sabato 13 settembre 2008

Al cospetto degli Dei Morti



Prologo 02

Quel sabato Leonardo si preparò di tutto punto, riempì la sua cartella da disegno di bianca plastica rigida con dépliant, documenti illustrativi e contratti, e rimediò un passaggio per essere alle sette e quarantacinque di fronte al numero civico del signor Rometti. Trovò una monofamiliare circondata da un giardino affacciata su una via residenziale di Siena con tutte le luci spente.

Si appoggiò alla colonnina del cancello e attese qualche minuto sebbene già immaginasse un'attesa lunga sotto un cielo novembrino inscurito che sarebbe potuto diventare abbastanza rigido. Aveva pure un po' fame, per pranzo si era spazzolato tre fette di mortadella vecchie di quattro giorni e pan carré.

Convinto d'aver preso uno dei soliti bidoni – sta a vedere che la figlia e' voluta andare a cena da McDonald e Rometti si e' dimenticato dell'appuntamento – schiacciò un paio di volte il campanello, solo per scrupolo; al limite avrebbe potuto lasciare un pieghevole nella cassetta della posta, casomai il cliente ci ripensasse... Oh ma vaffanculo, lo sapevo che anche questa volta finiva in merda.

L'impulso elettrico che aprì il cancello lo spaventò, in fondo al vialetto la porta della casa sotto una pensilina si schiuse e Leonardo vide un uomo.

Si riprese subito e in verità già gli era passato tutto l'entusiasmo, voleva solo andarsene ma restò, dopotutto non aveva altra scelta.

«Signor Rometti?» Chiese entrando in giardino.

«Sì?»

«Sono Leonardo Moreno, Assita, piacere», Rometti sembrava non capire, dunque si era dimenticato sul serio. O era un altro Rometti? Il padre? Ora che si era avvicinato la persona appariva un po' più anziana di come s'aspettava.

«Avevamo un appuntamento per stasera alle otto», spiegò Moreno, «Aveva scelto lei l'ora perché prima doveva portare sua figlia al cinema».

«Ah sì!» Rispose Rometti aprendo di più la porta per lasciare entrare Moreno. «L'ha accompagnata mia moglie, io», precisò Rometti, «Io sono rimasto in casa a finire un lavoro e poi mi sono appisolato. Mi scusi ma dopo un sonnellino sono sempre un po' intontito», concluse Rometti mentre faceva strada a Moreno.

«Si figuri».

Rometti fece accomodare Moreno in un tinello di legno d'acero con un tavolino ottagonale; la casa sembrava grande e ben messa, non proprio da nababbi ma per Moreno sarebbe andata bene lo stesso se si fosse ritrovato con un contratto firmato.

«Dunque, mi aveva detto che aveva l'intenzione di fare un fondo integrativo per la pensione; noi dell'Assita abbiamo diverse offerte che potrebbero soddisfarla...» Iniziò Moreno aprendo la sua valigetta delle superiori.

«Sì, è una buona compagnia questa Assita

Moreno sorrise un po' imbarazzato: «Oh, noi siamo i leader in Italia in questo campo, abbiamo milioni di clienti privati, aziende, enti...»

«E... Da quanto tempo lavora lì?»

«Be', io da non molto», Rispose Moreno con sincerità, giacché più di vent'anni proprio non riusciva a dimostrare.

«Ma comunque è ben inserito, dico, se la mandano dai clienti, voglio dire, ha una buona posizione».

Leonardo non stava capendo granché, le domande gli sembravano persino un po' losche; ne aveva sentita qualcuna di storie sugli assicuratori che facevano strani intrallazzi.... Che portavano un mucchio di soldi! Allora disse: «Be', non è che mi vanti, ma io sono una persona di fiducia del direttore dell'agenzia...» O lo sarebbe diventato presto se portava a casa un buon affare, «Perché... Be'», mentre cercava d'inventarsi una panzana credibile Leonardo sentì arrivare un colpo alle spalle, non fece male, fu peggio l'essere sbattuto contro uno spigolo del tavolo e poi sopra il piano.

Fu così colto di sorpresa da non riuscire a dibattersi neppure istintivamente poiché venne travolto da una sensazione mai provata prima; qualcosa di grosso era sopra la sua schiena, era anche qualcosa di freddo, una specie di velo liquido che penetrava attraverso la sua pelle e al quale non riuscì in nessun modo a opporsi mentre si sentiva come consumare.

Le palpebre di Leonardo cedettero, non seppe per quanto tempo restò con gli occhi chiusi, forse secondi, forse diversi minuti; li riaprì allorché le orecchie iniziarono a ronzargli e le gambe a formicolare indolenzite. Restò steso sul tavolo senza muoversi, si sentiva le ossa di gelatina, respirando annusò l'odore acre del sangue da qualche parte.

Rometti stava seduto di sbieco sulla sedia, le cosce accavallate e la faccia di chi, contrariato e rassegnato, fa appello a tutta la pazienza posseduta fissando l'angolo in alto a sinistra.

«E dai, mi era parso un aggancio interessante!» Sbottò Rometti. Moreno non sapeva con chi stesse parlando, c'era forse qualcun altro? Ma dove?

«Chi? Codesto?», disse una voce dallo strano accento. «Ho letto la sua mente, tutte menzogne. È un povero verme disperato della terra»

«Lo sarà anzichenò, ma c'era il bisogno di far tutta questa baraonda? Tra poco rientrerà la nostra famigliola, dovremo nascondere tutto. Poi dovremo farlo sparire da qualche parte, lo hai conciato male».

«Ho lasciato l'ultimo sorso per te, amico mio», rispose la voce che sembrava quella d'un francese, « È un povero clochart senza famiglia, un boccone raro e troppo appetitoso; l'ultima volta che potei dissanguare a morte è stato nell'Ottantaquattro»

«Sì, mi ricordo», disse Rometti con una smorfia di sinistra lussuria sul volto.

Moreno non riusciva a capire niente a parte sentire l'umido del sangue che colava sulla sua faccia. Era suo il sangue! Rometti l'afferrò per i capelli morbidi e biondi e lo tirò brutalmente verso di lui sopra il tavolo, la carne del viso di Moreno vibrò per l'attrito. Ruotò le orbite in direzione di Rometti e la sua mente ordinò al corpo di saltare ma il corpo non rispose. Rometti non aveva più il naso, tra gli occhi e la bocca c'era solo un'affossatura con due buchi circondata da lembi di pelle cadenti.

Rometti guardò in faccia Leonardo a lungo, notò la bellezza dei suoi occhi chiari congelati dalla paura.

«Senti ma perché non lo Abbracci?» Chiese Rometti al nulla.

«Io?»

«Be', io ero quello che voleva un servo e basta, tu quello che voleva un morto, facciamo una via di mezzo».

«Che ragionamento vulgaire», rispose stizzita la voce.

«Era ironia, una cosa che da Nosferatu s'impara, ma per il resto ero serio. Tu non sei stanco d'essere solo noi due?»

«Et le Chef?» Domandò la voce.

«C'è posto per tutti. Davvero: me lo aveva persino accennato un po' di tempo fa», e ciò detto la cosa con il muso di un cinghiale incassato nella testa di un uomo si fermò a guardare oltre Leonardo fin quando non emise una grossa risata di soddisfazione schioccando i palmi delle mani l'un l'altro.

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