venerdì 6 giugno 2008

Tra l'arca e il muro (5)


Parte quinta

Aveva visto un paio di cinematografiche suole di scarpa con il marchio “Vero Cuoio” diritte sui tacchi, e attaccati a queste un paio di pantaloni e un bel vestito di colore scuro con il corpo di chi l'indossava steso sul pavimento, nella posa plastica di chi si ritrova un romanzesco paletto di legno ben piantato dentro il cuore. Il paletto torreggiava sul petto del tipo a terra, accanto al tutto c'era seduta sul bordo del letto, con le gambe a fare l'altalena sulla sponda, Vania.

«Ciao Schidone», gli disse allegramente.

Vania Sambuco è una vampira che solo a guardarla fa venire la voglia di farsela o di farsi fare da lei. Ha il corpo giovane di una ragazza sui vent'anni, splendidi capelli neri morbidi e voluminosi, uno sguardo penetrante, le gote paffute da bambina e nasino e mento appuntiti. Uno splendore che ti disarma quando sorride come se fosse ingenua e vitale, ma la gente con un minimo di cervello si accorge che quel sorriso ha un riflesso strano, è il sorriso di una pazza senza coscienza morale, senza autocontrollo, senza consapevolezza emotiva degli esseri che possono capitarle a tiro.

Iona si avvicinò per vedere in volto il malcapitato; una faccia leggermente itterica mai vista prima e capelli tra il castano e il biondo. Non c'era sangue in giro, tanto meno dove il legno si era fatto strada nell'interstizio tra due costole, rompendo sicuramente parte dello sterno.

«Chi è?» Chiese alla Pagana.

Vania aveva le mani sulla sponda del letto adiacenti ai fianchi, premette sui gomiti per far spallucce e la scollatura della canottiera si abbassò a mostrare un po' della sua terza misura soda come marmo. «Non lo so. Gli ha aperto una delle mie ragazze vive, sembrava uno che voleva scopare e invece era uno che voleva cenare. Io ho solo fatto il resto senza neanche dargli tempo di accorgersi di niente», disse lei con un atteggiamento tipo “vedi come sono brava? Per questo guardami”.

Iona si avvicinò con circospezione al corpo, camminando lateralmente e mettendosi dalla parte opposta dell'impalettato rispetto a Vania, a distanza di sicurezza da un'omicida plurima internata in manicomio durante i primi anni Sessanta, poi Abbracciata da Patricia.

«Non può essere un nomade», disse.

«Vestito troppo bene?» Domandò Vania.

«No, l'aspetto esteriore non conta mai niente. Semplicemente, si sa fin troppo bene fuori dell'Umbria che Perugia non è una città in cui si può entrare di soppiatto, per tante ragioni», l'informò la Succube, «Tu sei una di quelle», aggiunse.

«Difendo il mio territorio e nutro la terra», rispose la Ventrue bastarda come se per curare i suoi doveri non conoscesse altro sistema.

Ovviamente Iona si era già fatto un'idea del perché lo stavano ricattando, ma la situazione precipitò quando scostò una falda della giacca all'impalettato e scoprì che da un passante dei suoi pantaloni pendeva una Croce Lanceolata, il simbolo della Lancea Sanctum.

Alzò la testa e fissò Vania con uno sguardo agghiacciante che valeva più di mille discorsi, un misto di collera fredda e terrore. Vania alzò le braccia a coincidere con le sue spalle: «Oh lo so, l'ho visto, ma volevo che lo scoprissi da solo», il suo seno, libero da lingerie, ondeggiò sotto la canottiera, «È solo una croce, che vuoi che sia...» Aggiunse.

«Sì certo, le vendono alle bancarelle di Assisi fuori dalla Basilica Superiore... E sono oggetti di moda che chiunque indossa di tanto in tanto...» Rispose con il tono di quello che era stufo di farsi prendere in giro mentre faceva mente locale sul periodo dell'anno: «È la notte del due dicembre, l'anniversario della resa della Lancia all'Invictus... Questo! Questo non è un nomade vagabondo, è senz'altro uno di quei Fratelli che ogni anno vengono da fuori per i riti penitenziali del Vescovo!».

Per Iona questo doveva essere un rimprovero feroce ai danni di una neonata che aveva fatto qualcosa di oscenamente grave, qualcosa capace di scatenare una Caccia di Sangue e addirittura un incidente diplomatico tra Perugia e chissà quale altra città! Ma alla fine non aveva la minima importanza né per Vania, che fissava Iona con un'indecente faccia da schiaffi, né per Iona stesso, che aveva ottenuto il quadro della situazione completamente chiaro.

Si mise le mani in tasca, sbuffò impaziente mentre guardava in giro. Disse: «Così, come dicono a Perugia mi avete incastrato “tra l'arca e il muro” come un topo».

Vana annuì con un sorriso falsamente ebete in volto.

«Già perché, per quale motivo gente come voi dovrebbe impalettare un Fratello e poi chiamare un altro per mostrarlo? Di solito voi dei vostri stessi Simili non lasciate che le ceneri, dico bene?»

Vania accavallò le gambe e incrociò le dita delle mani sul ginocchio, si sporse in avanti incuriosita.

«Quindi ora io sarei obbligato di denunciarvi al Dominio; se lo faccio la prima cosa che andranno a pensare sarà: “Perché hanno chiamato Skidone?” E così salterà fuori in un battibaleno la storia di quanto mi sono divertito sopra tua madre», Vania lo schernì con un risolino isterico che non era affatto promettente, ma Iona non si sarebbe mai fatto intimidire da un neonato, continuò a parlare: «Se me ne sto zitto, divento vostro complice. Se la cosa viene scoperta finiamo tutti sulla stessa pira di fuoco. Ma a voi che importa? Di certo avete già accumulato abbastanza crimini per essere messe sotto il sole da un pezzo, e si Muore-per-Sempre una volta sola: una condanna in più, una in meno, non è questione di numeri. La cosa che conta per voi è il gioco, vero? Fin quando il gioco funzionerà, io sarò un vostro complice a partire da stanotte, e mi metterete in una condizione nella quale potreste venire a pretendere sempre di più!», concluse.

Vania non disse nulla con le parole. Con un colpetto di addominali saltò giù dalla sponda e si portò in piedi infilandosi le mani nelle tasche dei jeans attillatissimi; il primo bottone dei suoi pantaloni era slacciato e l'indumento scese lungo la vita. Iona constatò che Vania non portava le mutandine e non si depilava l'inguine. La bella predatrice si schiarì la gola e mosse provocante le spalle, Iona si sentì imbarazzato, non perché era pudico, era infastidito dell'attrazione che provava verso un soggetto psichiatrico. Alzò gli occhi a guardare Vania negli occhi.

«Ti sfugge un dettaglio Schidone», disse Vania, «Voglio che tu prenda questo vampiro e lo faccia sparire, non lo distruggere, nascondilo da qualche parte».

Iona annuì e si spostò di fronte ai piedi del Fratello in torpore. Lo afferrò per le caviglie alzandogli le gambe e iniziò a trascinarlo. A quel punto, nel giro di una frazione di secondo il Daeva sentì come se qualcosa gli stesse strisciando dentro la testa, qualcosa che si arrotolava su se stessa; la sensazione di movimento gli provocò immediatamente un fitta atroce, ma era una male liberatore che portò con sé la consapevolezza. Con una mossa sovrumana staccò da terra il corpo del Fratello roteandolo come se fosse un lanciatore olimpionico di martello. L'impalettato urtò con forza contro il fianco di Vania che saltò oltre il letto e finì contro una cassettiera a lato sulla parete. A metà rotazione Iona perse la presa e il vampiro in torpore finì sbattuto contro l'armadio e cadde sulla sua pancia pressappoco nello stesso punto da dove era partito.

Per fortuna il paletto non si tolse, anzi, attraversò tutto il torace e ora si vedeva bene la punta emergere tra le scapole.

Iona si girò immediatamente per fronteggiare Vania. Lei era molto più lenta della Succube, lui l'Incantò con i suoi doni rilucenti proprio nel momento in cui si era portata una mano dietro la schiena per impugnare la sua arma. La Gerbini era arrivata di corsa sulla porta a causa del trambusto, Iona la percepì. Con le sensazioni di Vania manipolate e schiacciate dalla Luce, Iona decise di sistemare la seconda Pagana: «Mamma e papà stanno avendo una discussione, ma continueranno a volerti bene lo stesso, sparisci!» Le disse senza guardarla, dimostrandole che l'obiettivo reale era la sua sorella anziana e non lei che poteva essere uccisa come niente.

La Gerbini s'impaurì quel tanto che bastava per obbedire e si ritrasse dalla porta.

Vania stava terminando di rialzarsi, Iona prestò attenzione a se e con quanta riluttanza la sua avversaria toglieva la sua mano destra da dietro la schiena: non troppa e soprattutto era vuota. L'Incantesimo della Maestà funzionava; per il momento Vania si sarebbe sentita incapace di aggredire Skidone, ma non doveva rilassarsi, Vania era imprevedibile e nonostante fosse soggiogata dai Poteri del Sangue Daeva, questi non si sarebbero spinti tanto avanti da poterla controllare completamente.

Iona avrebbe dovuto metterci del suo, e decise di estrarre dall'arsenale le armi della psicologia: «Tua madre non ti ha insegnato nulla?» Iniziò con già una sigaretta accesa, «Mi inviti in casa tua, tu, una Ventures, per propormi un patto e usi le tue arti ipnotiche per truffarmi?», Vania si mordicchiò un labbro con colpevolezza; ora Iona avrebbe ceduto persino sui suoi principi contro le gnocche mentalmente instabili. «A parte che ho diversi anni più di te e un Sangue ben più forte, ma è una questione di rispetto! Il tuo scherzo sarebbe più che sufficiente per andare da tuo nonno in persona e lamentarmi ufficialmente di questo tradimento assoluto dei Nostri costumi; e sta pur certa, il fatto che tu sia sangue del suo sangue non t'aiuterà, anzi aggraverà la situazione e basta»; in teoria Iona aveva ragione, ma tra la teoria e la pratica ci sarebbe stata in mezzo la volontà dell'Augusto. Ovviamente non si sognava lontanamente di fare quello che stava minacciando, ma gli serviva perché sapeva che Vania stava prendendo per oro colato qualsiasi cosa; ma dato che in seguito le valutazioni della vampira sarebbero sicuramente cambiate, Iona decise di tirare fuori dal cilindro un'altra minaccia che si sarebbe confusa con l'attuale e, sperava, avrebbe mandato in tilt la Sambuco. Non lo avrebbe mai confessato a nessuno nemmeno sotto tortura, ma circa quarant'anni fa lui aveva seguito con passione la storia di una ragazza tormentata e seviziata per anni, con la sanità mentale bruciata, che si ribellò ai propri carnefici ammazzando un marito perverso e brutale, i suoceri e i suoi stessi genitori, allorquando si recarono a vedere cosa accadeva in casa dei parenti acquisiti dopo giorni di silenzio. Iona conosceva la storia della vita di Vania, aveva letto tutto quello che i giornali avevano scritto e la sua curiosità si era spinta fino a corrompere un inquirente per farsi rivelare ogni singolo scandaloso dettaglio che negli anni Sessanta non venivano pubblicati.

«E se ci riprovi un'altra volta», continuò seguendo il suo piano, «Ti giuro che ti farò molto di peggio di quanto ho fatto a tua madre...» Iona si accostò demoniaco a Vania, «Le catene, una stanzetta buia piccola piccola, e tutti gli esperimenti che mi verranno in mente per insegnarti a fare la buona...E le feste coi miei amici, eh? I miei amici Draghi, anche loro avrebbero tanta domande da farti per capire il tuo problema...»

Se non fosse stato per la Luce Iona avrebbe rischiato di finire a pezzi molto piccoli, come i suoceri di Vania, ma grazie a essa la vampira si ritrovò immersa nelle stesse identiche sensazioni di tanti anni prima. Non reagì, voltò la testa sopra una spalla e lasciò andare le braccia come fosse in stato catatonico. Era bellissima agli occhi di Iona, con i capelli che coprivano metà del volto.

Skidone non aggiunse altro, si allontanò di qualche passo e finì di fumare la sigaretta. Vania aveva solo bisogno di tempo per riprendersi dai fantasmi del suo passato e arrendersi a Iona in qualità di transfert del marito-padrone.

Le servirono pochi secondi per rialzare la testa e piantare gli occhi offesi e gelidi direttamente nell'anima della Succube; Iona si fece forza, era sempre troppo ossesso dalla bellezza delle donne in qualsiasi forma, anche in quelle più insane.

«Va bene, hai le mie formali scuse», disse freddamente Vania.

«Le accetto», rispose Iona con gaudio, anche se sapeva quanto valessero.

«Che facciamo allora? A questo punto io non ti faccio uscire intero da qui», disse Vania, ma non era una vera minaccia.

«Uhm... Siamo abbastanza nei guai, e più ci diamo contro e cerchiamo di fregarci a vicenda, meno ne usciamo bene», disse Iona.

«Quindi?»

«Senti, se proprio un Patto d'Onore tra Fratelli va fatto, facciamolo per bene: io dovrei denunciarti per aver mandato in torpore un Fratello che probabilmente è Consacrato. Guarda che casino sarebbe: parlare coll'Augusto, con de Megnis, il Gendarme, il Vescovo... Per non dire della possibilità che, una volta risvegliato il tizio corra a lamentarsi di Perugia presso casa sua. E vogliamo dare proprio noi due questo grattacapo all'Augusto?»

«Io mi sono persa, vuoi arrivare al punto?»

Questa volta Iona non resistette dal toccare con le mani le spalle di Vania e la sua pelle lunare.

«Io sono disposto a fare tutto quello che posso per evitare che ogni indagine, se mai ci sarà, arrivi a voi. Voi in cambio non mi romperete le scatole. Inoltre, il Fratello non va toccato, lo custodirete per un po' in torpore e nel mentre pensiamo a come e quando svegliarlo e liberarlo senza che ne faccia un dramma. O.K.?»

Vania si liberò dal tocco affettuoso di Iona: «E io dovrei credere che tu veramente cercherai di aiutarmi? Forse gli altri lo stanno già cercando, e a te basterebbe sparire, non far niente e lasciare che scoprano tutto per salvarti il culo», Vania prese una Marlboro dal pacchetto che Iona aveva lasciato sulla cassettiera vicino alla porta della stanza e l'accese. «Non sono così ingenua Skidone, so come svicoli e sgattaioli da ogni situazione, sei diventato famoso per questo. A te basta che il Gendarme scopra come sono andate le cose per poi presentarti con la tua bella faccia d'innocente e raccontare tutta la verità. Mi proponi un patto su cui io non posso controllare se gli terrai veramente fede, ma se provo a rivelarlo poi mi accusi mi aver rotto un Debito di Prestazione».

L'Incanto della Maestà concedeva a Iona che Vania fosse ben disposta nei suoi confronti, e infatti l'aveva ascoltato con attenzione, ma non aveva cancellato del tutto il suo libero arbitrio e anzi ne aveva esaltato le doti di intelligenza perché Vania stava cercando in tutti i modi di mettersi in luce di fronte a Skidone, così come lei riteneva che piacesse al suo manipolatore. Iona scoprì che Vania non era solo una pericolosa assassina traumatizzata da anni di abuso domestico e che era deliziosa quando parlava con il suo timbro di voce leggermente roco aspirando tra la fine di una proposizione e l'inizio dell'altra.

«I Debiti di Prestazione li avete inventati voi Ventures».

«E voi Divii li rivoltate come meglio credete. Fottiti, voglio certezze oppure chiamo Patricia».

«Va bene: ci metto il Sangue sopra».

«Che cosa?»

«Sigilliamo il paletto del tipo con cera e con la mia Vitae, così sarà un segno del mio giuramento veritiero».

Vania ci rifletté un secondo su, e in verità quando Iona le disse del Sangue aveva pensato subito a ingozzarsi con la Vitae di un Daeva, una qualità che le mancava.

«Ok, ci sto», disse infine.

«Bene!» Esclamò Iona rasserenato, «Vieni qua», disse a Vania abbassandosi sul corpo in torpore del Fratello, ribaltandolo nuovamente sulla schiena. «Ormai è del tutto rigido, aiutami a piegargli le braccia fino a mettere le mani intorno al paletto, più o meno...» Spiegò a Vania armeggiando, mentre lei incuriosita si era prestata immediatamente a seguire docilmente le istruzioni.

«Piano!» La sgridò, «Così gli spezzi le braccia».

«È duro», si giustificò Vania, «Se lascio andare tornano nella posizione di prima».

«No», fece Skidone, «I corpi dei non morti non sono esattamente come quelli dei morti-morti, neanche in torpore; sono un po' come l'argilla, se cambi delicatamente la posizione degli arti e li mantieni fermi per qualche minuto, poi restano così come li metti», diceva autorevolmente, impegnato a incrociare le dita della mano destra con quelle della sinistra, «Proviamo, lascia...» Concluse.

Vania lasciò la presa sul corpo del vampiro dormiente e constatò con una certa soddisfazione che ora gli mancava solo una bara, sarà stato per l'abito, ma era proprio un soggetto perfetto per una funzione funebre.

«Candela!» La distolse dai suoi pensieri Skidone, «Ce l'hai una candela?»

Vania si guardò intorno per un momento, poi arrivò al cassetto di un comodino tornando indietro con una candela di color rosa acido, larga intorno ai tre centimetri e consumata per metà. L'allungò a Iona che prima di prenderla chiese sospettoso: «Ci hai fatto un rituale dei tuoi o qualche giochino?»

«Tutt'e due», rispose Vania con un'ombra d'irritazione nella voce.

Iona tese la mano con molta cautela e prese l'oggetto come se temesse di venire infettato da chissà cosa. Sempre con palese disgusto azionò l'accendino e diede fuoco allo stoppino, indirizzando la candela in modo che la cera colasse sulle mani e sul paletto del bell'addormentato.

La cera cadeva a goccioline piccolissime e lente, «Una cosa entro la notte?» chiese Vania già spazientita da tutto questo attendere.

Iona inclinò maggiormente la candela, la fiamma sulla punta iniziò a consumare più cera e a crescere, alzandosi d'intensità; il Drago ruotò il polso e la lingua di fuoco si allungò fin sulle sue dita. Vania soffiò come una gatta spaventata, seduta sulla sponda del letto si voltò su se stessa raccogliendo gomiti e ginocchia in grembo. Iona sorrise altezzoso: il fuoco fa male ai vampiri solo se la Bestia se ne spaventa e i Draghi sono i leggendari vampiri che dominano il terrore dei segni del divino nel mondo. Una fiamma così piccola non avrebbe potuto scalfire un corpo immortale con la Bestia saldamente incatenata alle Spire del Drago.

Iona spense la candela: «Ora ci devo mettere sopra il mio sangue», disse fissando con lo sguardo l'impugnatura del coltello che usciva dai pantaloni sulla schiena di Vania. Lei estrasse la sua arma e con un unico gesto invisibile offrì l'elsa del pugnale a Iona tenendo il coltello per la punta.

Iona si fermò per un momento esterrefatto: «Uau, in confronto quello di John Rambo...», non terminò la frase perché qualsiasi battuta sarebbe stata a doppio senso. Prese ciò che in realtà era una vera e propria daga dall'impugnatura ergonomica, con una lama larga quanto una mannaia modellata a forma di “S” e con una scanalatura di un centimetro e mezzo che l'apriva in due come se due fossero le lame saldate alla base. Piuttosto che interrogarsi sull'efficienza dell'arma, sarebbe stato interessante capire dove diavolo era stata rimediato un così superbo strumento di morte.

Funzionava perfettamente, Iona s'incise il polso ben più profondamente di quanto avesse voluto con una leggerissima pressione. Alzò l'arto ferito sopra il vampiro impalettato e stringendo il pungo fece cadere alcune gocce del suo sangue magico sulla cera.

Vania osservò lo stillare e lo sprizzare della Vitae con un'espressione del tutto identica a quella di una donna trepidante d'eccitazione, respirava con la bocca e con il naso per sentire l'aroma speziato della Vitae. Iona finse di non badarle, ma in realtà si era posto come ostacolo tra la Ventrue e il sangue sulla cera perché era possibile che Vania vi si gettasse sopra come una cagna a leccarlo avidamente.

La Vitae coagulò in pochi istanti, a Iona ne servirono molti di meno per cancellare il taglio sul polso, e gettò con noncuranza il pugnale sul letto.

«Fatto», disse il Daeva concedendosi un momento di relax, estraendo la sua pipa semicurva da passeggio. Vania riprese il coltello in mano e l'esaminò accuratamente nella speranza che almeno una goccia di sangue vi fosse finito sopra, ma così non era: i vampiri non sanguinano praticamente mai.

«Be' io andrei», disse Iona avvolto da una nuvoletta di fumo.

«Abbiamo ancora il problema della macchina dell'amico», ripensò all'ultimo momento Vania.

Iona scattò allargando le braccia in segno di menefreghismo: «Ah! A quello credo che puoi pensarci da sola, chiama qualcuno che la butti da qualche parte dove non dia impiccio, a me non interessa. Se permetti io ora userei la famosa Disciplina di Florenzi-Baglioni: “elegantemente mi cavo fuor dai coglioni”», concluse insolente muovendosi verso l'uscita.

«Devo trovare un buon posto, se scoprono l'auto potrebbero ugualmente risalire fino a me», borbottava Vania, stava facendo un ragionamento a voce alta e Iona borbottò in risposta: «Se volessi essere stronzo, io la lascerei in uno dei territori Carthiani, così avremo equamente distribuito i grattacapi tra tutte le congreghe: i Pagani aggrediscono un Consacrato, i Draghi li aiutano, i Consacrati devono trovare uno dei loro scomparso, i Carthiani vengono sospettati, l'Invictus deve rimettere insieme tutti i pezzi. Affascinante!» Esclamò infine e uscì dalla stanza.

In corridoio Iona s'imbatté nella Gerbini, probabilmente restata lì a origliare. Iona le fece un minaccioso cenno di assenso per salutarla col suo sorrisetto, poi le sfuggì verso la porta.

Chiusosi dietro la porta della casa, Iona corse all'auto e l'accese ripartendo quasi come era arrivato.

Non solo era ormai fin troppo tardi per restare allo scoperto rispetto all'alba incombente, ma era proprio la miglior cosa da fare per gettarsi alle spalle tutta questa storia, almeno fino a domani notte.


mercoledì 4 giugno 2008

Tra l'arca e il muro (4)


Parte quarta

Quanto arrivò l'auto aveva bisogno di un tagliando completo, ma non era una preoccupazione. La lasciò in un piccolo parcheggio al centro di alcuni condomini e si guardò intorno per leggere i numeri civici. Quello che Vania gli aveva detto per telefono si trovava su una vecchia targhetta di una monofamiliare, costruita forse cento anni fa. Arrivò alla porta salendo per delle scale esterne, cercò il campanello e lo schiacciò.

Gli aprì la porta Valeria Gerbini, la progenie più giovane di Patricia che aveva l'aspetto più anziano tra le due. Iona l'aveva vista con Chichi una sola volta per errore, tuttavia a meno che le Pagane non Abbracciassero un infante al mese doveva essere lei: una bella signora sui quarant'anni con tutte le curve sode. Doveva assomigliare un po' ad Attia se ad Attia scalpellavi via l'intonaco, e a conferma che non era la vampira sbagliata, la Gerbini indossava una vestaglia da notte e scarpe con i tacchi a spillo. L'azienda di prostituzione virtuale di Patricia aveva un sacco di addette.

Iona non aveva né la voglia né la forza spirituale per ammaliare con i suoi poteri questa creatura, di certo non lo avevano fatto venire fin qui per tendergli un agguato, ma se così era, meglio conservare le energie. Il Marchio del Predatore, la situazione, le varie storie su queste Ventrue e quelle che avevano portato Iona sulla loro soglia, azzerarono i convenevoli.

«Vania è arrivato», disse la Gerbini a voce alta rivolgendosi all'interno della casa, poi fece entrare subito Iona.

Lui non volle notare con quanta forza la Pagana chiudeva il portone alle sue spalle, si concentrò sul corridoio spartano dalle bianche pareti pulite. In fondo c'era una porta chiusa e un'altra accanto sulla parete di destra, sempre chiusa. Sulla parete sinistra c'erano altre due porte. Quella più vicino era chiusa, la seconda era aperta. Iona prese da solo la direzione più ovvia.

Si affacciò sulla porta, «Holy crap!» Esclamò tra i denti abbandonandosi contro lo stipite strizzando gli occhi.

lunedì 2 giugno 2008

Tra l'arca e il muro (3)


Parte terza

Quando Iona era ancora dentro la macchina ferma davanti alla magione di Arimanni, una voce di donna al telefono gli disse: «Ma cos'è questo casino? Sei a una festa?»



«Questo casino sono i Linking Park, e sono una precauzione. Ora mi dici che diavolo vuoi, Vania?»

Vania era la progenie più vecchia di Patricia Swalchech, la vampira che Iona aveva brutalizzato qualche sera prima per estorcerle informazioni sulla sua congrega pagana. Vania era quella dall'aspetto più giovane con fama di animale terribile e pericoloso nell'allegra famigliola delle discendenti rinnegate dell'Augusto Barone. Con opportuna negligenza le leggi segregazioniste che si interessavano di loro non si esprimevano con chiarezza sulle conversazioni telefoniche, ma c'era più di una ragione per mantenere i confratelli di congrega all'oscuro.

«Mi serve il tuo aiuto immediato», disse Vania.

«No grazie, sono allergico alle assassine seriali», rispose Iona alzando ancora di più il volume.

Vania cambiò di tono: «Mia madre non ha raccontato a nessuno del vostro ultimo incontro...» Oh! Almeno una cosa l'ho capita, pensò Iona che in verità si aspettava una mossa del genere, Sangue bastardo di Ventrue non tradisce, «Ma se non vieni subito qui cambierà idea».

Iona accese il motore dell'auto, si aspettava pure questo. «Vi offendete se dico che siete delle mignotte?»

Vania gli diede l'indirizzo di una casa nelle vicinanze dello stadio Renato Curi, poco distante da un locale chiamato L'Orto del Frate. Erano quasi le quattro di notte, ormai per la città giravano solo i metronotte e i vampiri. Quando Iona uscì dall'incrocio di Santa Sabina per andare verso Sant'Andrea delle Fratte, schiacciò a tavoletta per tutto il lungo rettilineo. L'Infiniti divenne una scheggia dal sibilo metallico, alla rotonda di fronte allo stabilimento della Perugina, Iona staccò a duecentotrenta chilometri orari scalando quattro marce su sei nello spazio di venti metri. Con tante buone dosi di controsterzo riuscì a tenere la curva mentre vi lasciava sopra circa duemila euro di battistrada, attraversò San Sisto a una velocità sopra i centocinquanta l'ora, arroventò i freni sui tornanti che portavano a Centova e non sarebbe finita qui, doveva risalire a Madonna Alta, svoltare a sinistra presso il semaforo, ridiscendere fino a via Caetani, tra saliscendi e curve a non finire.