Una volta che il Primo Stato fu lasciato solo, Stepfen Cestcenko diede l'ennesima prova di voler tanto andare in Frenesia quella notte iniziando ad agitarsi furente sulla sedia.
“Basta e silenzio!” Questa volta Ortensio urlò veramente e la stessa Bestia del russo si accucciò in un angolo della sua anima Dannata.
“Signorina Corsari, ci introduca il Signorino Orsini”, disse ancora il Ventrue.
La Gangrel, già più che onorata per aver partecipato alla riunione per permettersi di aprir bocca si alzò accondiscendente. Si incamminò verso la porta nei suoi stivali bianchi alti fino a metà polpaccio enfatizzando il rumore dei tacchi e la sensualità del suo fondoschiena inguainato nei pantaloni di un tailleur scuro.
Orsini era in una stanza secondaria, convocato poco fa e lasciato in un'anticamera dove non poteva sentire niente. Per sua fortuna questa sera aveva avuto almeno il tempo di rendersi presentabile, non come quando quel folle di Skydone lo aveva letteralmente costretto a uscire a forza dal suo rifugio e a finire in quella fogna merdosa.
Alessandro Orsini era un altro giovane, un Daeva dell'Invictus perugino; un bel ragazzo dai lineamenti meridionali che amava esaltare la bellezza delle sue ciglia e la carnosità delle sue labbra. Pensava che gli anziani della sua congrega ritenessero il suo aspetto semplicemente delizioso: i capelli castani con sfumature nere ai lati tagliati a caschetto, il senso impeccabile nel vestire e nel comportarsi... Con questo aveva iniziato la sua bella carriera nell'Aristocrazia, ma sapeva che a parte il tempo, per continuare su questa strada sarebbe servito molto altro.
Appena Sonia Corsari comparve sulla porta della sala di aspetto Orsini si alzò e la seguì per essere condotto nella famosa 'Sala delle Giunte', la camera dove avvenivano le cose più importanti del dominio, e lì Sonia lo lasciò solo.
Orsini non si era affatto illuso. Sapeva che non sarebbe stata questa la notte in cui veniva introdotto in chissà quale esclusivo circolo di Fratelli. E sapeva anche che non sarebbe stato facile, ma non immaginava che sarebbe stato così terrificante.
De Megnis era un demonio spaventoso, seduto come un giudice. Orsini sentì di aver addosso il suo sguardo possente. Provò a guardarlo in volto per sapere che effetto faceva, ma quel viso sembrava fondersi e scomparire nel buio, era troppo alto perché la luce lo colpisse. Florenzi-Baglioni, il suo Priore e protettore sembrava fuori del mondo, seduto di lato in fondo al tavolo, non lo aveva degnato di uno sguardo. Questo significava una cosa ben precisa: che Orsini era solo, che il suo Priore si aspettava qualcosa da lui ma che non lo avrebbe aiutato. E infine Cestcenko, be' lui era decisamente in preda alla Furia Rossa, e questo era forse il male minore.
Per prima cosa Ortensio prese un cellulare dalla tasca interna della sua giacca, lo aprì, pigiò qualche tasto e lo lasciò poggiato di lato e aperto sul tavolo in direzione di Orsini. Poi gli chiese: “Lei è sceso nella Prigione insieme all'Ordo Dracul e alla Lancea Sanctum?”.
“Sì”, rispose Alessandro.
“Lei dunque ha visto l'essere?”
“Sì”, rispose ancora.
“Com'era?”
Qui Alessandro ebbe un evidente tentennamento, tanto che Florenzi-Baglioni addirittura intervenne per spiegare meglio.
“Ci dica che aspetto aveva”.
Il timore di Orsini divenne stupore inconcepibile e inaspettato, ma cercò di non farlo trasparire. Cristo Santo! Loro non lo hanno mai visto. Era sicuro di questo poiché i due anziani sembravano genuinamente curiosi.
“Oh, be', è veramente difficile da dire, perché non credo che esistano paragoni possibili al mondo... È come un insieme di più cose, sembra un animale, una specie di mollusco enorme di color marrone, alto almeno sei metri e con una estremità molto lunga e flessibile che sembra un collo. Non ho mai visto una cosa del genere. Più che una testa sembra una specie di bizzarro vegetale”.
I due anziani annuirono.
“E,oh, ha anche una serie di strane zampe su cui si sorregge...”
“È vero che questo essere è in grado di scomporre la struttura della realtà?” Incalzò de Megnis.
Alessandro aveva inaspettatamente ripreso coraggio: “Oh, vederlo... Vederlo sicuramente nullifica ogni certezza e ogni conoscenza ritenuta definitiva riguardo la realtà, perché nessuno più arrivare a concepire l'esistenza di una cosa di quel genere”.
Orsini terminò la frase con un largo sorriso sul volto che si tramutò in una paresi raggelata quando comprese di aver detto la più grossa cazzata della sua non vita.
Il socchiudersi lento, quasi dolorante, delle palpebre di de Megnis confermò la paura di Alessandro, ma non ebbe modo di preoccuparsi per le sue sorti poiché l'esame era ben lontano dal terminare.
“Sappiamo che Iona Schidòn ha utilizzato il meccanismo di contenimento, sa dirci che cosa ha fatto di preciso?”
“Sì ecco... Lui si è avvicinato alle steli... Ehm, vi erano tre steli di color nero poste a poca distanza dal Mostro e queste avevano qualcosa, come una pietra, di colore azzurro, sulle loro sommità. Queste mezze colonne sono alte circa un metro”, la cosa sembrava funzionare e forse aveva capito 'quello che gli anziani volevano sentirsi dire': “Ho visto il Magister dell'Ordine di Dracula toccare queste pietre azzurre con le sue mani ma non molto bene purtroppo, perché erano parzialmente coperte dal suo corpo... Tuttavia mi sembrò che stesse muovendo le dita come se su quelle pietre vi fossero dei pulsanti o dei punti mistici...”
“È stato lui!” Sbraitò Cestcenko, “Lui, così, ha fatto saltare in aria nostro laboratorio!” Esclamò con un impeto tale che Orsini sentì un nodo alla gola stringersi e un formicolio corrergli lungo la schiena.
“Non ha molto senso questa cosa”, intervenne Florenzi-Baglioni, “Quando per colpirci si potevano usare molti modi meno elaborati”.
“Siamo a parlare di Skiidnonij”, replicò il russo.
“Che per far saltare in aria un laboratorio di droghe inizia con la Distruzione di due Fratelli? Noi pensiamo che essa sia la chiave di volta dell'intrigo, e l'assenza di tracce ci conduce direttamente alla Minaccia e al loro assodato modus operandi”.
“Tutti lo hanno pensato questa notte Priore”, disse Ortensio de Megnis, “Ed è possibile, così come è possibile che siano state le Nemesi. In passato siamo stati costretti a lacerare la Maschera nei loro confronti e in questa notte tutte le notizie che potrebbero aver raccolto, sicuramente possono essergli utili per agire e confonderci”.
“E perché non i Demoni? A lungo si è sostenuto che il prigioniero fosse un'Entità Infera”, rispose sprofondato nella rilassatezza l'anziano Daeva.
“Oh no”, fece de Megnis concedendo addirittura un mezzo sorriso, “Grazie ai Consacrati sono secoli che non abbiamo più la presenza delle Progenie qui da noi, che Dio li abbia in gloria”.
Cestcenko nel frattempo stava lentamente riacquistando confidenza con il pensiero razionale, se non altro perché aveva visto uno spiraglio verso il quale incanalare tutta la sua frustrazione: attaccare quell'odiosa Succube di nome di Skidone. Alzò le braccia ben tese in alto e disse: “Sì, così è! Skiidnonij ha fatto patto con Nemesi per usare potere del Mostro. E attacca nostro laboratorio per distruggere nostri fondi. Lui vuole iniziare guerra per potere, vuole avere Praxìs! Chiaro: aspetta anni e costruisce di nascosto, ora attacca”.
A sentirlo la fronte di Orsini s'imperlò di gelide goccioline rosate che si affrettò a tergere con un fazzoletto prima che gli impiastricciassero i capelli ben stirati e cotonati. Ma non poté evitare di notare la fermezza degli altri due anziani, come se già avessero calcolato tutto da tempo.
Tommaso Florenzi-Baglioni si limitò a puntare il volto verso Ortensio con fare interrogatorio, e il pizzo signorile risaltò lucido e corvino sotto la luce delle lampade.
Ortensio aveva ascoltato la conclusione del Fratello est europeo con i gomiti sul tavolo e le mani chiuse una nell'altra. Alzò la testa, i suoi occhi guardavano lontano sotto i capelli mossi e ricadenti a ciocche ricciolute sulla fronte.
“Sarà l'Augusto Barone a occuparsi personalmente di questa cosa, credo. Tutto il resto dell'Invictus non dovrà fare altro che tenere posizione e terreno perché la supremazia non venga intaccata”, fece una pausa e con la sua voce imperiosa chiese: “Lei, Signorino, in che rapporti è con il Fratello Schidoni?”
Orsini voleva guardarsi intorno, voleva scappare via, ma soffocò tutto stringendo sotto il tavolo il fazzoletto fino a farsi male.
“Sono cordiali”, disse, “E ho ancora un debito sulla sua vita!”, aggiunse con tono trionfante.
“Ancora non lo ha riscosso?” Lo smorzò laconico Florenzi, “Non credo che riuscirà a riscuoterlo veramente, servirà dell'altro”.
Nell'incubo in cui era finito Orsini venne colto dalla disperazione, tanto che si diede a mormorare cose a caso, come “Forse la Signorina Tina”. Lo sentirono tutti, e grazie a questo Ortensio ricambiò l'occhiata di poco prima a Florenzi-Baglioni.
La Succube ultrabicentenaria pur se colta alla sprovvista non ne diede dimostrazione e, come se stesse ignorando gli interlocutori iniziò a congetturare a voce alta e flemmatica: “Dovremmo costringerla al sacrificio del suo onore, per poi cosa è da dimostrarne l'utilità. Difendere la supremazia non può costare il sacrificio della dignitas, neppure di quella di un infante”.
“Il fatto è che Giovanni Skidone è odiato o malvisto praticamente da tutti i Fratelli del Dominio”, gli fece eco de Megnis.
“E temuto: senza dubbio una posizione invidiabile per tentare la scalata verso la Praxis”, chiosò Florenzi.
Poi calò il silenzio per quasi un minuto, interrotto infine da de Megnis: “D'accordo, per questa notte è sufficiente. Signorino Orsini, lei in qualità di Delfino ha il compito di essere vigile su ogni avvenimento importante e, nel caso le si presenti l'occasione, di portare successi all'Invictus”.
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