava il suo tentativo di usare quella Qualità del Sangue chiamata Auspex da alcuni vampiri. Si sforzò e infine percepì, a circa duecento metri di distanza, un rumore ritmico di martellate. Chi poteva essere così... Così! Così, da stare al lavoro in un cantiere alle dieci e mezzo di sera, se non uno che aveva una grave allergia per l'orario di lavoro normale.

Basile riaccese la moto e si diresse da Peppe l'infaticabile, il più stereotipato tra i Carthiani del mondo: un lavoratore, uno che non era riuscito a rinunciare alla passione per fare e costruire. Aveva persino un gruppetto di mortali al seguito come dipendenti della sua stupefacente impresa di carpentiere-imbianchino-elettricista-idraulico, forse una delle poche in Italia dove tutto era 'quasi' in regola.

Quando arrivò sotto il cantiere Basile cercò di chiamare il compagno a voce senza far troppo casino, ma c'era un rumore di frullino al sesto piano (come diavolo faccia Peppe a non aver paura delle scintille è un mistero). Basile non ne sapeva tanto di che cosa combinasse Peppe nei cantieri di Marsciano, dava per scontato che si occupasse di alcune modifiche importanti a progetti che solo lui poteva fare; per il resto lo ascoltava soprattutto arrabbiarsi e bestemmiare in dialetto veneto perché per tutti questi lavoretti anticipava dei soldi che nessuno gli rimborsava mai. Tutto il rimanente Basile lo ignorava, lui non era capace di appendere un poster del 'Che' con le puntine e non nascondeva il suo orgoglio di avere una rendita più che rispettabile proveniente dalla (ex) 'Basile Chimici' – L'azienda del padre strappata alla sorella prima della morte di costei con un lungo e largo giro di avvocati e intrallazzi, donata a suo 'figlio': Stefano Basile Junior, frutto della notte più folle di Stefano del suo periodo folle, durante il quale scappò di casa come tanti altri giovani degli anni Cinquanta (anche i vampiri debbono arrangiarsi).

Visto che Peppe era all'opera, a Stefano sembrò una buona idea lasciar perdere gli schiamazzi notturni, meglio fare il vampiro, no? Si avvicinò alla recinzione del cantiere e chiamò la Vitae alle gambe. Le sentì irrigidirsi e scaldarsi e in un attimo fu un tutt'uno con l'aria intorno a sé fin quando non atterrò sulle traverse di alluminio al primo livello del palco alzato intorno alla struttura di cemento.

Grazie al Vigore tipico Daeva aveva compiuto un salto di sei metri senza rincorsa. Lui stesso si meravigliò del risultato, diventava sempre più forte, lentamente, ma costantemente. Comunque Peppe si trovava cinque piani più in alto, valutò un altro salto e si molleggiò sugli arti, il palco rispose ondeggiando. Stefano si sentì preso dalle vertigini si aggrappò a un palo guardando giù, il suolo era un cumulo senza soluzione di scarti edili, mattoni, calcinacci, ferri e tante assi di legno.

None! Cadere e rimanere impalettato sopra un pezzo di legno non mi pare un gran finale di serata.

Sbirciò con la Vista dentro i vani dell'edificio e notò che, per fortuna, le scale interne erano state costruite. A malincuore rinunciò all'apparizione a effetto, prese la via delle scale e seguì il rumore che aveva ricominciato a fendere la notte di Marsciano. Arrivò alle spalle di Peppe ma non lo sorprese affatto.

Oh che sei venuto a fare?” Gli chiese il compagno di congrega chino sopra una lamiera.

Oh Pe', devi stacca' un po', ti devo porta' su a Perugia”.

Eh?” Peppe si rialzò e si voltò di scatto con l'aria sbigottita. Strizzò gli occhi e si grattò i capelli riccioluti color della polvere. Infatti qualunque fosse la situazione, Peppe sembrava veramente un operaio edile appena uscito dal cantiere; persino se si metteva degli abiti nuovi appena comprati, appariva sgualcito e trasandato, una strana forma del camaleontismo dei Mekhet.

Basile fece la sua solita faccia, quella di chi aveva capito tutto, schioccò la lingua sui denti e disse: “Dai su, non te fa' pregare”.

Oh, io a quell'ascensore volevo darci un'occhiata, ma poi è arrivato quel boia d'Anchise a rompere le palle con 'sto cantiere qua...”

Ma perché ancora si blocca quell'affare?” Chiese Stefano improvvisamente rannuvolato.

Peppe rispose affermativamente con un'espressione volgare del dialetto veneto e aggiunse: “E se nessuno ci guarda, le cose non s'aggiustano da sole”.

Stefano si piantò i pugni sulle anche e disse sconfortato: “So' due mesi che avevo detto che quell'ascensore era rotto, per la Madonna, ce so' cascato dentro ché n'era arrivato al piano. Asclepio aveva detto che lo faceva guarda' dalla manutenzione...”

Peppe nel frattempo era tornato a torcere la sua lamiera con delle tenaglie: “Eccola qua la 'manutenzione' ”, disse agitando le tenaglie.

Tu?” Fece Stefano quasi incredulo, “Ma tu saresti quello che fa la manutenzione a tutto l'ospedale?”

No, manco alla metà... Parla co' Anchise e chiedigli dove cazzo ha messo i soldi, perché se non stanno all'ospedale, non stanno manco qua, visto che so tre anni che mi fa spaccare la schiena e sono tutte spese a carico mio finora”.

Ma che qua, so' finiti i fondi per l'Obiettivo Marsciano?” Domandò Basile come fosse la prima volta che ne sentiva parlare.

A me mi sa che non ci son mai stati”.

Oh ma s'è questione, bastava che me lo dicevate, non lo sai che c'ho amicizie?”

Senti”, fece Peppe scoraggiato, “Io non ci capisco un cazzo; c'ho quattro operai, tre albanesi e un marocchino vincolato. Li mando a lavorar fuori perché sennò non c'ho i soldi manco per una scatola di chiodi, Anchise non caccia un soldo, fa' tu...”

Ghe pens mì”, scimmiottò Basile tra il serio e lo spaccone, “Per prima cosa mo' mando Asclepio a piglia' l'ascensore rotto, così se casca giù pella buca tocca tirarlo fuori col muletto, sa' che ride”.

Coll'argano”, precisò Peppe, “E me sa che non funzionerà: Sclepio guarda dove mette le zampe, anche se non le vede le zampe”.

Vabè, coll'argano,e poi io guardavo al culo dell'Ornella delle malattie infettive. Oh ma senti, 'llora vien su a Perugia o no?”

Ma per forza?” Fece Peppe.

Sine”, rispose Basile sogghignando tra sé; Peppe iniziava a cedere, lo aveva distratto e fatto parlare e poi ci aveva messo un pizzico del suo carisma stregato. “Dai su, c'ho la moto disotto”.

Peppe fece un passo indietro spaventato: “Non c'ho il casco, cioè c'ho questo...” Mostrò un casco da cantiere.

Ma che te frega...” Lo spronò Basile facendo spallucce, “Te porto all'ospedale in nove minuti netti, duettrenta di media e via”.

No no, me frega!” Rispose Peppe allarmato, “Se facciamo un incidente e caschiamo, oh, l'attrito me brucia! Io son Mechèt!”

No macché attrito che ti brucia, fidati. Lo so io, so' un chimico, c'ho un'azienda, non ti fa niente”, disse Basile fermamente convinto delle sue nozioni.

No, no, no. Piglio il mio fiurin!”

Peppeee”, continuò Basile prossimo a perdere la pazienza verso il compagno che forse necessitava di un'altra scarica di magia da Succube.

Invece la scarica venne dal cielo. Un gran lampo e una pioggia copiosa, così fitta da oscurare la visibilità, crollò giù repentina lasciando senza alternative il numero delle ruote.

Il fiorino di Giuseppe Vanzetti (nominativo palesemente falso) è targato nero su bianco 'PG 626353', e stando al proprietario non può superare i centodieci chilometri orari, altrimenti fonde la testata. I due arrivarono all'ospedale verso le undici e mezzo e trovarono Asclepio in sala autopsie affaccendato intorno alla morta sgozzata, se si poteva definire sgozzamento quella cosa orribile.

Basile entrò brillante e scheggiante con Peppe al seguito che non faceva mistero di non aver capito cosa ci stesse a fare in quel posto. Asclepio non fece altro che guardarli da sotto le sopracciglia, il movimento comportò uno spasmo del secondo orifizio aperto sul suo mento.

Novità?” Interrogò eccitato Basile.

Gl'ho guardato pure dentro la pipina... Niente”, rispose laconico Asclepio.

Ma che è stato un animale?” Disse Peppe osservando l'assassinata con la bocca spalancata.

Non lo sappiamo”, rispose Basile a Vanzetti, “Per questo t'ho portato qui”, gli diede un colpetto sulla spalla, “Avanti Pe', dicci chi è stato!”

E come?” Fece il Mekhet sempre più attonito.

Dai su, non me l'hai imparata tu la Vista?” Lo spronava Basile mentre Asclepio inclinava il tavolo operatorio poggiandoci i gomiti sopra, stava proprio assistendo a una bella scenetta.

Ah Ste' ”, fece Peppe, “Io ce l'ho la vista buona, pure quella notturna, ma quella cosa del Tocco è difficile, mica nessuno me l'ha mai imparata”, qualcosa rantolò nella seconda bocca di Asclepio, era una risata sommessa. Basile guardò fulmineamente da un lato all'altro della stanza mentre Peppe lanciava una di quelle imprecazioni che si sarebbe ricordata a lungo: “Perché cazzo non me l'hai detto subito! Fanculo va'! Torno a Marsciano”, concluse stizzito Vanzetti e si incamminò verso l'uscita. “Se vedi Anchise”, volle aggiungere in direzione di Asclepio, “Digli che le fatture del cemento non le deve gira' a me, le deve pagare”.

Asclepio non disse nulla, aspettò che Peppe se ne fosse andato e poi si rivolse Basile che si era ripreso lo sgabello di prima e si guardava le mani poggiate tra le cosce.

Bon, ade' che te se' cavato 'sta voglia, vedi di darmi 'na mano co' sta faccenda”.

E come?” Chiese Basile in sovrappensiero, tentato di escogitare qualcos'altro.

Be' pe' esempio ci starebbe d'anda' su dal Vescovo e subito”.

A fa' che?” Replicò Basile troncando la sua riflessione.

A dîgli qualcosa no? Tant' bene m'è arrivata richiesta”.

Di già?”

Che t'aspettavi? Gli oggiotto?”

E che gli racconto?”

Oh 'màgina: se non gli dici niente lu' ce leva il cadavere da le mano, che poi finisce ne le mano dî Mechèt dell'Invictus e quelli non so' Peppe...”

Tu dici che possono veni' a sape' de la Scorza?”

I' so' che possono veni' a sape' cose che noi no. E anche se fosse che de la Scorza non salta fôri gnente, be' noi ce la prendiamo in culo”.

Ma se' sicuro ch'è stato'n Carthiano?”

Pure n'exese, o uno che s'è succhiato un po' de sbobba nostra pô anda' bene”

E no”, fece Stefano serio, “La faccenda non ce la possiamo fa' incula' ”.

Quindi che gli dici al Vescovo? E sbrigati a pensa' e ad anda' su che dice che stasera c'ha da fa', è il due”.

Il due?” Disse stefano con qualcosa che gli tornava in mente, “E perché il Barone non ha fatto la solita Corte coi soliti festeggiamenti?”

Ah no' lo so!” Rispose Asclepio, “Che volevi anda' a magnà i cappelletti su da l'Invictus? Poi manco li pôi assaggia' i cappelletti”

Quant'eran bôni quelli de la mi' nonna...” Disse nostalgico Stefano.

Vabè, vabè, gimo avante su la questione e non perdiamoci in chiacchiere”

Basile stette qualche secondo a massaggiarsi il mento con la pelle tra l'incavo del pollice e dell'indice. Non era mica facile pensare quando Asclepio lo metteva sotto pressione.

Diciamogli che so' stati i Draghi!” Se ne uscì infine: “È colpa loro, dî lor 'sperimenti strani... C'hanno i lupi maruani, poi, in congrega loro. Un affare del genere lo si pô benissimo fa' passa' per una cosa dî Selvaggi no?”

Fu il turno di Asclepio di grattarsi la fronte spoglia di capelli, ma durò poco. L'idea di Stefano non faceva schifo, aveva senso, peccato però che: “Te vôi mette' a litiga' co' Freida? C'ha solo cent'e sessant'anni. No, vabè, dico, me piace. Tutto sta a vede' se riuscîmo a farla bere al Vescovo e poi a incastra' Freida che sta in giro solo da prima dell'Unità d'Italia”.

Maledetto, pensò Stefano, ci tocca sempre fare i conti col fatto che uno, solo perché è un rudere peggio di un biroccio, c'ha ragione per principio, pure dopo la prova contraria.

Ancora una pausa tra i due nella quale Stefano non riuscì a pensare nient'altro. C'era qualcosa in Asclepio che lo distraeva, una lontana somiglianza tra il suo compagno di congrega e Bettino Craxi.

Caterina era meglio”, ruppe beffardamente il silenzio il Nosferatu, “A 'st'ora aveva di già pensato quattro o cinque soluzioni ed era partita senza manco dirmi niente”.

Oh ma perché non ci vai tu su dal Vescovo allora?” Rispose Stefano inacidito dall'ennesimo e monotono confronto.

Asclepio sorrise cólla bocca superiore mentre quella di sotto vibrò ripetutamente lasciando uscire una sporgenza di colore rosso cupo. “Primo: c'ho meglio da fa'. Secondo: se su e me'ncontro col Frate ce sta un Nosferatu di meno stasera in giro. Terzo: visto che su' Eccellenza il Vescovo è un Ventures, me verrebbe male abbindolarlo cólle parole, pô fini' che me stupra il cervello e salta fuori tutta la storia de la Scorza”.

E ma 'sto cazzo! Che cazzo me l'hai detto a fa' a me della Scorza! Chi ti dice che non stupra il mio di cervello?”

Tu no? Che ce l'abbiam a fa' il Divus se non possiamo usarlo pe' 'ste cose!”

Asclepio aveva messo un punto sul tavolo che difficilmente Stefano sarebbe riuscito a togliere, perché la logica era d'acciaio. I Carthiani si fanno forza l'un l'altro dividendosi equamente il lavoro in base alle capacità, e i frutti di questo lavoro erano goduti senza disparità da tutti i compagni. Era vero, la presente era una situazione delicata e rischiosa, tuttavia tra il rischio ipotetico d'essere colti in flagrante a depistare un'indagine e quello certo di vedersela togliere di mano e poi depistata e ritorta contro di loro, erano costretti a rischiare. Anzi, Stefano alla fine si sentì quasi orgoglioso di andare a metterci la faccia; nel bene o nel male avrebbe avuto un riconoscimento o una protezione da parte del Movimento.

Vabè, I' ci vô”, concluse la Succube alzandosi in piedi, “Ma tu non me sai da' un aiuto?”

L'importante è che lu' ha da capi' che non ci deve rompe li coglioni e che de 'sta faccenda ce n'occupiamo noi”, rispose tranquillo l'Infestatore mentre Basile annuiva con forte convinzione.

Ah Scle'”, disse poi demolendo così la sua stessa immagine di un millisecondo prima, “So' rimasto a piede: la moto l'ho lasciata a Marsciano, la macchina è su a casa mia, lì alla stazione”.

Asclepio sbuffò (la sua bocca inferiore rigurgitò qualcosa di vischioso): “Ci starà mai una notte che tu non abbia 'sti problemi del cazzo? Fatti da' uno strappo dal Pispolo!”

martedì 15 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte prima

Della Scorza e di altre faccende


Parte prima: dell'avversione di Basile per i self-service e del Movimento Carthiano.


Basile lasciò Asclepio mosso da una voglia di fare immensa. Si sentiva incredibilmente infervorato, quasi gaio d'aver trovato un modo semplice ed efficace per risolvere il problema; un problema da vampiri che, per natura, vanno sempre a finire incastrati in tele inesplicabili di segreti, di equilibri politici precari e inamovibili al tempo stesso.

In quel momento Stefano percorreva in macchina Via Settevalli per andare a imboccare il tratto di raccordo autostradale che si congiungeva all'E45, per andare verso sud, a Marsciano, per andare da Peppe, il Mekhet. Fece capolino la spia della riserva sul cruscotto. Per quasi un minuto Basile la ignorò ma dovette ammettere che con la benzina rimasta nel serbatoio non sarebbe mai arrivato a Marsciano. Digrignò i denti e strinse forte lo sterzo dell'Alfa mentre guardava con odio il distributore in lontananza sulla via. Era senza nessuno dei freghi e non poteva chiamarli per farsi mettere benzina...

Be', almeno non senza una buona scusa, che al momento non aveva, e che non voleva mettersi a cercare per non perder tempo: doveva arrivare da Peppe prima di subito. Il fatto era che Basile non faceva più rifornimento di carburante in prima persona da quando guidava l'Alfa Romeo Giulietta GT (che macchina che era ragazzi!), perché in una serata di quei tempi gli sfuggì di mano la pistola del carburante e si bagnò completamente di benzina. Avete presente cosa significa per un vampiro diventare sicuramente infiammabile a causa di una stronzata come quella? Da allora ogni volta che deve fare rifornimento Basile si porta dietro un amico per eseguire il lavoro, mentre lui resta ben lontano dall'auto – perché non si sa mai.

E adesso? Si domandò a disagio e disorientato. Poteva sostare al distributore e aspettare che qualcuno si fermasse dopo di lui facendosi poi aiutare grazie al suo sorriso irresistibile; ma non voleva perder tempo, neanche un secondo. Odiava quando le cose differivano anche minimamente da come preventivava. Allora ebbe un'idea. Accelerò improvvisamente e risalì tutta la Settevalli, ma invece d'imboccare verso il raccordo, tirò dritto sotto un breve tunnel uscendo di fronte alla Stazione di Fontivegge per salire ancora, lungo Via Mario Angeloni. All'altezza di una delle tante traverse della grande arteria in pendenza, svoltò per finire in vicoli tortuosi delineati dalle sagome dei condomini. Entrò in un piazzale e si fermò davanti alla saracinesca di un garage.

La rimessa era sua, così come l'appartamento quattro piani più in alto. Dentro il garage scoprì da sotto il telo la sua Yamaha R6 blu cobalto. Girò la chiave nel quadro e premé lo starter del motore. I quattro cilindri in linea non si fecero attendere per irrorare di rombo le spesse mura. Questa ha il serbatoio pieno. Pensò.

Spinse la moto accesa fuori dalla rimessa, l'appoggiò sul cavalletto e poi si voltò per chiudere la saracinesca. Dimenticava qualcosa? Il casco, come di solito.

Lo trovò, vi soffiò sopra, lo indossò, chiuse il garage, accese le luci della moto, innestò la prima e via...

In men che non si dica si gettò a tutta velocità sul raccordo autostradale inebriato dal suono del motore, dalle vibrazioni e incurante di molte cose: dei lembi svolazzanti dell'Eskimo, del fatto che era un po' strano per gli automobilisti ingolfati nel traffico vedersi scartare da una moto guidata da un tizio che non indossava neppure i guanti e anche del fatto (un po' meno trascurabile) che le gomme del suo splendido bolide non riuscivano a scaldarsi a dovere nella fredda sera del due dicembre – in effetti Basile sentiva la moto un po' nervosa in curva – e iniziava a piovere.

Quando abbandonò il raccordo per entrare nella superstrada, dové portare il tachimetro sotto i centoquaranta chilometri all'ora; il manto stradale era – come sempre – disastroso, buche e sconnessioni a non finire per tutto il tracciato, da Orte a San Giustino.

Stefano desiderò che il grande Obiettivo Carthiano di trasformare questa via di comunicazione in un'autostrada a pedaggio fosse compiuto entro la notte di domani, se non altro perché così avrebbe potuto viaggiare a tutto gas senza problemi di sorta e ridere dei Lorsignori, l'Invictus. Loro si vantano con tanta boria della gloriosa espansione avuta da Perugia, a partire dal Secondo Dopoguerra, che l'aveva resa da città di media provincia, un grande polo di attrazione per il bestiame.

La regione dell'Umbria è Perugia-centrica in molti modi: amministrativamente, politicamente ed economicamente, ma la centralità di Perugia che più importa al Barone e ai suoi lacchè è quella che spinge migliaia di persone, di notte, a uscire di casa e arrivare nel capoluogo per un cinema, una birra, una pizza. Questo perché fuori Perugia non c'è assolutamente niente di interessante per le persone, quindi neanche per i vampiri. Vivere fuori Perugia significa restare in casa con la desolazione intorno; quindi Cacciare fuori Perugia è difficile e pericoloso, perché i mortali hanno sempre avuto paura della notte e ancora oggi, nel Ventunesimo secolo, non si distaccano molto dai loro antenati contadini, gelosi di ogni filo d'erba rinsecchito nell'aia, sempre col fucile carico a portata di mano.

Con il suo trucchetto, quel gran pezzo di stronzo feudale del Barone, ebbe la botte piena, la moglie ubriaca e l'uva ancora sul tralcio: bastò concentrare tutti gli sforzi su una sola città, semplicemente distruggendo qualsiasi alternativa sul nascere, per assicurare che ci fosse un solo luogo dove i Fratelli potevano stare. E tenere sotto stretto controllo un luogo solo è incredibilmente facile.

Per fortuna niente dura per sempre, a volte neppure gli Immortali. I Carthiani stanno cambiando le cose dopo generazioni di sforzo e fatica. Per tantissimo tempo il Movimento cercò in tutti i suoi modi meglio conosciuti d'innescare il cambiamento sociale nella Danza Macabra. Stefano arrivò tra i Fratelli ribelli proprio l'anno successivo a quello in cui l'Armata Rossa invase Budapest; dopo aver passato una gioventù piena d'interrogativi senza risposte, si stupì e si esaltò nel leggere, – e nel capire – finalmente, la storia ufficiale d'Italia (e di Perugia) nelle ombre delle vicende inconcepibili dei Dannati. Con l'aggiunta delle Tenebre e dei mostri che vi sono celati dietro, tutto assunse un senso più vero e reale.

Il Movimento Carthiano nacque presto a Perugia, forse prima ancora che nell'Europa in via d'industrializzazione alcuni tra i più illuminati Fratelli capirono che il cambiamento radicale del mondo poteva cambiare anche le antiche istituzioni dei vampiri dopo millenni di permanenza. Era il periodo del Risorgimento; Teucride Cartaginese era già là, in piedi ed era Carthiano. Da dove fosse venuto non ebbe alcuna importanza, quello che contò fu che lui avesse capito e scelto per il cambiamento. E così fece: cadde lo Stato Pontificio e poco dopo cadde il Cardinale Consacrato di Perugia. È vero: fu Giacomo Danzetta a prendere il potere, ma non prese quel potere assoluto che avrebbe potuto prendere senza la nascita dei Carthiani. Il Movimento era una congrega del tutto nuova e diversa che contestava sia il tramonto del potere teocratico sia la restaurazione del feudalesimo del Primo Stato; una terza e nuova via che iniziò subito a lottare perché la libertà diventasse reale e non pelosa carità interessata degli oppressori. L'unico difetto di questa storia fu che il Movimento incarnò per oltre un secolo ogni tipo di spirito rivoluzionario possibile: Mazzini e Garibaldi, Socialismo e PCI, fino agli Anni di Piombo, senza mai cavare un ragno da un buco. Per anni i compagni del Movimento furono denigrati e schiacciati dal tacco dei Lorsignori, solo l'autorità del Primogenito Teucride evitò il peggio quando si poté evitare il peggio. Ma quando le cose iniziarono a cambiare di nuovo, proprio la nomea di 'comuni briganti senza prospettiva' guadagnata dai Carthiani, divenne un punto di forza.

Ci fu un periodo nel Dominio, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, in cui il Requiem e la Danza Macabra divennero infernali. Non si capì bene come iniziò né si capì come funzionò, ma a un certo punto nessuno tra i Fratelli aveva più la stessa faccia. Cospirazioni, tradimenti, ricatti, tentativi di aggressioni fisiche e politiche coinvolsero tutti contro tutti in una sorta di romanzo noir. Che i Fratelli non siano tra gli esseri più limpidi e sinceri del pianeta è assodato, ma che nel giro di soli quindici anni trovarono Morte Ultima più vampiri di quanti se ne potrebbero ricordare, lì su due piedi, fu foscamente perturbante.

Nessuna di queste Distruzioni avvenne in modo chiaro e lineare, cioè nessuno cadde sotto la frusta della legge baronale; furono tutti degli assassinii e degli attentati, anche se sicuramente più d'uno furono degli assassinii 'autorizzati' perché per il Primo Stato quelle erano soluzioni comode. Per i Carthiani questo fu il periodo della Para-nera. Stefano ne uscì pulito (non come il suo sire) perché era giovane e inesperto, fuori dai giri pericolosi. Tutti gli altri Fratelli dicevano che c'era dietro un 'Losco Figuro', una mente eccelsa e celata, che tramava per scalzare Giacomo Danzetta dal trono, spingendo con ricatti e lusinghe, uno per uno, tanti diversi Fratelli a tradire il Dominio. Morirono Infine tutti.

Ma i Carthiani non hanno mai creduto all'esistenza di questo 'Losco Figuro'. Sulle prime ritennero che, in estrema semplicità, dato che era un po' che scorreva fin troppa acqua cheta sotto i ponti, l'Invictus aveva deciso di creare un'opposizione fantasma giusto per alzare un'atmosfera di frustrante paranoia e prevenire che in tutta quella placidità qualcuno iniziasse a pensare che forse un dominio Invictus non è proprio il migliore dei mondi possibili. Quando però il gioco divenne aspro e tetro oltre ogni immaginazione, quando i Fratelli di clan e di congrega ruppero ogni vincolo di fedeltà e di alleanza, quando la Vitae e la cenere colorarono la notte in una danza frenetica, i compagni compresero che le cose erano messe diversamente. Cioè: il responsabile restava sempre lo stesso, il Barone, ma le cause erano cambiate in modo agghiacciante. Danzetta regnava già da più di un secolo e sebbene nessuno sappia con esattezza da quanto tempo questo vampiro è al mondo, quel che è certo è che lui non ha mai riposato. Secoli e secoli di Danza Macabra senza il lungo sonno del torpore, generazioni ed epoche che ti passano sotto gli occhi, sentire la Bestia diventare sempre più forte, la sete sempre maggiore e invischiarsi in faccende più lunghe di un'era biblica, porta alla pazzia.

Perché i Carthiani chiamarono il periodo la Para-nera? Perché fu un periodo da pazzi. Chi era il più pazzo tra i pazzi? Il Barone.

Come finì la Para-nera? Un Carthiano non ne parla mai volentieri. A quanto ne sanno furono i Draghi a fare qualcosa con le loro inquietanti arti pseudoscientifiche. Riportarono sotto registro il cervello di quel folle, così che la smettesse di vedere i fantasmi quando non c'erano per davvero. Poi oh... Be'... Il Barone tornò a fare il despota illuminato e galantuomo come se niente fosse avvenuto, ma nel frattempo spuntò fuori il Mostro. Che casualità!

Tuttavia la casualità più importante fu un'altra: in tutto il trambusto l'Invictus si chiuse a riccio dentro Perugia. I Lorsignori erano più attenti a pararsi i loro netti deretani e a cercare qualcuno da accusare per non essere accusati loro, piuttosto che a controllare quello che succedeva in giro. Così i Carthiani decisero di puntare a un grosso Obiettivo. A Perugia continuarono a fare sempre i trozkisti incazzati e inconcludenti, ma fuori misero gli occhi e le mani su Marsciano.