giovedì 17 aprile 2008

Della Scorza e di altre faccende - Parte seconda

Parte seconda: della Scorza e dell'importanza di affinare la Vista.


Ai tempi Marsciano non era che un piccolo comune e niente più, oggi è un brulicare di cantieri d'ogni tipo, domani ci sarà di tutto: fabbriche, uffici, banche, centri sportivi, cinema, teatri, centri commerciali, discoteche. Metti che i compagni hanno quasi ottenuto il sì della Provincia per trasformare la principale via di comunicazione della regione in una strada a pagamento, e il gioco è fatto.

Una volta Teucride disse a Stefano: “Chi sta sopra sta sopra, chi sta sta sotto sta sotto. Ciò che sta sopra resterà sopra e ciò che sta disotto resterà sotto” e gli indicò le mille luci colorate del panorama dell'Acropoli, “Forse noi non assalteremo mai quella rocca per tirar giù i Lorsignori dalle loro torri, però possiamo assediarli e affamarli fin quando non cederanno tra le rosse lacrime della Bestia”.

Marsciano si trova sulla sponda sinistra del Tevere, l'abitato dista alcuni chilometri dalla riva perché tutta la piana che lo circonda è stata da sempre dedicata all'agricoltura, però i compagni del Movimento sperano di riempire tutto questo spazio nel giro di pochi anni; stimano trentamila residenti in due lustri, una quota che farebbe scattare la città a un livello considerevole nelle proporzioni dell'Umbria.

Basile era arrivato in moto nel cuore del centro d'espansione edile cittadino: una grigia savana di cemento, strade incomplete, lampioni senza illuminazione, involucri di plastica sparsi dovunque e scheletri di grossi edifici in costruzione. Tra un cantiere e l'altro c'erano vecchie case, condomini ed esercizi, ma nessuna persona in giro. Qui la gente è operosa, va a letto presto di sera (oppure fa un salto a Perugia) e i Nosferatu del Movimento dissuadono chiunque rischi di creare un po' di vita sociale autonoma: i tempi non sono del tutto maturi, Marsciano dovrà esplodere inaspettatamente per non lasciare modo al Primo Stato di porre rimedio.

Salito con la moto sopra a un marciapiede, Basile spense il motore e si tolse il casco, chiuse gli occhi e si concentrò sui rumori della notte. Qui non pioveva, ma il vento disturbava il suo tentativo di usare quella Qualità del Sangue chiamata Auspex da alcuni vampiri. Si sforzò e infine percepì, a circa duecento metri di distanza, un rumore ritmico di martellate. Chi poteva essere così... Così! Così, da stare al lavoro in un cantiere alle dieci e mezzo di sera, se non uno che aveva una grave allergia per l'orario di lavoro normale.

Basile riaccese la moto e si diresse da Peppe l'infaticabile, il più stereotipato tra i Carthiani del mondo: un lavoratore, uno che non era riuscito a rinunciare alla passione per fare e costruire. Aveva persino un gruppetto di mortali al seguito come dipendenti della sua stupefacente impresa di carpentiere-imbianchino-elettricista-idraulico, forse una delle poche in Italia dove tutto era 'quasi' in regola.

Quando arrivò sotto il cantiere Basile cercò di chiamare il compagno a voce senza far troppo casino, ma c'era un rumore di frullino al sesto piano (come diavolo faccia Peppe a non aver paura delle scintille è un mistero). Basile non ne sapeva tanto di che cosa combinasse Peppe nei cantieri di Marsciano, dava per scontato che si occupasse di alcune modifiche importanti a progetti che solo lui poteva fare; per il resto lo ascoltava soprattutto arrabbiarsi e bestemmiare in dialetto veneto perché per tutti questi lavoretti anticipava dei soldi che nessuno gli rimborsava mai. Tutto il rimanente Basile lo ignorava, lui non era capace di appendere un poster del 'Che' con le puntine e non nascondeva il suo orgoglio di avere una rendita più che rispettabile proveniente dalla (ex) 'Basile Chimici' – L'azienda del padre strappata alla sorella prima della morte di costei con un lungo e largo giro di avvocati e intrallazzi, donata a suo 'figlio': Stefano Basile Junior, frutto della notte più folle di Stefano del suo periodo folle, durante il quale scappò di casa come tanti altri giovani degli anni Cinquanta (anche i vampiri debbono arrangiarsi).

Visto che Peppe era all'opera, a Stefano sembrò una buona idea lasciar perdere gli schiamazzi notturni, meglio fare il vampiro, no? Si avvicinò alla recinzione del cantiere e chiamò la Vitae alle gambe. Le sentì irrigidirsi e scaldarsi e in un attimo fu un tutt'uno con l'aria intorno a sé fin quando non atterrò sulle traverse di alluminio al primo livello del palco alzato intorno alla struttura di cemento.

Grazie al Vigore tipico Daeva aveva compiuto un salto di sei metri senza rincorsa. Lui stesso si meravigliò del risultato, diventava sempre più forte, lentamente, ma costantemente. Comunque Peppe si trovava cinque piani più in alto, valutò un altro salto e si molleggiò sugli arti, il palco rispose ondeggiando. Stefano si sentì preso dalle vertigini si aggrappò a un palo guardando giù, il suolo era un cumulo senza soluzione di scarti edili, mattoni, calcinacci, ferri e tante assi di legno.

None! Cadere e rimanere impalettato sopra un pezzo di legno non mi pare un gran finale di serata.

Sbirciò con la Vista dentro i vani dell'edificio e notò che, per fortuna, le scale interne erano state costruite. A malincuore rinunciò all'apparizione a effetto, prese la via delle scale e seguì il rumore che aveva ricominciato a fendere la notte di Marsciano. Arrivò alle spalle di Peppe ma non lo sorprese affatto.

Oh che sei venuto a fare?” Gli chiese il compagno di congrega chino sopra una lamiera.

Oh Pe', devi stacca' un po', ti devo porta' su a Perugia”.

Eh?” Peppe si rialzò e si voltò di scatto con l'aria sbigottita. Strizzò gli occhi e si grattò i capelli riccioluti color della polvere. Infatti qualunque fosse la situazione, Peppe sembrava veramente un operaio edile appena uscito dal cantiere; persino se si metteva degli abiti nuovi appena comprati, appariva sgualcito e trasandato, una strana forma del camaleontismo dei Mekhet.

Basile fece la sua solita faccia, quella di chi aveva capito tutto, schioccò la lingua sui denti e disse: “Dai su, non te fa' pregare”.

Oh, io a quell'ascensore volevo darci un'occhiata, ma poi è arrivato quel boia d'Anchise a rompere le palle con 'sto cantiere qua...”

Ma perché ancora si blocca quell'affare?” Chiese Stefano improvvisamente rannuvolato.

Peppe rispose affermativamente con un'espressione volgare del dialetto veneto e aggiunse: “E se nessuno ci guarda, le cose non s'aggiustano da sole”.

Stefano si piantò i pugni sulle anche e disse sconfortato: “So' due mesi che avevo detto che quell'ascensore era rotto, per la Madonna, ce so' cascato dentro ché n'era arrivato al piano. Asclepio aveva detto che lo faceva guarda' dalla manutenzione...”

Peppe nel frattempo era tornato a torcere la sua lamiera con delle tenaglie: “Eccola qua la 'manutenzione' ”, disse agitando le tenaglie.

Tu?” Fece Stefano quasi incredulo, “Ma tu saresti quello che fa la manutenzione a tutto l'ospedale?”

No, manco alla metà... Parla co' Anchise e chiedigli dove cazzo ha messo i soldi, perché se non stanno all'ospedale, non stanno manco qua, visto che so tre anni che mi fa spaccare la schiena e sono tutte spese a carico mio finora”.

Ma che qua, so' finiti i fondi per l'Obiettivo Marsciano?” Domandò Basile come fosse la prima volta che ne sentiva parlare.

A me mi sa che non ci son mai stati”.

Oh ma s'è questione, bastava che me lo dicevate, non lo sai che c'ho amicizie?”

Senti”, fece Peppe scoraggiato, “Io non ci capisco un cazzo; c'ho quattro operai, tre albanesi e un marocchino vincolato. Li mando a lavorar fuori perché sennò non c'ho i soldi manco per una scatola di chiodi, Anchise non caccia un soldo, fa' tu...”

Ghe pens mì”, scimmiottò Basile tra il serio e lo spaccone, “Per prima cosa mo' mando Asclepio a piglia' l'ascensore rotto, così se casca giù pella buca tocca tirarlo fuori col muletto, sa' che ride”.

Coll'argano”, precisò Peppe, “E me sa che non funzionerà: Sclepio guarda dove mette le zampe, anche se non le vede le zampe”.

Vabè, coll'argano,e poi io guardavo al culo dell'Ornella delle malattie infettive. Oh ma senti, 'llora vien su a Perugia o no?”

Ma per forza?” Fece Peppe.

Sine”, rispose Basile sogghignando tra sé; Peppe iniziava a cedere, lo aveva distratto e fatto parlare e poi ci aveva messo un pizzico del suo carisma stregato. “Dai su, c'ho la moto disotto”.

Peppe fece un passo indietro spaventato: “Non c'ho il casco, cioè c'ho questo...” Mostrò un casco da cantiere.

Ma che te frega...” Lo spronò Basile facendo spallucce, “Te porto all'ospedale in nove minuti netti, duettrenta di media e via”.

No no, me frega!” Rispose Peppe allarmato, “Se facciamo un incidente e caschiamo, oh, l'attrito me brucia! Io son Mechèt!”

No macché attrito che ti brucia, fidati. Lo so io, so' un chimico, c'ho un'azienda, non ti fa niente”, disse Basile fermamente convinto delle sue nozioni.

No, no, no. Piglio il mio fiurin!”

Peppeee”, continuò Basile prossimo a perdere la pazienza verso il compagno che forse necessitava di un'altra scarica di magia da Succube.

Invece la scarica venne dal cielo. Un gran lampo e una pioggia copiosa, così fitta da oscurare la visibilità, crollò giù repentina lasciando senza alternative il numero delle ruote.

Il fiorino di Giuseppe Vanzetti (nominativo palesemente falso) è targato nero su bianco 'PG 626353', e stando al proprietario non può superare i centodieci chilometri orari, altrimenti fonde la testata. I due arrivarono all'ospedale verso le undici e mezzo e trovarono Asclepio in sala autopsie affaccendato intorno alla morta sgozzata, se si poteva definire sgozzamento quella cosa orribile.

Basile entrò brillante e scheggiante con Peppe al seguito che non faceva mistero di non aver capito cosa ci stesse a fare in quel posto. Asclepio non fece altro che guardarli da sotto le sopracciglia, il movimento comportò uno spasmo del secondo orifizio aperto sul suo mento.

Novità?” Interrogò eccitato Basile.

Gl'ho guardato pure dentro la pipina... Niente”, rispose laconico Asclepio.

Ma che è stato un animale?” Disse Peppe osservando l'assassinata con la bocca spalancata.

Non lo sappiamo”, rispose Basile a Vanzetti, “Per questo t'ho portato qui”, gli diede un colpetto sulla spalla, “Avanti Pe', dicci chi è stato!”

E come?” Fece il Mekhet sempre più attonito.

Dai su, non me l'hai imparata tu la Vista?” Lo spronava Basile mentre Asclepio inclinava il tavolo operatorio poggiandoci i gomiti sopra, stava proprio assistendo a una bella scenetta.

Ah Ste' ”, fece Peppe, “Io ce l'ho la vista buona, pure quella notturna, ma quella cosa del Tocco è difficile, mica nessuno me l'ha mai imparata”, qualcosa rantolò nella seconda bocca di Asclepio, era una risata sommessa. Basile guardò fulmineamente da un lato all'altro della stanza mentre Peppe lanciava una di quelle imprecazioni che si sarebbe ricordata a lungo: “Perché cazzo non me l'hai detto subito! Fanculo va'! Torno a Marsciano”, concluse stizzito Vanzetti e si incamminò verso l'uscita. “Se vedi Anchise”, volle aggiungere in direzione di Asclepio, “Digli che le fatture del cemento non le deve gira' a me, le deve pagare”.

Asclepio non disse nulla, aspettò che Peppe se ne fosse andato e poi si rivolse Basile che si era ripreso lo sgabello di prima e si guardava le mani poggiate tra le cosce.

Bon, ade' che te se' cavato 'sta voglia, vedi di darmi 'na mano co' sta faccenda”.

E come?” Chiese Basile in sovrappensiero, tentato di escogitare qualcos'altro.

Be' pe' esempio ci starebbe d'anda' su dal Vescovo e subito”.

A fa' che?” Replicò Basile troncando la sua riflessione.

A dîgli qualcosa no? Tant' bene m'è arrivata richiesta”.

Di già?”

Che t'aspettavi? Gli oggiotto?”

E che gli racconto?”

Oh 'màgina: se non gli dici niente lu' ce leva il cadavere da le mano, che poi finisce ne le mano dî Mechèt dell'Invictus e quelli non so' Peppe...”

Tu dici che possono veni' a sape' de la Scorza?”

I' so' che possono veni' a sape' cose che noi no. E anche se fosse che de la Scorza non salta fôri gnente, be' noi ce la prendiamo in culo”.

Ma se' sicuro ch'è stato'n Carthiano?”

Pure n'exese, o uno che s'è succhiato un po' de sbobba nostra pô anda' bene”

E no”, fece Stefano serio, “La faccenda non ce la possiamo fa' incula' ”.

Quindi che gli dici al Vescovo? E sbrigati a pensa' e ad anda' su che dice che stasera c'ha da fa', è il due”.

Il due?” Disse stefano con qualcosa che gli tornava in mente, “E perché il Barone non ha fatto la solita Corte coi soliti festeggiamenti?”

Ah no' lo so!” Rispose Asclepio, “Che volevi anda' a magnà i cappelletti su da l'Invictus? Poi manco li pôi assaggia' i cappelletti”

Quant'eran bôni quelli de la mi' nonna...” Disse nostalgico Stefano.

Vabè, vabè, gimo avante su la questione e non perdiamoci in chiacchiere”

Basile stette qualche secondo a massaggiarsi il mento con la pelle tra l'incavo del pollice e dell'indice. Non era mica facile pensare quando Asclepio lo metteva sotto pressione.

Diciamogli che so' stati i Draghi!” Se ne uscì infine: “È colpa loro, dî lor 'sperimenti strani... C'hanno i lupi maruani, poi, in congrega loro. Un affare del genere lo si pô benissimo fa' passa' per una cosa dî Selvaggi no?”

Fu il turno di Asclepio di grattarsi la fronte spoglia di capelli, ma durò poco. L'idea di Stefano non faceva schifo, aveva senso, peccato però che: “Te vôi mette' a litiga' co' Freida? C'ha solo cent'e sessant'anni. No, vabè, dico, me piace. Tutto sta a vede' se riuscîmo a farla bere al Vescovo e poi a incastra' Freida che sta in giro solo da prima dell'Unità d'Italia”.

Maledetto, pensò Stefano, ci tocca sempre fare i conti col fatto che uno, solo perché è un rudere peggio di un biroccio, c'ha ragione per principio, pure dopo la prova contraria.

Ancora una pausa tra i due nella quale Stefano non riuscì a pensare nient'altro. C'era qualcosa in Asclepio che lo distraeva, una lontana somiglianza tra il suo compagno di congrega e Bettino Craxi.

Caterina era meglio”, ruppe beffardamente il silenzio il Nosferatu, “A 'st'ora aveva di già pensato quattro o cinque soluzioni ed era partita senza manco dirmi niente”.

Oh ma perché non ci vai tu su dal Vescovo allora?” Rispose Stefano inacidito dall'ennesimo e monotono confronto.

Asclepio sorrise cólla bocca superiore mentre quella di sotto vibrò ripetutamente lasciando uscire una sporgenza di colore rosso cupo. “Primo: c'ho meglio da fa'. Secondo: se su e me'ncontro col Frate ce sta un Nosferatu di meno stasera in giro. Terzo: visto che su' Eccellenza il Vescovo è un Ventures, me verrebbe male abbindolarlo cólle parole, pô fini' che me stupra il cervello e salta fuori tutta la storia de la Scorza”.

E ma 'sto cazzo! Che cazzo me l'hai detto a fa' a me della Scorza! Chi ti dice che non stupra il mio di cervello?”

Tu no? Che ce l'abbiam a fa' il Divus se non possiamo usarlo pe' 'ste cose!”

Asclepio aveva messo un punto sul tavolo che difficilmente Stefano sarebbe riuscito a togliere, perché la logica era d'acciaio. I Carthiani si fanno forza l'un l'altro dividendosi equamente il lavoro in base alle capacità, e i frutti di questo lavoro erano goduti senza disparità da tutti i compagni. Era vero, la presente era una situazione delicata e rischiosa, tuttavia tra il rischio ipotetico d'essere colti in flagrante a depistare un'indagine e quello certo di vedersela togliere di mano e poi depistata e ritorta contro di loro, erano costretti a rischiare. Anzi, Stefano alla fine si sentì quasi orgoglioso di andare a metterci la faccia; nel bene o nel male avrebbe avuto un riconoscimento o una protezione da parte del Movimento.

Vabè, I' ci vô”, concluse la Succube alzandosi in piedi, “Ma tu non me sai da' un aiuto?”

L'importante è che lu' ha da capi' che non ci deve rompe li coglioni e che de 'sta faccenda ce n'occupiamo noi”, rispose tranquillo l'Infestatore mentre Basile annuiva con forte convinzione.

Ah Scle'”, disse poi demolendo così la sua stessa immagine di un millisecondo prima, “So' rimasto a piede: la moto l'ho lasciata a Marsciano, la macchina è su a casa mia, lì alla stazione”.

Asclepio sbuffò (la sua bocca inferiore rigurgitò qualcosa di vischioso): “Ci starà mai una notte che tu non abbia 'sti problemi del cazzo? Fatti da' uno strappo dal Pispolo!”

Nessun commento: