I vampiri sono morti. Sono morti che camminano di notte, e di giorno... Sono morti. Al riparo dal sole, nelle loro cripte o in stanze comunque impenetrabili dalla luce, giacciono rigidi e freddi come i cadaveri che sono. Ma se credete all'anima o a qualche altra spiegazione ancora più astrusa, potete accettare il fatto che le loro menti non riposino mai, non si spengano mai. I vampiri sono capaci di sognare e come tutti quelli che sognano, possono avere incubi e svegliarsi di soprassalto. L'unica differenza è che non saranno mai coperti da un velo di sudore caldo o gelido che sia.
Iona si ritrovò seduto sulla sua pietra. Se avesse avuto aria in corpo avrebbe urlato a squarciagola. Aveva gli occhi spalancati sul buio assoluto e la mascella quasi slogata. Quando la coscienza di se stesso tornò completamente, si lasciò andare all'indietro e colpì rumorosamente e dolorosamente la nuca sul suo duro giaciglio, l'eco dell'osso contro la pietra si espanse e rimbalzò più volte sulla volta tondeggiante dell'Antro.
Si alzò prima sui gomiti e poi scese con i piedi tra la pietra polverizzata della grotta. Quando infine fu in posizione seduta una fitta lo colpì alle tempie, la stessa fitta da postumi di sbornia che chiunque potrebbe avere.
È... È giorno! Pensò. Non è affatto normale. La Spira... La Spira si è attivata! No...
Si era alzato e si sentiva intorpidito, affaticato, se avesse avuto il bisogno di respirare ciò gli sarebbe costato una fatica estrema. Il sole, il tempo diurno, era terribile: schiacciava come un macigno chiunque della Sua gente osasse muoversi oltre i limiti imposti da Dio.
No. Non è la Spira.
Iona si concentrò, fissò un punto immaginario nel suo cervello e convogliò verso questo tutte le sue energie. Le sue spalle si alzarono e si distesero, un scroscio improvviso di ossa si diffuse nel vuoto della grotta e, in lui, la spossatezza causata dal tempo diurno si ridusse a una nausea quasi impercettibile.
Adesso è la Spira! O forse è una nuova Spira? Potrebbe... Ma perché?
Ai suoi occhi la tenebra eterna scomparve e comparve l'interno dell'Antro, una grotta sepolta da millenni duecentoventitré metri sotto il centro di Todi. Una stanza scavata in forma ellittica: trentadue metri per trentasei che da anni era il suo vero rifugio dalla Nemesi del sole e il suo grande e inestimabile tesoro.
L'Antro era come sempre, ma Iona non guardava la volta di tufo e travertino in via di sgretolamento, le iscrizioni in lingue perdute ormai completamente cancellate. Guardava oltre tutto questo.
Ma la risposta come sempre era proprio sotto i suoi occhi, davanti a suoi piedi.
Al centro dell'Antro, dentro una macchia più scura della pietra a forma quadrata (testimonianza dell'antica presenza di un piedistallo o di un altare) Iona aveva disposto quattro piccoli ciottoli dalla forma ogivale. Quattro stupidi sassolini di fiume arrivati quaggiù da chissà dove e chissà quando. Quattro sassi che apparivano completamente scompaginati rispetto a come li aveva posizionati molto tempo fa.
“Oh crap!” Esclamò Iona.
Prese la semplice camicia da notte di cotone alle anche e si diresse verso l'uscita. Che fosse giorno era ormai un dettaglio quasi irrilevante. Senza rallentare iniziò il Richiamo per Ivo, sperando che non fosse fuori casa a bighellonare o a fare la spesa. Non aveva con sé l'orologio perché prima di ogni alba, quando si preparava al riposo diurno, rinunciava a ogni oggetto a esclusione di una camicia che fungeva da sudario, ma tanto più si avvicinava alla superficie, tanto più si rendeva conto di quanto presto si era risvegliato. A un certo punto dovette ricorrere alla Vitae per darsi più forza.
Fortunatamente Ivo era in casa. Aveva già chiuso tutte le imposte e lo aspettava all'uscita del cunicolo con in mano una pesante coperta. Quando l'uomo vide il vampiro la sorpresa derivata dalla circostanza del tutto eccezionale mutò in orrore. Vide un essere scarno e pallido dai capelli lunghi, radi e scarmigliati, gli occhi appannati e gli zigomi spettrali accentuati da una barba crespa e attorcigliata su tutto il volto. Questo era l'aspetto nel quale Ionandreij Skiidony venne colto dalla morte anni or sono, ma le circostanze lo rendevano ancora più raccapricciante: uno scheletrico eremita pazzo che usciva da una caverna del deserto.
La coperta che Ivo gli drappeggiò addosso lo avrebbe protetto completamente da ogni possibile spiraglio di luce, ma non dalla sensazione di caldo soffocante che permeava l'aria, ed era novembre. Se fosse stata estate Iona si sarebbe sentito bruciare. Ivo gli diede il braccio e lo condusse come un vecchio malfermo verso stanze più sicure.
Poco dopo, immerso in una grande vasca colma d'acqua fredda, Iona aveva riacquistato in parte il suo aspetto più tipico. I capelli erano stati tagliati e ordinati, corti come ora andavano di moda tra i professionisti con qualche problema tricologico e un'accurata rasatura aveva fatto risorgere i suoi lineamenti lisci e delicati.
Iona aveva in mano la cornetta di un cordless e stava litigando con un Asservito Mezzosangue: “Ascoltami! Lo so che il signore non può essere disturbato prima di un paio d'ore. Io sono Skydone e, di solito, ho lo stesso e identico problema, ma 'oggi' a quanto pare ne ho uno ben più grosso. Quindi, non appena potrai comunica immediatamente ora e luogo al tuo signore e digli che sono stato CA-TE-GO-RI-CO”.
Chiuse la conversazione con una smorfia. Ivo intanto era capitato con uno scaldavivande in mano e un sorriso rasserenato in volto: Jo' era tornato a essere lui.
Iona uscì dalla vasca e aprì lo scaldavivande: sangue. Non era fresco però, veniva dalla sua riserva congelata d'emergenza.
“Credo che questa sera me ne servirà altrettanto”, disse all'uomo.
“La scorta è quasi finita, a meno che non rimediamo qualcosa di animale”.
“Cosa? Ma bevila tu quella schifezza!” Rispose stizzito Iona mentre dava un sorso, “Già questo fa schifo, e inoltre l'eparina mi dà il voltastomaco”.
Ivo non replicò, si avviò a scongelare un'altra sacca.
La verità è che, maledizione, davvero non riesco più a nutrirmi di sangue animale. Ci ho provato per anni senza risultati. Che noia.
Dopo il tramonto, Iona si spostò da Todi a Perugia. Per la precisione nella zona di confine tra il quartiere di Fontivegge e Madonna Alta: all'incrocio tra via Martiri dei Lager, via Magno Magnini e la via Pievaiola. Aveva parcheggiato l'auto di fronte a una chiesa bianca dalla struttura che voleva ricordare la capanna dove nacque il Redentore e si era seduto abbastanza liberamente sul cofano del coupé con un lungo Balmoral tra le dita.
Era in abiti 'appropriati': anfibi, pantaloni militari di tela robusta, giubbotto di pelle da aviatore e un cuffia di lana in testa. Alle 19 e 40 comparve Vittorio Sansepolcri, clan Ventures: impermeabile avana fino alle caviglie e cappello in testa. Alle 19 e 45 Cristoforo Gallimori, che come tutti quelli di Sangue Mechét sembrava incapace di rinunciare al full-black.
I due Fratelli erano stati abbastanza puntuali, ma come al solito la Succube era in ritardo. Alessandro Orsini, un Divus scandalosamente giovane, buono solo per leccare i piedi al Barone e a riportare ogni minimo dettaglio che la sua stupidità faceva sembrare interessante, arrivò solo quando Iona era già a metà del terzo sigaro. Ovviamente non aveva rinunciato all'Audi A8 e all'autista, così come non riuscì a saltare i salamelecchi d'ordinanza: “Buonasera carissimi e stimati Fratelli. Prego che perdonerete questo leggero e trascurabile ritardo, ma l'avviso dello stimato Magister mi ha colto... Eh eh... Proprio di sorpresa perché ero proprio a riposare”.
“Eravamo tutti a riposare e di certo non avrei distolto nessuno da tale condizione se non fosse stato assolutamente necessario”, rispose il Magister Illuminator dell'Ordo Dracul, Iona Skidone.
“Oh certamente! Certamente non farebbe mai niente di sconsiderato, non potrei mai pensarlo”, replicò Orsini falso come l'essere vivente che cercava di impersonare.
“Comunque è strano che le sentinelle non abbiano avvisato nessuno al riguardo”, intervenne Gallimori solo per fomentare il dubbio.
Da dietro le sue lenti Iona fulminò l'Inquisitore della Lancea. La Bestia iniziava a crescere e Sansepolcri invece di giungere a dar manforte a un compagno dell'Ordine, restava rigido nel suo stile compassato.
“Oh infatti”, prese la palla al balzo il giovane Orsini, “Il mio ritardo è giustificato dal fatto che abbiamo tentato di metterci in contatto con le sentinelle...”
Iona gettò a terra il sigaro, scivolò dal cofano dell'auto e pose la sua Bestia sul neonato: “E non avete avuto risposta. Il ritardo è perdonato a patto che non diventi un'abitudine. Potrei lasciarti fuori della porta evitando che ti sporchi i mocassini e, se avessi voluto, già sarei sceso di sotto, dove tu non sei stato neanche per una volta”.
“Be' questo Fratello Schidòn sarebbe una violazione dei patti, oltre che un'invasione di un luogo della Lancea Sanctum”.
“È solo per dire Fratello Consacrato, giusto per dire”.
Iona si volse verso la chiesa e mosse il primo passo: “Avanti, vediamo che cosa è successo”.
Fu Cristoforo Gallimori a far aprire la chiesa dal sagrestano, un Mezzosangue dei Consacrati che in realtà si aspettava la consueta consegna di 'viveri' per le sentinelle.
I vampiri solcarono la navata in stile moderno del luogo di culto inginocchiandosi devotamente di fronte all'altare, prima di spostarlo per scoprire la botola. Questa scendeva sottoterra, verso un vecchio canale di scolo delle acque nere che anni fa venne deviato, almeno in parte perché un basso rivolo di liquame e rifiuti continuava a scorrere impenitente.
Erano passati diversi anni dall'ultima volta che Iona e Sansepolcri erano scesi in questo luogo, ma tutto era rimasto come allora, compresa una lunga scala di ferro che i due sollevarono e misero di traverso sopra il canale per creare una specie di passerella.
“Prego, in qualità di rappresentante del Primo Stato la precedenza va al signor Orsini. Stia attento a non scivolare, altrimenti quelle Tods da seicento euro saranno da buttare”, disse Iona.
“La ringrazio per la cortesia e la precauzione, ma mi muovo come una libellula, e le mie scarpe sono costate l'inezia di novecentocinquanta euro”.
“Davvero? Mi pareva di averle viste in una vetrina del Corso durante i saldi”, controbatté Iona con un insulto a dir poco mortale che voleva dire: 'muoversi'.
Con Gallimori come séguito, i primi due vampiri attraversarono il ponticello mentre i Draghi facevano attenzione che reggesse. In quel momento Sansepolcri ruppe il suo preoccupato silenzio per mormorare all'altro Drago: “È proprio sicuro di quello che ha fatto?”
“Mi prende per demente Sansepolcri? Secondo lei decido di voler affrontare il Mostro solo perché mi è venuta voglia di un po' di orrore? Certo che sono sicuro! Il Drago me lo ha detto”.
Sansepolcri non poté far altro che roteare fuori sincronia i suoi vistosamente strabici occhi.
Quando Primo e Secondo Stato ebbero attraversato, toccò ai rappresentanti dell'Accademia. Infine si ritrovarono tutti a infilare un brevissimo corridoio scavato nelle fondamenta di Perugia. Dietro una svolta vi era una porta sbarrata che si poteva aprire solo dall'esterno. Mentre l'Inquisitore faceva da anfitrione, Iona mormorò in modo che Orsini potesse sentire: “Speriamo che Ottavio e Italo non ci saltino alla gola all'istante”, e ottenne l'effetto di far voltare il neonato verso di lui con la paura negli occhi.
La porta si aprì su un lungo e stretto corridoio illuminato da lampade da miniera. Nonostante il cigolio molto ben pronunciato nessun Gangrel dall'occhio infiammato balzò dalle ombre a ghermirli, anzi non si udì neppure un “Chi va là” come si sarebbe potuto prevedere.
“Sangue!” Esclamò allarmato Gallimori.
Lo so! Lo sento anch'io. Pensò Iona, “State indietro”, disse mentre sopravanzava tutti di qualche passo per scattare poi in avanti.
“Mantenete la calma!” Urlò dal fondo del corridoio.
“Signore Onnipotente e Longino...”, mormorò Gallimori segnandosi il costato.
Avanzando gli altri videro un corpo di un Fratello, una delle sentinelle del luogo, disteso a terra con un braccio strappato sopra la spalla, come se qualcosa gli avesse aperto la gola e avesse divelto tutto quello che c'era a partire dalla clavicola e dalla scapola.
Iona era avanzato ancora: “Ottavio è messo peggio: gli manca metà del petto”.
Gallimori mormorava qualcosa in latino coprendosi la bocca con le mani, Sansepolcri si abbassò leggermente sul primo corpo. “Si stanno decomponendo: è Morte Ultima”.
“Già”, borbottò Iona mentre in ginocchio si faceva il segno della croce e senza farsi vedere dal Consacrato metteva una moneta da un euro in bocca al Fratello definitivamente deceduto.
Orsini scuoteva la testa da una parte all'altra, non aveva più nulla del suo aspetto compìto ed elegante che tanta strada gli aveva fatto fare in così poco tempo. Sembrava un animale preso tra due fuochi e Iona se ne era accorto.
La Succube più anziana scattò veloce come il vento e si fermò a un centimetro dal naso di Orsini. Lo spinse contro il muro mentre con le braccia lo circondava sopra le spalle impedendogli virtualmente ogni via di fuga.
“Ogni tanto a Perugia succedono cose come queste. Conviene farsene una ragione e continuare a tirare avanti. Così sono le nostre Requie”.
Orsini stava quasi per sudare e pisciare sangue in modo letterale, ma quando Iona lo vide riprendere il controllo della sua Bestia, tolse le mani dal muro.
Come commento Orsini disse la cosa più scontata e banale che poté: “Attia dei Pagani non sarà contenta di ciò”.
“Le porti le mie condoglianze”, rispose Iona che già si incamminava oltre il lungo corridoio, verso quello che tutti i presenti, tranne Orsini, sapevano.
“Aspetti!” Esclamò senza speranza di fermarlo Sansepolcri, rassegnandosi a dovergli correre appresso insieme agli altri.
Orsini fu l'ultimo a uscire dal corridoio dopo una svolta e a entrare in un'ampia camera illuminata nella quale ricevette un altro potentissimo pugno allo stomaco e alla coscienza.
Non era possibile. Non era reale. Non poteva essere vero. Eppure c'era: il Mostro.
Un rettile antico, una specie di dinosauro, era l'ultima cosa che poteva venire in mente di fronte a quella visione di orrore puro. Una gobba pustolosa e lucida color della merda alta due uomini. Qualcosa come tre o quattro paia di zampe del tutto diverse l'una dalle altre. Alla base di una strana coda che sembrava un fascio di cavi elettrici neri e blu, c'erano due massicce zampe da lucertola ricoperte di scaglie e bozze cheratinose. Alcuni pseudopodi lungo ciò che poteva essere un ventre pendevano fin quasi a toccare il suolo come mammelle flaccide e nere dalle quali si distinguevano quelle che dovevano essere le zampe anteriori; salvo per il fatto che tutto erano tranne che delle zampe. Erano come due grandi tubi carnosi e rugosi, larghi quanto un uomo che sembravano poggiare a terra afflosciandosi in volute di cuscinetti adiposi. Un grosso squarcio tra queste due, sul 'lato' frontale somigliava a una specie di bocca mostruosa e sopra questa si allungava, forse, un collo grande quanto un pitone ma tre volte più largo che terminava con una sporgenza ovale senza nessun caratteristica a parte due luci arancioni, poste ai lati del globulo, comunicanti intelligenza.
Orsini notò che il Mostro sembrava fissare con odio Skidone, il quale si era arrestato a circa tre metri da lui. D'improvviso si udì un sibilo. Dalla 'testa' del Mostro una cosa come una frusta saettò rapida i direzione del Daeva. Nessuno poteva trattenere il respiro, ma era come se lo stessero facendo. Videro questa 'lingua' sfiorare il volto di Skidone senza toccarlo, impennarsi e arrotolarsi in un arabesco intricato verso il soffitto e poi scomparire di nuovo, ritratta nel corpo del Mostro.
“È ancora vincolato”, disse Skidone pieno di sé.
Sansepolcri si accostò a Orsini e gli sussurrò quasi paterno: “Non farti domande, perché tanto qui nessuno ha delle vere risposte”.
Orsini vide Iona avanzare verso quella cosa con maggiore sicurezza ora, e solo in quel momento notò che di fronte a quell'ammasso indescrivibile c'erano tre steli erette, alte circa un metro. Erano nere, come d'ossidiana lucida e dalla forma suggestiva. Le loro parti superiori apparivano come scolpite con un'inclinazione di quarantacinque gradi e su questi piani vi erano fissate delle pietre di un brillante blu cobalto dalla forma spigolosa e irregolare.
A meno di un metro, la cosa muoveva lentamente ogni sua appendice dimostrando una qualche bizzarra forma di intelligenza, e con quelle due piccole luci arancioni su quella specie di proto-testa sembrava fissare odiosamente Skidone. Il vampiro iniziò a toccare ciascuna di quelle pietre blu con le sue dita. A Orsini sembrarono gesti misurati e consapevoli, e credendo che non vi fosse reale pericolo si fece sopraffare dalla curiosità azzardando un passo in avanti. Senza proferire verbo la mano di Gallimori sul suo braccio lo bloccò immediatamente.
Improvvisamente Skidone si voltò con lo stesso identico gesto di un prestigiatore che aveva appena concluso il suo numero migliore.
“Tutto a posto”, disse a voce alta e intonata, “A quanto pare nulla è cambiato per quanto riguarda Mucchio di Merda”.
Sansepolcri e Gallimori sembrarono assentire gravosamente in silenzio, ma per il giovane Alessandro Orsini tutto questo sembrava una cosa ancora più assurda: “Tutto a posto? Con due Fratelli Garou morti, in sincerità stento a dire che sia tutto a posto”, e incrociò le braccia. Gli anziani sarebbero stati contenti del suo modo elegante di mantenere distacco e imporre che una spiegazione venisse data al Primo Stato.
Il Magister Illuminator estrasse un pacchetto di sigarette dal taschino sulla manica del giubbotto e disse: “Oltre il dolore e la tragedia, sono certo che Padre Gallimori, Inquisitore Consacrato, si attiverà celermente per investigare sulle cause di queste due Fini, e ci darà quanto prima una spiegazione resocontata dei fatti”. Iona disse le ultime parole torcendo il collo di fronte a Orsini, con un'espressione che voleva indicare: ti sei forse dimenticato questo è territorio della Lancea Sanctum e che spetta a loro custodirlo?
“Per quanto riguarda l'Accademia, se il mio confratello Signor Sansepolcri non ha altro da investigare, possiamo ringraziare per l'ospitalità e lasciare il luogo”.
Sansepolcri in effetti non aveva niente da fare qua, era venuto solo perché il suo incarico di Custode dell'Elìsio imponeva la sua presenza e supervisione contro ogni genere di breccia potenziale. Quindi si incamminò salutando dietro i passi di Skidone.
Quando i due Draghi furono fuori della chiesa Iona finalmente accese la sua sigaretta.
“Potrò sembrarle monotono e banale Signor Sansepolcri, ma finisce sempre che l'Ordine va a spalare letame e la Lancia fa le cose più divertenti”.
“Signor Skidone”, replicò il Ventrue che questa sera era rimasto curiosamente silenzioso. “La vostra conoscenza dei Nervi è impareggiabile, tuttavia non riesco a spiegare come mai avete affermato che non è successo niente: due Garou morti non sono niente”.
“Oh lo so Chevalier, lo so. Oltretutto sire e infante che da anni si erano assunti il compito di presidiare il Nido del Mostro. Due Fratelli così disciplinati e vincolati non si uccidono a vicenda, mai... Impensabile. Proprio per questo non ci resta altro che attendere un responso dei Consacrati”.
“E ritenete che sarà obiettivo?” Chiese Sansepolcri mentre si lisciava i capelli corvini sul collo.
Iona gli rispose con uno scatto severo che gli indicava di tacere. L'udito da Mekhet del Daeva aveva captato l'avvicinarsi dell'Inquisitore e del Delfino dell'Invictus alle loro spalle.
In quel momento l'aria dei quartieri di Fontivegge e di Madonna Alta venne sconvolta, devastata e sommersa da una esplosione di incredibile potenza. Iona fu colto di sorpresa con i Sensi Acuti alzati e gli sembrò che il mondo gli si chiudesse intorno come un guanto nero. Cadde sulle ginocchia e quando riaprì gli occhi vide le bocche di Sansepolcri, Gallimori e Orsini muoversi senza udire suono. Chiamò il Sangue per riavere l'udito e alzando ancora di più lo sguardo vide che all'inizio di via Pievaiola, proprio nei pressi della Stazione delle FS ardeva un bagliore sinistro.
I quattro vampiri non attesero oltre, anche Orsini mise da parte lo stile da Primo Stato e si incamminò in fretta, ma non troppo, perché già si sentivano le sirene, i colpi di clacson e l'assembrarsi di curiosi.
Giunti i prossimità dell'incrocio successivo si fermarono a duecento metri da un condominio di otto piani, con i primi due completamente avvolti dalle fiamme.
“Signore Onnipotente e Longino”, disse Gallimori.
“Ehi, ma quel palazzo non fa parte del complesso del Mignottificio?” Esclamò Iona.
“Sì, e anzi”, intervenne Orsini alle sue spalle, “Proprio in quello c'è una proprietà di Cestcenko”.
I vampiri in quel momento erano troppo magnetizzati dal fascino e dal terrore proposto dallo spettacolo di fiamme a distanza di sicurezza per accorgersi che Skidone, appena appresa la notizia, iniziò a guardarsi intorno con la stessa espressione di un bambino che ha appena combinato un grosso disastro.