“No! Poggia subito quell'aggeggio infernale!” Urlò Iona sulla sedia del barbiere di fronte allo specchio del bagno, “Ti ho detto che questa sera i capelli me li devi lasciare un po' più lunghi e tirarmeli all'indietro”.
“Ma ti stanno male...” Rispose con poca convinzione l'uomo riluttante ad abbandonare il rasoio elettrico.
Iona non gli diede alcun peso, aggiunse anche: “Lasciami i baffetti e la mosca sotto il mento”.
Ivo rise: “Che è una delle vostre feste a tema? Stasera è 'Pupe & Gangster' per caso?”
“Magari...” Sospirò il vampiro, “Mi ha chiamato il Barone”.
“Chi? Il grande vecchio che ogni tanto si stupisce del fatto che non c'è più la Rocca Paolina?”
Iona lo guardò in tralice: “Non copiare le mie battute e non azzardarti neanche a pensare di nuovo una cosa del genere, questo non è uno scherzo”.
“Lo so”.
“Non abbastanza. Ci sono troppe cose che sai e non dovresti. Avanti, fa bene il tuo lavoro e pensa solo che quello è il mio capo, cioè quello che mi permette di continuare a esistere, quindi è quello che permette anche a te di continuare a vivere”.
Ivo non si fece ripetere la lezione, infilò le dita negli anelli delle forbici e iniziò a tagliuzzare.
La tranquillità non era durata abbastanza, solo il tempo di riprendersi dalla nottata con Patricia, senza poter neppure pianificare una mezza idea per il futuro, che già la Danza era ricominciata con la sua musica. Una convocazione a cena col Barone, roba da far scappare in esilio chiunque, anche solo per aver detto una parolaccia a Corte. Comunque Iona si sentiva abbastanza sicuro: non c'era possibilità che fosse trapelata la storia della scappatella tra lui e la ex progenie dell'Augusto. Oh sì, la Pagana si sarebbe torturata per l'eternità con l'anelito della vendetta, ma di questo si sarebbe occupato presto, sempre che il Barone non lo incastrasse con qualche stronzata delle sue. L'unica nota positiva era che l'altra ragazzina sembrava partita davvero per Genova, e Iona sperava di poterla rincontrare solo dopo il suo terzo parto.
Iona Skidone, del clan dei Daeva, Giurato ai Misteri dell'Ordo Dracul perugino e comprovato perito di questioni esoteriche lasciò la sua Infiniti G35 coupè al parcheggio custodito del Mercato Coperto, una struttura costruita sul dirupo a picco dell'Acropoli cittadina. Un ascensore lo avrebbe portato in Piazza Matteotti, quella che per secoli era stata chiamata la Piazza Piccola o del Sopramuro, dove si trovava il magnifico palazzo dell'antica Università, ora sede del Tribunale.
Erano le otto e venticinque di una serata di fine novembre, l'appuntamento era per le otto e trenta, la puntualità il massimo grado di rispetto che poteva tributare all'Augusto Barone Giacomo Danzetta, Domine Perusinum, Principe di tutti i Fratelli dell'Umbria. Tuttavia c'era ressa agli ascensori, e gli ascensori hanno dei terribili difetti chiamati 'specchi' al loro interno, e i vampiri vengono riflessi distorti da questi.
Seppur terrorizzato da un ritardo, Iona attese che la calca scemasse controllando che le sue scarpe fossero così lucide da far male agli occhi e che il gessato nero non si fosse sciupato. Infine riuscì a imboccare un ascensore in solitaria, indossò lo spolverino una volta dentro e controllò che i capelli tenessero l'acconciatura; non sarebbe stato bello che quando si fosse tolto cappello qualche ciuffo ribelle si sarebbe alzato, peggiorando tra l'altro la sua calvizie.
L'ascensore lo depositò all'altezza del corso di Perugia: due vie parallele collegate da alcune traverse e da Piazza Italia in fondo alla sua sinistra. C'era vita in questo inizio di serata di venerdì, la gente aveva appena chiuso con gli aperitivi e iniziava a recarsi a cena. C'era sempre vita di notte nell'Acropoli di Perugia, perché altrove non c'era assolutamente nulla o quasi, e per un abitante dell'Umbria era un'abitudine normale farsi trenta, quaranta oppure anche cinquanta chilometri ogni sera solo per farsi una passeggiata, persino quando era freddo e pioveva. Erano stati Loro a volere tutto questo, erano stati loro a creare questa Ville Lumière in miniatura in mezzo a una regione dominata dai boschi e dalle montagne; questo era il Loro regno dove prosperavano sicuri, protetti dall'ambiente urbano che avevano costruito in base ai loro desideri. C'erano circa cinquanta Fratelli in Umbria, un numero elevatissimo per solo 850.000 abitanti, forse 900.000 contando gli immigrati non regolari; di più proprio non ne poteva contenere e probabilmente anche per questo era ricominciata la Danza Macabra – troppi vampiri in un solo luogo non durano per molto, è l'antica e ineluttabile legge dei predatori che essi si riducano di numero quando si oltrepassa una certa soglia critica.
Iona aveva appuntamento con l'Augusto Barone al Gran Caffè di Perugia, neanche quattrocento metri di strada da dove si trovava in quel momento. Tuttavia mentre si avvicinava, insieme alla percezione della presenza di un Fratello ebbe la certezza che sarebbe arrivato drammaticamente in ritardo, perché questo Fratello era Ascanio dei Nosferatu.
Ascanio era già a Caccia, anzi, Ascanio era sempre a Caccia perché aveva come unico Territorio nell'Acropoli i tre gradini di marmo posti di fronte all'ingresso del Palazzo delle Poste, la cui unica attrattiva era un chiosco di birra a buon mercato che tutti chiamavano da sempre 'La zozza'; ma Ascanio non aveva diritto di lamentarsi e non lo faceva, era appena un neonato a cui era stato dato il rango di Fratello del Corso, escludendo altri, ben più anziani e titolati. Forse aveva ricevuto il privilegio di poter cacciare nell'Acropoli solo perché così qualche escluso era stato oltraggiato e umiliato dal potere dell'Invictus.
Non appena i due vampiri entrarono nel raggio in cui i loro sensi iniziavano a funzionare, Iona sperò che Ascanio prendesse paura e scappasse, invece lo vide col suo passo claudicante, causato dalle ossa del bacino difettose, indirizzarsi verso di lui. Le prede abituali di Ascanio erano membri di gruppuscoli di punkabestia, freakkettoni, tossici senza un soldo in tasca e cani che questi si portavano dietro ovunque andassero. Per essere più efficiente si mescolava a loro: alto, magro, allampanato ed emaciato, da anni con i soliti anfibi bucati, un paio di jeans attillati, una camicia di flanella legata ai fianchi che forse un tempo era a scacchi, il chiodo di pelle sopra una maglietta bisunta e spille, spillette, piercing, borchie, una cresta al posto dei capelli... Stava sempre curvo, aveva un occhio perennemente chiuso e non riusciva ad aprire completamente la bocca se non per addentare una vena e succhiare il sangue; sembrava un ritardato mentale sempre alla ricerca di una birra a scrocco, di qualche droga o di spiccioli, ma in realtà era perfettamente furbo e intelligente.
Iona era stato un cosmopolita un tempo, e conosceva quasi tutte le famiglie e i lignaggi dei vampiri al mondo visti personalmente oppure per sentito dire, ma gli Infestatori di Perugia erano particolari e bizzarri; nessun Nosferatu era capace di essere attraente o gradevole, ma questi qua erano tutti drammaticamente deformi e raccapriccianti. Ascanio, guercio, zoppo, storpio, piegato e con una favella poco intelligibile, non era affatto uno dei peggiori esemplari. Iona sapeva benissimo quello che lui stava facendo, sapeva che cosa gli avrebbe detto e Ascanio già conosceva la risposta; ma il gioco non cambiava perché l'Infestatore insisteva, insisteva e insisteva.
“Siz-ghior Sc-chidon, 'uona sera”, eccolo qua, già all'attacco.
Iona si frugò nelle tasche alla ricerca di spiccioli, ma aveva solo banconote da cinquanta euro. Dovevano salvare le apparenze di fronte al bestiame.
“Sera 'Scanio, com'è la Caccia?”
“Bb-uona, sc-cusi se la fer-mo ma volevo sa-ere se e-o st-à-o ac-c-cet-tato”.
Sfogliando la mazzetta dei contanti Iona trovò cinque euro spiegazzati tra le altre banconote. “Non ne ho idea, non sono io quello che si occupa del reclutamento dei nuovi membri”.
“Ma pb-uò met-e-rere un pb-pa-ola?”
“Non lo so, e ora scusami, devo andare di fretta”, Iona passò oltre, “Eh oh!” Disse fermandosi lo stretto necessario: “Non mi ricordo più se è la settima o l'ottava volta che mi fai questa domanda”, si fece severo, “Abbiamo compreso i tuoi desideri e la tua chiara volontà, tranquillo”, sorrise rassicurante.
Ma tu guarda se devo fare il lavoro degli altri. Persino le pubbliche relazioni coi Tiepidini mi devo sobbarcare. Arimanni mi sentirà, una di queste notti mi sentirà. Pensava il Daeva.
Il Gran Caffè di Perugia era il ristorante-bar più lussuoso di tutta la città posizionato a metà strada nella prima traversa tra Piazza Matteotti e Corso Vannucci, l'accesso era vietato a tutti i vampiri a meno che non avessero un invito formale del loro capo. Entrato, Iona rimase splendidamente colpito dal brillare dei marmi e anche un po' intimorito dal fatto che riflettevano tutti i presenti. Senza dubbio questo era un locale che nascondeva molte cose, ed era fatto apposta per tenere alla larga gli indesiderati.
Un cameriere dietro il bancone lo fissò, ma non sembrò badare alla sua immagine distorta riflessa in terra. “Desidera?” Gli chiese premurosamente.
Iona si accostò al bancone e disse: “Ho un invito”, ed estrasse un piccolo biglietto da visita che l'entourage dell'Augusto gli aveva recapitato insieme alla sua convocazione.
Il cameriere si fece ancora più cortese, “Oh sì sì, solo un secondo per favore”, e poi si avventò sul biglietto col chiaro intento di strapparlo dalla mano della Succube a qualsiasi costo. Il cameriere usò un telefono interno e in quel momento scoccarono le venti e trenta, almeno l'obiettivo della puntualità era stato raggiunto. Comparve un signore in completo grigio, spalle poderose, un metro e novanta di statura e auricolare nell'orecchio destro. Salutò e disse: “Se vuole lasciare il soprabito e il cappello, può seguirmi”.
Fece come richiesto e seguì l'uomo fino a una sala da pranzo privata. La porta si aprì e Ionandreij Skiidonÿ venne introdotto alla presenza dell'Augusto Barone.
C'era un motivo per cui Iona aveva indossato un gessato doppiopetto nero, un panciotto da cerimonia, cravatta in tinta unita e scarpe con un foggia che non veniva più modellata da molti anni, perché era lo stesso stile di abbigliamento solitamente usato da Sua Maestà Giacomo Danzetta; l'unica differenza era che per l'Augusto questo era il periodo del tweed di un colore verde oliva molto scuro. A vederli come due semplici umani i due dimostravano più o meno la stessa età; Iona era un po' pelatino e questa sera aveva la testa piena di righe di capelli impomatati di gel, il Barone difficilmente superava i trent'anni e sembrava avere un volto tipico del XVIII secolo. Aveva i capelli dall'attaccatura alta ma perfetta, stirati e acconcianti dietro alle orecchie in morbide onde, se non fosse stato per il naso leggermente adunco, un po' troppo sporgente, e per due triangoli di carne morta e raggrinzita sotto gli occhi, sarebbe stato veramente un bellissimo uomo nel fiore degli anni. Ma era vecchio di secoli, alcuni – esagerando – dicevano oltre seicento anni. Nessuno lo sapeva perché l'Augusto aveva quel dono che gli permetteva di occultare il suo potere ai sensi dei Fratelli, e lui ne faceva cortesemente uso, per evitare che i suoi sudditi fuggissero come animali impazziti alla sua presenza.
Senza aspettare alcunché Iona poggiò il suo ginocchio sinistro a terra, un inchino profondo con il quale lasciò che la sua mano destra poggiasse sull'altro ginocchio per mettere in evidenza un semplice anello di onice nera all'anulare. Quello era un simbolo da mostrare in queste occasioni, Iona dava per certo che l'Augusto sapesse cosa era un Giurato ai Misteri dell'Ordo Dracul, e che il titolo di Arimanni come 'capocongrega' in realtà non valeva la carta dove era stato scritto per la prima volta; lui era il vero rappresentante politico dell'Ordine, il cervello, colui che decretava sulla Danza Macabra per tutti i Dragoni.
Iona aveva alle sue spalle una guardia del corpo dell'Augusto, alle spalle del Barone ve ne erano altre due, sempre prestanti, in completo grigio e dotate di auricolari. L'Augusto non era seduto solo al tavolo sontuosamente imbandito per la cena, c'era un uomo di mezza età calvo e grasso che doveva essere un qualche alto funzionario della pubblica amministrazione italiana, accompagnato dalla moglie e dalla loro figlia. Tutti erano umani più o meno, perché tutti erano più o meno vincolati misticamente all'Augusto Barone, servi, attendenti e bambole da cui spillare il sangue.
E quanta fatica gli costa mantenere in piedi tutta questa claque? Si ritrovò a pensare Iona, ma era un'osservazione sciocca, perché proprio questo codazzo di umani era la dimostrazione più limpida del potere del signore di tutti i vampiri della città.
Infatti: “Benvenuto alla Nostra mensa Magister”, disse l'Augusto con solennità, “È solo?” Aggiunse, come fosse una constatazione umiliante.
“Sì Augusto. Non rammento se mai ho avuto modo di manifestarlo, ma le mie abitudini sono frugali”, rispose Iona conoscendo ancora meglio che se era vero che la Prima Tradizione della Maschera imponeva ai vampiri di essere quanto più distanti dagli uomini, il potere di creare una mandria intera di bestiame senza correre minimamente il rischio di svelare la propria natura, era il culmine del paradigma di un predatore.
“Si alzi e sieda con Noi”, lo omaggiò l'Augusto.
Iona si rialzò, c'era un posto d'onore libero dirimpetto all'Augusto al tavolo imbandito per una serata di gran gala. Un body guard gli stava accostando la sedia. Iona si mise comodo e composto, si sbottonò la giacca e depose il tovagliolo sulle ginocchia scimmiottando un uomo.
Un altro body guard accorse con un carrello che trasportava una zuppiera d'argento, Iona osservò interdetto il servo del Barone versare acqua e vino nei suoi bicchieri e poi fargli una porzione di minestra calda e fumante nel piatto.
Cos'è? Uno scherzo sulle chiacchiere intorno ai Draghi? E poi io non mi ricordo se devo usare il cucchiaio di destra o quello di fronte... Pensò Iona preoccupato per il suo galateo.
“La Nostra opera è stata di coltivare una terra ricca e florida, così da poterla condividere con i Nostri sudditi”, proruppe l'Augusto, “Si nutra Magister”.
La ragazza giovane, seduta alla destra del Barone, si alzò educatamente e in silenzio si accostò a Iona mentre un servo aveva già predisposto la sedia per ospitarla a fianco del Daeva. La ragazza avrà avuto tra i diciassette e i vent'anni, assomigliava vistosamente alla madre: era elegante ma non bella, alta e filiforme. La testa un ovale perfetto, ma il volto era allungato dal naso a punta e troncato dal mento sfuggente. Quando lei sedette come una bambola mettendosi le mani tra le ginocchia aveva una strada luce negli occhi, a metà strada tra paura e desiderio.
Iona non aveva fame (o sete) ma non poteva permettersi di rifiutare l'offerta, questo era ovvio, era meno ovvio se doveva abbrancare la preda e sbatterla a terra come una fiera lasciandola quasi in fin di vita, oppure doveva darle solo un assaggio elegante e formale, valli a capire i vampiri anziani e fuori dal tempo, quelli che si fanno le regole secondo il capriccio. Tuttavia, nell'attimo di indecisione la Succube ebbe modo di assaporare la situazione: aveva di fronte i suoi genitori che lo stavano osservando mentre era in procinto di fare alla loro figlia qualcosa di inimmaginabile e blasfemo in termini morali, religiosi, etici, sessuali, personali. I genitori non sembravano affatto scossi, sembravano incapaci di mostrare emozioni, come rassegnati, e questo era piacevole, sublime.
Iona si tolse gli occhiali e si accostò alla preda, lei chinò la testa di lato mettendo in mostra un lungo collo da cigno, Iona la toccò con la destra sulla spalla senza ricevere risposta, si allungò e arrivò sulla carotide da dietro; solo in quel momento la ragazza reagì al Bacio, ma era una Bambola di Sangue, una puttana per Dannati e il suo fluido scarlatto non aveva la stessa freschezza di quello rimediabile da una vera Battuta di Caccia. Ciò fece svanire la magia del momento, spingendo Iona a bere quel tanto per riempirsi la bocca, facendo attenzione che non una sola goccia cadesse, lasciò la presa e chiuse le ferite. Un gesto praticamente perfetto. La fanciulla lo guardò insoddisfatta: Se proprio dovevi farlo, almeno avresti potuto farlo durare, sembrò dirgli.
Appena tornò composto sulla sedia Iona vide il Barone fare un gesto senza la minima partecipazione. La ragazza si alzò dalla sedia lentamente così come i suoi genitori e silenziosamente si allontanarono dalla tavola senza neanche salutare, poiché erano servi, decorazioni, nulla di più.
“Magister”, lo richiamò il Barone perché i convenevoli dunque erano stati ultimati, “L'abbiamo portata alla Nostra presenza perché lei non è un comune ospite del Nostro Dominio”, questa era una cosa buona, “Come tutti i Nostri sudditi ha delle responsabilità”, no, non era affatto una buona cosa; era la solita e melensa sagra Invictus delle frasi fatte.
“Gli ultimi accadimenti Ci hanno turbati e su di essi attendiamo un responso dalla congrega dei Dragoni”.
“Stiamo lavorando con tutta l'alacrità e l'abnegazione che conosciamo”, rispose Iona sapendo che era altamente insufficiente, ma l'Augusto si sarebbe dovuto accontentare per ora; aveva passato le ultime notti a pensare e pensare a diverse strategie, ma sceglierne una e metterla in pratica era tutta un'altra questione.
Il Barone si adombrò, non nel senso che si fece più cupo d'espressione, ma nel senso letterale per il quale delle ombre cominciarono ad allargarsi senza ragione sul suo corpo, macchiando minacciosamente il suo volto.
“A breve sarà il Nostro cento e cinquantesimo anno di Regno”, cioè nel 2011, pensò Iona prendendo nota della bizzarra percezione del tempo dell'Augusto; “Lei non era neanche nato in qualità di essere vivente quando Noi già regnavamo da molto a lungo, e non permetteremo che alcun avvenimento turbi l'avvento dell'anno cento e cinquanta in questa città, men che mai quelli di natura mistica”.
“Sarà fatto”, rispose convintissimo Iona.
“In base alla sua conoscenza e alla sua saggezza, quali potrebbero essere le possibili implicazioni dei Pagani in queste vicende?” L'Augusto fece una pausa mentre Iona metteva a tacere la Bestia sperando fortemente che il Barone avesse dei canali tutti suoi e completamente diversi dai propri per arrivare a tali conclusioni, “Ha facoltà di esprimersi liberamente”, concluse Giacomo Danzetta.
Primo: scartare le cose ovvie - “Il fatto che siano trapassati alla Fine Ultima due Fratelli del Circolo non rende l'ipotesi impossibile, in nessun caso”, secondo: ribadire le cose ovvie - “Poiché per quanto superficiale e incompleta è la mia conoscenza nei riguardi dei Pagani, ho sempre potuto constatare oggettivamente che il loro desiderio di acquisire il controllo delle risorse soprannaturali di questa terra è stato sempre capace di trascendere regole, tradizioni e farsi perfino beffe delle prospettive apocalittiche”, terzo: rendere ogni cosa ovviamente impossibile - “Ma in tutta umiltà e sincerità, ritengo che la risposta a questi interrogativi possa trovarsi unicamente in bocca alla Gerofante Attia, perché è notorio che ella tiene all'oscuro di quasi ogni cosa i suoi Accoliti”.
“Concordiamo”, rispose il Barone quasi soddisfatto, “Perciò lei sarà il Nostro Inviato presso Attia”. Iona sgranò gli occhi. Tradotto in termini da ventunesimo secolo tutto questo stava a significare: non fare il furbo con me.
“Noi vi conosciamo e apprezziamo le vostre doti dialettiche ed espressive”, era passato al 'voi' inaspettatamente, “E confidiamo che solo queste potranno essere capaci di portare un risultato confacente alle Nostre aspettative. Ci soddisfi Magister e avrete uno scranno d'onore nella notte del cento e cinquantesimo anno”.
Failure isn't an option, si ritrovò a pensare Iona.
“Dovrete usare il Protocollo dell'Indirizzamento”, terminò il boss.
Iona stralunò gli occhi a causa di una falla nella sua memoria. Questo 'Protocollo dell'Indirizzamento' doveva essere una delle molteplici 'espressioni di volontà' del signore dei vampiri: Legge, Patto, Accordo, Editto, Contestazione, Delibera, aveva praticamente saccheggiato il dizionario della giurisprudenza per dare a ogni pezzo di carta con la sua firma un nome proprio. Mentre in gran parte delle questioni di ogni notte la Praxis del Danzetta poteva essere considerata incredibilmente liberale – all'insegna del 'tu non mi crei guai e io non ti mando il mio Segugio Gangrel a deturparti la faccia' - qualsiasi questione che sfiorasse la politica era letteralmente sommersa da una valanga di codici e codicilli scritti anche centinaia di anni prima, che si accavallavano e si contraddicevano spudoratamente. Un bel vantaggio per il Barone: il più grande nemico dei suoi nemici era una burocrazia infernale, mancare un solo dettaglio nelle procedure legittimava una messa in stato di accusa per sovversione e illegalità.
L'Augusto stava attendendo da ben tre secondi che il suo Inviato desse conferma di conoscere il Protocollo dell'Indirizzamento, quando per miracolo Iona se lo ricordò: “In qualità di Inviato dell'Augusto Barone, non posso indirizzarmi direttamente a nessuno del Circolo della Megera poiché ciò contravverrebbe alla 'Regalìa della Sottomissione', la quale impone all'Invictus e a tutte le sue emanazioni di mantenere come primo destinatario degli incontri ufficiali la Lancea Sanctum. Ma dato che la Lancea nega ogni relazione politica formale con i Pagani, è stato istituito un 'Protocollo dell'Indirizzamento' con il quale il tramite tra l'Invictus e il Circolo può essere il Movimento Carthiano”.
“Esatto”, disse veramente soddisfatto il Barone.
C'era un problema: erano anni che il Movimento Carthiano aveva rotto ogni tipo di rapporto cordiale con l'Ordo Dracul, anche solo avvicinarsi a un suo territorio significava una lunga e faticosa opera di contrattazione per qualche grosso favore... Vecchie ruggini. E c'era un problema ben più grave: Iona non sapeva neppure da che parte iniziare per andare a chiedere un 'compagno' Carthiano un appuntamento al buio con Attia dei Pagani... Tralasciando cosa significava incontrare Attia...
Iona sperò che l'Augusto Barone non fosse in grado di leggere nella sua mente.
Qualche ora più tardi le cose erano decisamente migliorate. Cioè, i problemi e i casini erano ancora là, tutti in piedi e irrisolti, ma per un bel pezzo Iona non ci aveva pensato grazie a un diversivo.
Si era infilato in un locale a caso del centro - tanto il suo titolare quella sera non c'era - aveva incontrato un paio di ragazze molto appetitose e si era preso cinque minuti per rimediare un po' di roba contro la sinusite. Al suo ritorno era capitato un tipo che diceva di essere il ragazzo di una delle due. E pazienza, si arrese Iona, sia sesso di gruppo, non era il tipo che sceglieva una preda per l'altra dopo che aveva deciso di mangiucchiarsele tutte e due.
Così era finito per ritrovarsi disteso in un letto di un piccolo appartamento di Perugia, nudo, in mezzo a due belle ragazze addormentate per la stanchezza indotta dal sesso, dalla droga e da un'improvvisa carenza di sangue in corpo. Il ragazzo di una di queste due (ancora non aveva capito quale), dormiva con il culo all'insù sopra un divanetto poco più in là nella stanza. Tutto sommato non era stato un brutto banchetto, se si escludeva che per un paio di volte ebbe l'impressione che il maschietto gli si stesse offrendo... Ecco perché non aveva fatto tante storie!
Iona odiava i gay. Non li sopportava. Sarebbe andato in Frenesia piuttosto che bere da uno di quelli.
Ora stava cercando di riflettere carezzando dolcemente le natiche di entrambe le ragazze. Esistono due tipi di vampiri: quelli che non si stancano mai di spegnere vite, e quelli che non si stancano mai di accarezzarla, coltivarla, lisciarla, sentirla vicina, visto che non possono averne una propria. Iona indubbiamente apparteneva alla seconda linea di pensiero, e non apprezzava affatto la prima.
Tuttavia la riflessione non funzionava molto, era riuscito soltanto a ricordare una vecchia massima di un suo maggiordomo di molti anni fa che diceva: “il segreto per una vita sana è una giusta alternanza tra ore di lavoro e ore di svago”. Bah!
Visto che anche questa sera non era buona per far piani Iona decise di farsi un po' di cocaina, questa volta in modo che funzionasse realmente. Prese il sacchetto e ne cavò una quantità capace di infartuare un cavallo e la ammonticchiò su una natica di una delle due ragazze. Dormivano entrambe pesantemente, sfoderò i canini e calò sulla morbida carne facendo due piccoli tagli e spremendo, il sangue si mescolò alla polvere e lui iniziò a succhiare e leccare l'impasto spingendolo giù in gola. Provò un lieve pizzicore e un formicolio, poi un'esplosione di colori in testa. Si coricò prono sul letto e roteò gli occhi; i suoi sensi di vampiro aumentarono di percezione oltre ogni 'normalità'. Ora vedeva con chiarezza ogni dettaglio unitamente alla visione d'insieme, il respiro dei mortali erano delle ondate di calore che sfuggivano alle leggi della fisica, allontanandosi dal vuoto prodotto dal suo corpo.
Vide per un attimo il volto di Leonardo Moreno, il suo naso appuntito completamente deformato, un'arcata sopraccigliare devastata, pezzi di carne morta svolazzanti. Moreno era stato mandato a Todi a rubare un bambino appena nato. Ma perché a Todi se tutti sapevano che era il suo principale Territorio di Caccia? Ma certo! Perché quello di Todi era proprio il bambino appena nato di tutta l'Umbria, l'ultimo nato! I Pagani avevano avuto questa informazione!
Iona guardò la sveglia digitale segnare le tre e quaranta. Scattò a sedere sul letto terrorizzato. Una mortale mugugnò di far piano e tornò a dormire.
Iona si prese la testa tra le mani.
Erano solo le tre quando sniffai la coca. Io ho dormito. Ho usato involontariamente la Spira del Drago... Potevo dormire per ore... Fino all'alba... Pensò mentre correva con l'occhio alla finestra.
Poi si ricordò i dettagli del sogno appena fatto e allora cambiò immediatamente d'umore, dimenticandosi del gravissimo pericolo corso.
Uscì dal letto e si rivestì a una velocità sorprendente – tanto questi dormono – e lasciò l'appartamento.
Si incamminò per le viuzze di Perugia sorridendo, fischiettando e pensando alla mazzata di parcheggio che avrebbe dovuto pagare. A un tratto ebbe una strana sensazione.
Sbaglio ma ho qualcuno dietro? Naaaa, sarà l'effetto euforico della coca, sarà qualcuno in una casa che si è alzato per pisciare.
Continuò, quasi con passo saltellante e spensierato, ma quella sensazione non spariva.
A un tratto udì: “Iona Skydone?”