Circa venti minuti più tardi. Todi, provincia di Perugia.
In via Ciuffelli, strada di accesso principale alla piazza della città, Iona Skidone stava facendo uscire in retromarcia la sua Infiniti GCoupé 35 dal garage. Messa l'auto in strada, indugiò un momento per sistemarsi meglio il giubbotto antiproiettile indossato sotto la camicia.
E-bay, pensò, il mercato che non c'è ma dove trovi tutto.
Innestò il primo dei sei rapporti della sua sportiva color grigio e la spinse in discesa. Quando la cupola del Santuario della Consolazione, capolavoro architettonico del Bramante, spuntò dietro una curva, iniziò a pensare alla situazione.
Aveva un infante bracconiere, un Mechèt dei Pagani, un vicolo conosciuto ma insignificante, un furgone bianco e una faccia nota su tre di quegli uomini visti poco prima. La faccia conosciuta era di un certo Romano, o Romeo “ne-so-qualcosa-io-del-cognome?”. Forse aveva dato un morso alla figlia qualche tempo fa, forse ne aveva sentito parlare da altre prede; comunque questo tizio doveva lavorare come giardiniere, o qualcosa del genere, presso case e villette di gente che trascorreva le vacanze, o i fine settimana, nella ridente cittadina di Todi.
Per un predatore è fondamentale la conoscenza del territorio e del suo ecosistema, anche di quelle prede che non toccherebbe mai. Rifletté soddisfatto di se stesso.
In realtà non aveva molto in mano, però altre volte aveva iniziato con molto meno. C'era da capire che maledetto casino era venuto a fare quaggiù quel miserabile Pagano, e per quale maledetta ragione Romeo (o Romano) aveva messo in piedi una specie di Task-Force anti-Fratello.
Iona distese le sue dita sopra il volante dell'auto: erano dieci. Così a intuito potevano esserci più di dieci risposte per entrambe le domande.
Guidò senza fretta verso una meta precisa: un quartierino di monofamiliari a schiera appena fuori l'abitato cittadino. Se la memoria non lo ingannava, lì si trovavano le abitazioni di alcuni clienti di questo “Romano”. Quando arrivò, il piazzale era vuoto eccetto che per un furgone bianco. Tutte le case sembravano disabitate, i proprietari dovevano stare a Roma, a Firenze o a Vancouver in questo martedì sera della prima decade di novembre; ma tra tutte le finestre buie e sbarrate, una lasciava trapelare della luce dietro la serranda abbassata.
Gli uomini a volte sono così...Così stupidi, noiosi e scarsi di risorse.
Iona fermò il motore dell'auto e scese circospetto. Si guardò intorno amplificando a turno ogni suo senso, anche quello che gli permetteva di vedere oltre il velo materiale delle cose, almeno fino a un certo punto. Nulla. Non c'era nessuno. E se qualcuno lo stava osservando, probabilmente era afflosciato sopra un divano fingendo di guardare annoiato qualche reality-show.
Trasse dall'auto il suo cappotto bordeaux scuro e lo indossò sopra il completo blu mare. Mentre si aggiustava il nodo della cravatta ripassò la parte da recitare, quella del misterioso agente del servizio segreto “scegli-tu-quale” che accorreva a togliere dai guai alcuni onesti e intraprendenti cittadini dello stato.
Si diresse al cancello della casa – era chiuso. Lo scavalcò saltandoci sopra con un unico e fluido gesto. Arrivato alla porta suonò come se nulla fosse.
Non venne nessuno, quindi suonò ancora...E ancora. Sentì un calpestio e dei bisbigli di nervosismo all'interno. Passò a battere educatamente sulla porta prima, e a dare un paio di colpi decisi che la fecero sussultare sui cardini poi.
Infine qualcuno giunse ad aprire: solo uno spiraglio dal quale spuntarono due occhi sospettosi e impauriti.
“Giusto voi stavo cercando”, disse Iona allargando il volto in un sorriso.
“Voi chi? Chi sta cercando, chi è l...” Rispose l'uomo ma rivolto a una soglia vuota perché Iona gli era già passato oltre quasi senza notarlo.
“Lo so quello che state pensando”, iniziò a declamare a voce alta Iona mentre avanzava eretto e a grandi passi verso la stanza dove aveva percepito la presenza di vene, “Ma state tranquilli, io sono qui per aiut...”
Questo non l'avevo calcolato!
Si era ritrovato in una cucina. Seduti ai lati opposti di un tavolo c'erano 'Romano' e una ragazzina. Dodici, forse tredici anni, faccino pulito ancora fanciullesco, occhi come il cielo che non vedeva più da...E lunghi capelli che ancora non avevano conosciuto una seduta di permanente. Iona si bloccò sorpreso e la gola gli divenne incredibilmente secca.
L'uomo (sulla trentina) che aveva aperto la porta gli era corso dietro, 'Romano' era seduto impaurito e nervoso come l'altro, ma la ragazza sbiancò in volto e sgranò gli occhi.
“È uno di loro!”, urlò improvvisamente.
'Romano' si alzò di scatto, all'altezza della sua pancia da quaranta-cinquantenne comparve una pistola. Iona fu immediatamente da lui e 'Romano' sentì l'anello intorno al grilletto che gli graffiava dolorosamente l'indice. L'arma non era più nella sua mano, Iona la stava facendo scivolare nella tasca del suo cappotto.
“Non mi piacciono le pistole” disse, e poi, muovendosi intorno al tavolo, mani in tasca e gomiti larghi, si rivolse alla ragazzina: “Che cosa volevi dire con uno di loro?”
“Sei un vampiro!”, sibilò in un misto di odio e paura mentre fissava il vuoto.
“Oh-oh-oh”, rise Iona con la voce grossa mentre spostava il peso da un piede all'altro ed eseguiva una mezza piroetta.
Sul parcheggio antistante le villette monofamiliari deserte si sentì un botto sordo proveniente da una delle case, come un petardo, la finestra illuminata baluginò per un secondo con maggiore intensità. Poi tutto si spense di nuovo.
'Romano' aveva due pistole e Iona aveva fatto l'errore di dargli le spalle. Dal basso verso l'alto il proiettile entrò nella nuca del vampiro e uscì al centro della fronte piantandosi sul muro che si chiazzò di uno spruzzo di materia rosso-nerastra. Iona sobbalzò e poi il suo corpo rigido iniziò a inclinarsi verso la parente. Fu un immenso secondo e mezzo di silenzio, dopodiché i tre videro Iona allungare di scatto le braccia verso il muro e udirono un ruggito che non era né umano né animale. Iona era saltato sul tavolo, accovacciato. L'uomo e il Dannato incrociarono gli occhi, l'uomo poté vedere per un momento uno scintillio di rosso sovrannaturale dietro le sottili lenti di Iona e poi udì il fracassarsi del metallo contro una parete. Iona gli aveva tolto di mano anche la seconda pistola, questa volta senza usare minimamente la forza, per concentrarla tutta nell'atto di scagliarla contro il muro e ridurla in pezzi. Fortunatamente nessuno dei proiettili esplose.
“Ti avevo detto che non mi piacciono le pistole!” Urlò feroce Iona. Poi ritrovò il suo contegno. Si alzò in piedi sul tavolo, finse di aggiustarsi il cappotto. “Ti lascio vivere solo perché hai mirato alla testa”, disse mentre si sporgeva sul tavolo e gli umani lo videro come discendere a piedi uniti, senza flettere le gambe, verso il pavimento. Tornato al normale livello di altezza, videro che la sua fronte era liscia e bianca, senza più il segno del foro di proiettile.
“Allora dov'è l'altro tizio?” Domandò mentre pensava a come inventarsi un modo per rimediare a questa incredibile Rottura della Maschera.
I mortali erano ormai sotto completa soggezione. “È di sotto, Tommaso era sceso poco prima...”, iniziò a balbettare il trentenne.
“Tommaso chi?” Lo interruppe Iona, “Tommaso quando? Qualcun altro è in questa casa e non si è affacciato quando ha sentito lo sparo?”, continuò crudelmente.
“Era andato a...A controllare proprio nel momento in cui lei...”
“Dove?” Tagliò corto di nuovo Iona.
Lo diressero verso un corridoio oltre la cucina, verso un porta davanti a delle scale che scendevano in uno scantinato. Iona avanzò come una furia liquida, i mortali al seguito.
Nella stanza illuminata da una lampadina era disteso un giovane sui venticinque: 'Tommaso'. C'era odore di sangue. L'occhio destro era tumefatto e iniziava a gonfiarsi, sul lato opposto, all'altezza del collo c'era una piccola pozza di sangue. Sembrava esanime.
Iona lo toccò sul collo, dove usciva il sangue, e si portò le dita alla bocca.
“No, non è morto. Ha solo una botta in testa, e quell'inetto non gli ha preso né la giugulare né la carotide, solo vasi secondari. Certo, aveva una gran fretta se non gli ha richiuso la ferita”.
Uno dei tre, sempre più sbiancati in volto, a vedere tutto quel sangue si fece prendere dalla disperazione e disse senza pensare: “Salvalo ti prego!”
“E no. Non posso”, rispose Iona con tono saccente, “Non posso chiudere le ferite di un altro” – ormai a cosa valeva nascondere la verità? Non aveva senso, anche se non aveva ancora pensato a come avrebbe risolto tutto questo gran casino.
“Comunque”, riprendendo a parlare, “Non mi pare che stia per morire. Toglietegli la camicia e tamponategli la ferita. Portatelo di sopra”.
Mentre il trentenne eseguiva 'Romano' chiese: “E l'altro? Dov'è finito?”
“Oh, di certo non più qui. Salite!”
Tornarono al piano superiore. 'Romano' e il trentenne trasportavano a braccia Tommaso che, scosso, sembrava riprendere conoscenza. Iona guardò in giro per la casa, mentre la ragazzina lo osservava a distanza completamente spiritata.
“Ecco!” Esclamò il vampiro.
“Ecco cosa?” Gli umani restarono attoniti mentre Iona gli indicava un muro completamente bianco.
“Ecco questo!” Gli umani videro Iona allungare la mano verso la parete, fingere di afferrare qualcosa e scuoterla. In un attimo realizzarono che Iona stava muovendo una reale anta di una finestra che prima non c'era.
Iona fece cenno di stare zitti con i loro “Ma...ma..ma...” e li riportò in cucina.
“Dobbiamo portare Tommaso all'ospedale”, disse Romano”. In effetti la camicia del ragazzo era già intrisa di sangue.
“E io vorrei andare in vacanza sulle spiagge di Santo Domingo, ma tutto non si può avere dalla vita”, rispose Iona mentre si sedeva tranquillamente a capotavola.
“Morirà!”
“Mi dispiacerebbe”.
“E allora?”
“E allora ho una soluzione, fidati”.
“Fidarmi? Ma tu...Lei...Sei un vampiro!” Urlò 'Romano'.
“Mi sarebbe piaciuto essere Babbo Natale, ma sono troppo magro. Ora zitti tutti! Tu, ragazzina, come ti chiami?”.
La ragazzina rispose a mezza bocca un 'Lucia', ma più che spaventava sembrava a disagio, turbata più nell'anima che nella mente.
“Bene Lucia, siediti qua”, le disse Iona indicandogli una sedia alla sua sinistra. Poi si alzò e andò verso una mensola, l'aprì, prese un bicchiere che sciacquò abbondantemente sotto il rubinetto e asciugò con uno strofinaccio finché non lo vide brillare. Si volse, aprì un paio di cassetti e trovò un coltello da cucina. Lasciò cadere il tutto sul tavolo, di fronte a Lucia.
Tornò a sedersi a capotavola, estrasse un sigaro toscano dalla giacca e se lo accese. “Avanti Lucia, tagliati un polso e lascia cadere il tuo sangue nel bicchiere”.
“Brutto bastardo figlio di puttana!”
'Romano' gli si avventò contro. “Silenzio!” Ringhiò Iona lasciando uscire di fuori la sua natura sui lineamenti del viso. 'Romano' saltò all'indietro, come una lepre di fronte a un lupo.
“Cerca di farti entrare nella tua zucca vuota che Io sono il predatore e voi siete le prede. Avete osato attaccare un mio Fratello! Mi avete sparato in testa”, si batté sulla fronte liscia e intonsa, “Siete entrati nel mio regno, qui comando Io! E, nonostante tutto! Nonostante tutto siete ancora vivi! Lo capite o no che sto cercando di salvarvi? Da me in primo luogo! E per questo sto chiedendo solo ciò che mi spetta! Quindi...” Tornando calmo e rivolgendosi a Lucia, “Tesoro: tagliati quel delizioso braccino. Anche perché credo che hai ancora baciato neppure un ragazzo, perciò mi pare sconveniente darti il Bacio dei Dannati”.
Lucia lo fissava con ribrezzo e odio, ma non con paura. Prese il coltello e con uno scatto da adolescente ribelle si incise le carni poco prima del polso.
“Mettilo nel bicchiere”.
Il sangue iniziò a scivolare rosso e brillante sul bordo e sul vetro. Quando il bicchiere fu pieno per due dita Iona la fermò. Si passò l'indice e il pollice sulla lingua e protese la mano verso la ferita della bambina. Lei sussultò al contatto di quella pelle gelida, lui ebbe qualcosa di simile all'eccitazione sessuale. Non appena la saliva del Dannato entrò in contatto con le carni lacerate, la ferita scomparve all'istante, compreso il sangue che la circondava, non restò neppure un minimo segno.
Mentre tutti erano fissi su quel prodigio blasfemo Iona agguantava il bicchiere e se lo portava alle labbra. Mugolò di piacere, come se avesse assaggiato il più dolce dei bignè alla crema, ma era qualcosa inspiegabilmente molto più buono, era Vitae.
“Avevo ragione! Sei davvero un'innocente!” Esclamò rubicondo in viso mentre riprendeva a fumare il sigaro.
Tommaso si lamentò debolmente, pallido, quasi cadaverico.
“Fatelo stare zitto!”
“Sta male!”
“È arrivata la cura!” Disse Iona guardando oltre le spalle di tutti.
Chi poté si voltò e vide dietro di loro, con l'espressione di un animale braccato in faccia, Leonardo.
“Leo-nardo-o”, esclamò Iona, “Bentornato!”.
Il Mekhet era paralizzato nei suoi vestiti completamente neri da eroe della notte.
“Hai lasciato un lavoro incompiuto a quanto pare. Rimedia!” Ringhiò serio Iona indicando il moribondo, “Non vorrai che questo bestiame avvalori l'idea che noi siamo assassini efferati, vero?”
Leonardo si fece avanti, prese la testa di Tommaso tra le mani, tolse la camicia – ormai uno straccio lurido di sangue – e leccò rapido il collo dove aveva lasciato il segno delle sue zanne.
“Bravo! Ora siediti”.
“Io...” Iniziò a dire il Mekhet.
“Non il mio nome!” Ringhiò Iona. “Siediti e basta!”.
“Proprio ora doveva usare i suoi poteri per richiamarmi?” Chiese lo stesso mentre si sedeva su una seggiola accostata alla parete.
“Proprio qua dovevi portare la tua lurida presenza pagana?” Rispose Iona e aggiunse: “Cosa ci fai nel mio territorio?”
Leonardo non rispose, guardava da un'altra parte. Iona vedeva solo le ciocche dei capelli biondi che cadevano sul viso e la punta affilata del naso sporgere tra i boccoli.
“Voleva...” Tentò di dire 'Romano'.
“No!” Lo interruppe Iona alzandosi, “Me lo deve dire lui”.
Ma Leonardo continuava a tacere. Iona estrasse rapidamente la pistola che aveva sottratto a 'Romano', la puntò contro l'Accolito e gli ficcò due proiettili in pancia.
Dopo il boato e il fumo restava solo Leonardo che si contorceva sulla sedia digrignando i denti che trattenevano la Bestia a fatica.
“Fa male?” Chiese Iona, “Sai che cosa c'è di più doloroso di un proiettile nello stomaco? Un proiettile nel ginocchio!” Sparò di nuovo centrando il bersaglio.
Leonardo schizzò letteralmente dalla sedia come fosse un rospo e si accasciò a terra, urlava belluino. Iona comprese che era chiaramente al limite della sopportazione. Gli mise un piede sulla testa.
“Non ci pensare. Non provarci. Contieniti e resta calmo, altrimenti non mi interesserà nessuna spiegazione che potresti darmi”.
Facendo uno sforzo che nessuno dei vivi presenti poteva capire, l'Accolito respinse la Furia Rossa che lo sferzava con la lusinga di non sentire più alcun dolore se l'avesse liberata. Iona lo prese per una spalla e lo rimise sulla sedia. “Avanti, dimmi”.
Leonardo strinse i denti e poi emise un sibilo per il dolore e il disprezzo nei confronti del suo Fratello. “Dovevo...Dovevo...Prendere un neonato”.
“Aaaaaah!” Iona urlo furente, come un gesuita che ode una bestemmia in chiesa, strattonò la spalla di Leonardo e si sentirono chiaramente le ossa spezzarsi, poi lo spinse a terra.
Gli umani ormai subivano passivamente ogni cosa, la quantità massima di terrore elaborabile era già stata oltrepassata da un pezzo. Iona finse di aggiustarsi il cappotto nuovamente e ordinò al Mekhet di rialzarsi. Come il Pagano obbedì, si ritrovò con Iona che gli agitava il bicchiere sporco del sangue di Lucia davanti il viso.
“Lavalo”, gli disse con sarcasmo, “Dobbiamo difendere la Maschera”.
Leonardo prese il bicchiere e si avviò mezzo zoppo e mezzo storpio verso il lavabo. Pulì con cura il bicchiere e non appena ebbe finito Iona lo afferrò repentino per i capelli sulla nuca.
“Tu! Bastardo d'un infante mal'Abbracciato!” Scaraventò la faccia del Mekhet contro le mattonelle della parete con una furia bestiale, “E tutta la tua mostruosa cerchia di fottuti Pagani!” Le mattonelle si infransero così come molte ossa della faccia di Leonardo a causa dei colpi ripetuti a velocità inumana, “Osate! Osate venire a praticare le vostre arti blasfeme nel mio territorio!”
Leonardo non udì il finale della frase, era scivolato nell'incoscienza. Iona lo lasciò andare e lui cadde a terra come una carogna di un animale. Poi si voltò verso i quattro vivi morenti, ormai senza più un briciolo di autodeterminazione in corpo, e gli chiese: “Avete delle corde?”
Fece legare a puntino Leonardo, poi trascinarono il suo corpo fuori della casa e lo deposero nel bagagliaio dell'auto di Iona. In seguito il vampiro si rivolse ai tre uomini e alla ragazza: se volevano restare vivi dovevano seguirlo in un posto. I tre uomini salirono sul furgone mentre Iona volle che Lucia lo accompagnasse in auto con lui.
Prima di partire Iona prese il cellulare e fece due telefonate. La prima a Ivo, nella quale gli disse che doveva spostarsi a Perugia, perché lì avrebbero passato il giorno di domani. L'altra chiamata venne indirizzata a Sansepolcri.
Quando poté parlare con il Custode Iona disse: “Ho un problema urgente di Masquerade, no! Non è colpa mia! Come si permette! Le spiegherò tutto, intanto, però, ho bisogno assoluto dei suoi servigi contro un po' di bestiame...E se ho chiesto di lei c'è un motivo”.
Iona mise in moto l'auto e, controllando che il furgone lo seguisse, guidò per una mezzoretta arrivando a un parcheggio poco fuori Perugia. Lì trovò una Mercedes ferma ad aspettarlo.
Disse a Lucia di restare in macchina e si diresse verso l'altra. Parlottò un po' con un tizio nella berlina e poi si voltò, appoggiandosi al posteriore dell'auto, fece cenno a quelli del furgone di avvicinarsi.
Quando Sansepolcri ebbe finito di raccontare a 'Romano' che non si sarebbe ricordato niente di tutto questo dopo aver sostituito le mattonelle e rimesso a posto le pareti forate dai proiettili, si rivolse a Skidone: “C'è anche quella ragazza nella sua macchina”.
“Oh no Vittorio, lei è speciale”.
“Speciale?”
“Credo che sia, anzi è sicuramente dotata”.
Il Guardiano dell'Elìsio sgranò i suoi occhi micidiali: “Vuole dire che è una di quei leggendari mortali dotati di senso per il soprannaturale?”
“Probabile”.
“È pericolosa”.
“Tanto quanto inutile che passi per la vostra cura. Ma soprattutto, è un capitolo di studio che non abbiamo mai affrontato”.
“È una vostra responsabilità, se riuscirà a evitare nuove infrazioni della Maschera, spero che l'Ordine ne trarrà vantaggio”.
“Sarà il primo a saperlo”.
“Lo spero...E di Moreno? È convinto di quello che sta facendo?”
“Mia la strada, mie le regole. Lui avrà un debito con me e io sono in debito con lei”.
“Due debiti”. Sottolineò il Ventrue.
“Sì, due debiti”.
Ore 01.00, nei pressi del Percorso Vede, zona Pian di Massiano, Perugia.
Iona Skidone fermò l'auto ai bordi della pista da jogging, praticamente sul confine di uno dei territori del Circolo della Megera. Lucia era addormentata sul sedile del passeggero. A quanto pare era riuscita ad abituarsi un po' alla presenza di un Dannato.
Iona aprì il portabagagli del coupé. Leonardo Moreno si era ripreso. Lo tirò fuori in malo modo dal bagagliaio e gli piazzò occhi e zanne bene in vista in faccia.
“Ascoltami bene cazzone! Bracconaggio, pratiche religiose fuori del territorio, infrazione della Maschera. Ce n'è abbastanza per farti vedere il sole quattro o cinque volte se si potesse”. Leonardo era ancora imbavagliato, mugolava, “E non me ne frega un cazzo di quello che hai da dire! Perché non mi serve. Ora io ti lascio andare. Va pure da Attia, Chichi o da chi ti pare a piangere come un vitello, ma ricorda bene: il tuo culo è roba mia adesso”.
Gli allentò le corde, gli tirò un sonoro calcio nei genitali e ripartì in macchina.
Poco dopo, nei pressi di Pontevalleceppi.
Iona fermò il motore dopo essere passato per un cancello e svegliò Lucia.
“Dove siamo?” Chiese.
“A casa mia”.
Di fronte alla ragazza si alzava un casolare di campagna a due piani. Non sapeva minimamente dov'era. Iona la fece scendere dall'auto e la invitò a entrare.
Lucia aveva ancora gli occhi appannati dal sonno, non notò quasi niente di quello che c'era in giro: un mobilio ricco e variegato, le pareti tappezzate di velluto nero e blu, sul pavimento mattonelle dipinte a mano. Vide solo, davanti a lei, una scala che saliva e sul pianerottolo l'alzarsi di una vetrata simile a quella di una chiesa, ma su questa c'era un inconfondibile drago rampante.
“Devo tornare da mia nonna”.
“Oh sì, dovresti essere a letto da un pezzo, ma forse sai bene ormai che le cose non vanno sempre come immagini”.
“Cosa vuoi da me?” Chiese Lucia mentre Iona le faceva salire le scale.
“Voglio conoscerti. Cioè, non in quel senso!” Sorrise, “Ci sono davvero troppi, troppi anni, ma voglio capire”.
Iona la fece entrare in quello che sembrava un salotto. Tappeti ricchissimi lo pavimentavano, dal blu e il nero si passava all'oro e allo scarlatto brillante. Libri, libri di ogni genere, diversi dall'aspetto antiquato, erano ovunque; un grande quadro col volto di un uomo d'aspetto demoniaco sopra un camino, attorniato da tre figure femminili.
“E gli altri?” Chiese ancora Lucia.
“Oh, gli altri staranno benissimo, non si ricorderanno assolutamente nulla!” Le rispose mentre la faceva accomodare su un divano in stile barocco.
“E io? Io dimenticherò?”
“Credo di no. Ma questo già lo sai, vero?”
Lucia assentì con la testa. Capitò Ivo con un vassoio con della cioccolata calda e pasticcini.
“Tu non sei di Todi vero?” Chiese Iona mentre versava cioccolata dalla caffettiera alla tazza.
“No. Io sono di Genova. Mia mamma è nata a Todi e qui ho la nonna. È stata lei...A chiamarmi. Voleva che...Aiutassi quelle persone a...A fermare il tuo amico”.
Iona alzò gli occhi verso le travi del soffitto, con una mano si accarezzò dietro la testa, nel punto in cui i suoi capelli non c'erano più da quando respirava ancora ogni minuto della sua esistenza.
“Tua...Nonna? Tua nonna ha voluto questo?” Il tono della voce salì improvvisamente: “Tua nonna ti ha chiamata per mettere a rischio la tua vita? Una come te! Una come te potrebbe morire in modo orribile o peggio! La morte non sarebbe nulla se incontrassi un'anima depravata che solo per puro divertimento volesse condannarti a diventare un Dannato!” C'era indignazione nelle parole dure di Iona, disprezzo nei confronti degli uomini: ignoranti, codardi, ipocriti, superficiali.
Lucia aveva cercato di assaggiare la cioccolata, ma l'uscita di Iona l'aveva scossa. Gli occhi iniziarono a inumidirsi.
“Mia nonna mi vuole bene”, singhiozzò, “Io...Io da sempre mi accorgo di voi, da sempre ho paura di notte! Non voglio mai uscire di casa la sera. A Genova ne ho visti molti e loro vedono me, mi fanno paura e nessuno mi crede! Solo la mia nonna mi dà retta, solo lei non ride del fatto che ho paura a dormire con la luce spenta”.
“Ciò non toglie che tua nonna ti ha fatto rischiare la vita”, rispose freddo Iona.
“Io lo so che un giorno...Un giorno mi prenderanno. Io non credo a Babbo Natale, ma all'Uomo Nero sì! E anche se ho paura, non voglio che mi prenda. Voglio combattere!”
“Non sono parole di una bambina di dodici anni queste. È stata tua nonna a mettertele in testa”.
“E allora? Devo fare quello che mi dici tu? Tu e il tuo amico che è andato a rapire un bambino appena nato, e la nonna lo sapeva. È stata lei a chiamarmi e a chiamare gli altri per fermarvi. E se provi a far qualcosa a me...!”
Iona sorrise candidamente. Lucia rimase sospesa perché si era accorta di non sapere minacciarlo.
“Bevi la tua cioccolata”, disse tranquillo il vampiro, “E sta sicura: io non ti farò assolutamente nulla. Tu e la tua nonna mi avete fatto un favore dopotutto e io non approvo chi fa del male ai bambini. Domani ti riporto da tua nonna. Te lo prometto”.
“Veramente?” Gli occhi arrossati di Lucia splendettero di speranza.
Iona le si accostò sul divano. “Sì”, le rispose dolcemente e aggiunse: “Ormai è tardi. Sei stanca, sei scossa. Dormi e riposa ora”. Iona le mise una mano dietro la nuca e l'esile corpo della bambina si rilassò immediatamente, distendendosi sui cuscini del divano. Iona le carezzò la nuca e le guance e Lucia sospirò. La cosa lo inquietò, ai suoi occhi non sfuggì il fatto che sulla maglia di lei erano comparsi i segni dei capezzoli acerbi e che le sue cosce si erano ritirate a proteggere il grembo. Il tocco freddo e lascivo delle sue dita era qualcosa di pretenaturalmente demoniaco, la sua stessa presenza era conturbante, lo sapeva, risvegliava i sensi o – come in questo caso – li faceva maturare precocemente.
Ma non era giusto. Poteva concupire e impadronirsi di tutti i corpi e le anime del mondo: era il suo Potere del Sangue, ma non questo – sentiva che non doveva.
Allora chiamò la Vitae, il sangue dannato nel suo corpo. Lo chiamò perché tramite esso potesse ingannare la morte imitando la vita. Le sue mani si riscaldarono, sentì un tonfo nel petto: il suo cuore flaccido, secco e corrugato, che tornava a battere. Lucia non ebbe più l'immagine di un predatore sensuale accanto a sé, dai lineamenti sottili, lisci, pallidi e imperturbabili ma vide un uomo di trent'anni su per giù che la cullava dolcemente. Un padre, uno zio, un fratello, una persona di cui fidarsi.
Dopo che Lucia si addormentò, Iona la prese in braccio senza nessuno sforzo e delicatamente, senza farla sobbalzare al passo, la portò nella camera da letto appena oltre il salotto.
La mise nel grande giaciglio che aveva ospitato centinaia di donne ben più adulte di lei. Le sfilò le scarpe e la coprì con le coperte di raso e lana. Cercò infine il cellulare della ragazza e andò da Ivo.
Informò, in parte,il suo amico delle novità. Poi gli chiese di cercare il numero della nonna e buttarla giù dal letto, se mai ci fosse entrata quella notte. Doveva tranquillizzarla promettendole che l'indomani sera avrebbe ritrovato sua nipote senza un capello torto, ma che doveva lasciar perdere ogni cosa e non chiamare nessuno.
Poi Iona lasciò Ivo e si rinchiuse nel suo studio. La notte non era ancora finita e aveva tempo per consultare un paio di volumi.
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